redazione di Comune
Non ci stanchiamo di ripeterlo: è insensato continuare a chiedere ai potenti di fare il contrario di quel che fanno, è assurdo aspettarsi da loro i cambiamenti alla profondità necessaria. Possiamo costruirli noi, ogni giorno, ma dobbiamo imparare ad ascoltare e ad ascoltarci. E poi bisogna inventare uno sguardo diverso sulla realtà e una nuova capacità di sognare. Noi pensiamo che sia essenziale cominciare anche a raccontarli, quei cambiamenti. Per questo abbiamo promosso la campagna 2016 Facciamo Comune insieme e per questo ci piace trovare, ogni tanto, un momento e uno spazio – che abbiamo chiamato Taverna comunale – in cui incontrarci intorno a un tavolo per condividere pensieri e cibo buoni: sabato 25 giugno, a pranzo, lo faremo alla Tenuta della Mistica, la fattoria sociale di agricoltura biologica di Capodarco, un pezzo di campagna dentro Roma (via Tenuta della Mistica snc Roma, Prenestina, poco prima del Gra).
Anche in questo caso la Taverna offre un sostegno alla fragile avventura di comunicazione indipendente di Comune e un’iniziativa: con noi ci sarà Paolo Cacciari, nel cui ultimo libro, “101 Piccole rivoluzioni. Storie di economia solidale e buone pratiche dal basso” (Altreconomia), ricorda come “la politica vera non è solo comando e governo dall’alto, ma anche resistenza e creazione di àmbiti di autogoverno dal basso”. Il libro documenta gli sforzi di persone, collettivi, associazioni, gruppi e movimenti sociali “che accompagnano la critica e il rifiuto delle relazioni sociali esistenti, giudicate inique e dannose, con la proposizione e la sperimentazione di nuovi modelli di convivenza fondati su sistemi economici più sostenibili, sia sotto l’aspetto ambientale che sociale”. Cacciari racconta di spazi di cambiamento che non attendono ballottaggi o tempi propizi ma creano qui e adesso, pur tra inevitabili contraddizioni, un mondo nuovo: si tratta di luoghi che hanno in comune il tentativo di ricomporre nei territori relazioni sociali diverse, spazi che non si vendono. Abbiamo pensato allora di promuovere una conversazione con molti amici e amiche, un mix di musicalità sociali differenti per mostrare quali sono alcuni dei più importanti e originali sforzi di persone, collettivi, associazioni, gruppi e movimenti di Roma, per ragionare su cosa hanno in comune, quali forme di autogoverno sperimentano, quali limiti incontrano, come incidono nella qualità della vita delle persone che vivono in basso, quali sono le condizioni perché siano fonte di speranza nella vita di ogni giorno.
Pubblichiamo ampi stralci dell’introduzione di “101 Piccole rivoluzioni” (sarà possibile acquistare copie del libro durante la taverna). Questo, in sintesi, il programma della giornata (per partecipare al pranzo viene proposta una quota/donazione di 15 euro, 10 per i bambini: è indispensabile prenotare scrivendo a ):
ore 10,30 accoglienza
ore 11,15, conversazione con Paolo Cacciari e la redazione di Comune
“La rivoluzione ogni giorno. Alcune esperienze a Roma”
Intervengono:
Carlo De Angelis – cooperativa sociale agricola Capodarco e Roma Social Pride,
Sarah Gainsforth e Lavinia Palma – Nuovo Cinema Palazzo,
Michela Cicculli – Casa delle donne Lucha y Siesta,
Elisabetta Caroti e Claudia Dal Mazzone – Gruppo di acquisto solidale Reti di pace,
Daniela Degan – gruppo Donne Mitologiche,
Claudio Tosi – Cemea del Mezzogiorno,
Michelangelo Alimenti – Salvaiciclisti Roma,
Dario Mavilia – associazione Altramente,,
Vittorio Lovera – Attac
Chiara Cavallaro – ex Lavanderia del Santa Maria della Pietà
ore 13, pranzo bio :
tris gratinato, frittate dell’orto, mozzarelline, olive
spianata romana, insalata di riso, cous cous
ferratino bianco e rosso
acqua, pane e caffè
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di Paolo Cacciari*
Da un paio d’anni curo una rubrica, titolata “Piccole rivoluzioni”, pubblicata sulla rivista “Left” e su Comune, dove ogni settimana racconto l’attività svolta da gruppi di persone che instaurano tra loro relazioni economiche con valenze diverse da quelle ordinarie. Attività che soddisfano le esigenze e i desideri delle persone che le intraprendono, ma che non hanno come obiettivo principale un utile in denaro. (…) Attività spesso microscopiche, a cavallo tra la denuncia, la rivendicazione, l’azione diretta e la presa concreta in carico di problemi sociali provocati dall’economia di mercato e non risolvibili dall’intervento pubblico statale. (…) Attività che si collocano dentro quella grande area “anfibia” della cosiddetta economia sociale e solidale, tra il “privato sociale non profit” e il “pubblico non statale” con numerose fattispecie di azienda (cooperativa sociale, impresa sociale). (…)
Per quanto negli ambienti dell’altra economia ci si cimenti sovente in sfibranti dibattiti sul fatto se quella o quell’altra attività sia realmente alternativa o invece solo collaterale o complementare al mercato, è sempre difficile tracciare confini teorici netti. Ha annotato Chris Carlsson che “il sogno di una spontanea autonomia organizzativa” di progetti come le ciclofficine, gli orti condivisi, i progetti di software libero, i cohousing e così via sopravvivono abbastanza a lungo sempre e necessariamente sotto forma di piccola impresa o di associazione non-profit.
“È impossibile evitare la circostante società capitalistica laddove si rimane attivi all’interno del mondo del commercio, della mercificazione, del credito e del contante (…). Riorganizzare la nostra produzione di vita, non solo a casa, nel vicinato, nella piccola impresa o persino nel proprio comune, ma anche globalmente, è un processo estremamente complicato” (Carlsson, 2016)
(…) Nella tradizionale cultura politica moderna (almeno in quella occidentale) le scelte di vita quotidiana delle persone sono sempre state considerate come derivate meccanicamente dall’assetto sociale complessivo, dal contesto costituito dall’organizzazione economica e politica. La fisionomia di una società e le regole che fondano la convivenza tra i suoi membri sono determinate dai rapporti sociali di produzione. Gli affetti, le passioni, le “forze desideranti” che animano ciascuno di noi – anche quando è costretto nelle peggiori condizioni di subordinazione – non sono mai state tenute in gran conto dalla politica raziocinante. La configurazione delle strutture sociali, storicamente determinate dai rapporti di forza tra i generi, le generazioni, i popoli e le classi, sono sempre state considerate recinti insormontabili dentro i quali ad ogni individuo (per luogo di nascita, colore della pelle, sesso, età, censo) viene assegnato un ruolo specifico e una funzione socialmente riconosciuta. Da qui l’interesse delle forze sociali organizzate nei “corpi intermedi” (partiti, sindacati, organizzazioni professionali ecc.) a contendersi e ad occupare il potere centrale dello Stato e gli strumenti politici preposti a pianificare dall’alto (più o meno democraticamente) l’organizzazione della società. La posta in gioco è il sistema economico, considerato – non senza ragione – come quello più potente e maggiormente performante. (…) Non nego che tutto ciò abbia una base di verità. I rapporti di produzione e di proprietà e le relative istituzioni economiche e giuridiche che li regolano sono per certo determinanti nello stabilire le qualità delle relazioni umane che si instaurano tra le persone, le famiglie, le comunità. Ma le esperienze storiche ci dicono anche che è illusorio credere di cambiare i rapporti di potere usando le loro stesse istituzioni e la loro logica.
I processi di cambiamento reali avvengono solo sospinti da trasformazioni sociali profonde, che coinvolgono la vita delle persone, i loro convincimenti e quando si modificano i valori comuni di riferimento. I valori dell’economia solidale sono: inclusione, eguaglianza, sostenibilità, rispetto e integrità delle minoranze, pluralità e partecipazione democratica nelle decisioni collettive. Proprio l’opposto dell’idea liberale che riduce l’azione economica al perseguimento dell’interesse personale e alla massimizzazione del profitto. La politica vera non è solo comando e governo dall’alto, ma anche resistenza e creazione di àmbiti di autogoverno dal basso. Il punto di partenza non può che essere un “ottimismo antropologico”, cioè un’infinita fiducia sulle capacità umane individuali di discernere il bene dal male e il bello dal brutto. Il filosofo francese Jacques Rancière ci ricorda che l’emancipazione è questione etica ed estetica e nasce dalla capacità di immaginare “un altro modo di abitare il mondo, di fare uso delle proprie braccia, del proprio sguardo e della propria voce, di relazionarsi al tempo del lavoro o allo spazio della vita” (Rancière, 2016). Da tempo nuove ipotesi politiche si stanno facendo strada. Il pensiero femminista, quello ecologista e dei popoli contadini e indigeni, l’altromondialismo dei movimenti sociali urbani emersi a cavallo del secolo avanzano nuove ipotesi (…) Annotava Lea Melandri:
“Il macropotere non racchiude l’insieme del processo politico e tanto meno sociale” (Melandri, 2008).
Della stessa opinione Roberto Mancini:
“Le grandi svolte sono il risultato di mille svolte quotidiane” (Mancini 2015). (…)
È l’idea della costruzione dal basso di società liberate dalle logiche di dominio dell’economia di mercato che sta alla base delle esperienze di autogoverno dei popoli indigeni latinoamericani in Chiapas, nelle regioni andine, nelle campagne brasiliane e argentine, in Venezuela e in Bolivia, così bene descritte da Raùl Zibechi nel suo Alba di mondi altri, che riporta anche questo passo di un documento dell’Ezln:
“Il cambiamento di pensiero: dall’avanguardismo rivoluzionario al comandando obbedendo, dalla presa del Potere in Alto alla creazione del potere in basso; dalla politica professionale alla politica quotidiana; dai leader ai popoli” (Zibechi, 2015).
Affermazioni – me ne rendo conto – che possono apparire vagamente utopiche, ma che invece trovano valide conferme nelle esperienze di vita quotidiana anche nel nostro mondo. Paul Hawken, l’autore di Moltitudine inarrestabile (Hawken, 2011) ha creato un network (www.wiser.org) che congiunge milioni di organizzazioni che si occupano concretamente di sostenibilità e giustizia ambientale. Chris Carlsson, il fondatore della Critical Mass a San Francisco, ha documentato nel suo New Utopia (Carlsson, 2009) l’irrequieto mondo dell’economia informale, del dono e della reciprocità nelle metropoli americane. (…)
La dimensione locale, la vicinanza nelle relazioni umane, il radicamento territoriale sono condizioni indispensabili per creare un senso comune di appartenenza e di solidarietà tra le persone. Non è un caso se il municipio sembra essere l’unica istituzione pubblica capace di resistere alla dilagante sfiducia verso la politica. Il termine autarchia (se filologicamente inteso come autogoverno e autosufficienza) non deve spaventare. La ricerca della sovranità alimentare ed energetica delle comunità locali è obiettivo da perseguire. Le filiere produttive corte e i consumi a “chilometro zero” sono comportamenti virtuosi. Molte aziende si organizzano in reti e in distretti di economie tra loro solidali. Gli scambi paritari “P2P”, peer-to-peer, per la condivisione di software o altri servizi e tecnologie o strumenti hard, aumentano l’efficienza dei sistemi. I Gruppi di acquisto solidali hanno vissuto una crescita esponenziale. Sono nate innumerevoli forme di auto-aiuto mutualistico nei servizi alla persona, dalle “nuove” Società di Mutuo Soccorso alle Banche del Tempo. Ma non si creda di avere a che fare con pericolose regressioni nella pre-modernità, a mode frikkettone o ad altri tipi di fughe dalla realtà. (…)
Accesso, condivisione, cura delle risorse sempre più rare e preziose diventano i nuovi criteri con cui valutare le regole d’utilizzo: parametri che superano quelli meramente monetari del Pil o la messa a reddito dei patrimoni demaniali. In nome dei beni comuni sta prendendo piede un nuovo movimento, molto articolato e multiverso. Pensiamo alle occupazioni e al recupero di stabili inutilizzati, alla difesa degli antichi “usi civici” forestali e agrari, al riutilizzo dei beni confiscati alle mafie, agli orti condivisi in terreni di risulta, al libero scambio di cose e beni, semi compresi, ai co-housing, ai condomini solidali, agli ecovillaggi e agli agrovillaggi, fino alle forme più illuminate di sharing economy e di economia collaborativa, con la condivisione dei mezzi di trasporto, delle abitazioni per vacanze, degli strumenti di lavoro e altro ancora. (…)
Questo libro vuole documentare – sia pure a volo d’uccello – le attività di quelle persone, di quei collettivi, associazioni, gruppi e movimenti sociali che accompagnano la critica e il rifiuto delle relazioni sociali esistenti, giudicate inique e dannose, con la proposizione e la sperimentazione di nuovi modelli di convivenza fondati su sistemi economici più sostenibili sia sotto l’aspetto ambientale che sociale (…)
Molti sono stati nel tempo i tentativi di definire e catalogare le pratiche economiche diverse da quelle capitalistiche all’interno di diverse teorie a seconda che si prendano in considerazioni modelli macroeconomici, aziendali o sistemici: economia del dono (Salsano, 1994; Manifesto convivialista, 2014), economia di comunità (Adriano Olivetti, 2014), economia civile (Zamagni, 2009) o economia di comunione di Chiara Lubich (Bruni, 2012), economia della permanenza o economia della trusteeship di Gandhi (Joseph Kumarappa, 2011), economia morale della sussistenza (Ivan Illich, 2005), economia morale locale (John Friedman, 1996), economia ecologica o bioeconomia (Nicholas Georgescu-Roegen, Kenneth Boulding, Herman Daly, Martinez Alier, 1991; Mauro Bonaiuti, 2013), eco-economy (Lester R.Brown, 2002), economia solidale (Jean Louis Laville, 2000), economia partecipativa (Michael Albert, 2003), economia di liberazione (Euclides Mance, 2010), economia collaborativa Laboratorio Sussidiarietà di Giorgio Arena, 2012), economia del noi (Roberta Carlini, 2011, Nicolò Bellanca, 2007), economia buona (Emanuele Campiglio, 2012), economia del bene comune (Christian Felber, 2012), commonomics (Gustavo Esteva, 2014), economia popolare (Juan Grabois, 2013), economia del bastevole e del sufficiente (Wuppertal Institute, 2011; Diane Coyle 2011; Wolfgang Sachs, 2015), economie Cenerentola e plurali (New Economy Foundation, Tim Jackson, 2011), economia rigenerativa a sostegno della vita (Marjorie Kelly, 2012), economia circolare (Commissione Europea, 2015). E poi vi sono economie di tutti i colori: green, blue, pink, rainbow…. In generale economia collaborativa o della condivisione. Molto di moda è la sharing economy, dietro cui però si affermano modelli di business che usano piattaforme digitali per gestire servizi on demand nient’affatto cooperativi. Vedi Airbnb, Uber e molti altri. Un esempio da manuale di come l’imprenditoria capitalistica riesca ad impadronirsi di idee innovative che nascono spontaneamente da microattività non professionali.
In una frase potremmo dire che si moltiplicano gli sforzi per ridefinire pratiche e teorie a favore di un’economia eticamente orientata, capace di ricostruire relazioni sociali-umane, cioè morali. Ma, in altri termini, sarebbe forse ancora più corretto affermare che bisogna “fuoriuscire dall’economia” (Latouche, 2014), almeno da quella che pretende di essere la regina delle scienze sociali, dotata di un codice normativo autonomo e separato tanto dalle scienze della vita, quanto dalle scienze morali, ethic free. Bisognerebbe intraprendere un percorso di transizione dall’homo oeconomicus all’homo convivialis (Bertell, 2013), reciprocans (Becchetti, 2010), civicus (Cassano, 2004).
Franco Paolinelli dice
Ritengo positivo evidenziare come il cambiamento dal basso avvenga per iniziative economiche elementari, di singoli o di gruppi… Maggiore la diffusione di queste imprese, maggiore la loro ricaduta sociale. Politicamente sarebbe quindi necessario facilitarne la nascita cosa che non si stimola se l’attività d’ impresa viene vista come nemica.