Non sempre le date istituzionali, quelle progettate dai governi per costruire una coscienza coerente con i principi del potere costituito, incontrano consenso nelle scuole. La storia del 3 ottobre (da Lampedusa alla dimenticata invasione dell’Etiopia) e del 12 ottobre (la “Giornata nazionale di Cristoforo Colombo”, in realtà l’inizio del genocidio delle popolazioni indigene), ad esempio, offrono alle scuole genealogie con cui imparare a decentrare il nostro punto di vista

L’uso del calendario civile nella scelta di contenuti da proporre a scuola è una pratica che risale al secolo scorso e che ha accompagnato tutta la storia della scuola italiana. In concorrenza con il radicamento tradizionale del calendario religioso, le date significative della storia e le ricorrenze che vengono ritenute rilevanti dalle forze di governo per la formazione di una coscienza civica vengono proposte come festività o solennità ed entrano nei libri di testo e nelle antologie divenendo curricolo. La formazione dell’identità nazionale nelle scuole dell’Ottocento passa per la celebrazione dei genetliaci dei sovrani e attraverso gli sforzi per l’affermazione della festa dello Statuto; il fascismo moltiplica questi inserti di propaganda solennizzando non solo le proprie date fondanti (la marcia su Roma e la fondazione dei fasci di combattimento) ma aggiungendone tante altre fino a costellare l’intero anno scolastico di continui riferimenti all’operato del regime. Anche la Repubblica nel giro di qualche anno individua le sue ricorrenze finalizzate a costruire una coscienza democratica dopo l’esperienza della dittature: il 25 aprile e il 2 giugno.
Non sempre le date istituzionali, quelle progettate dai governi per costruire una coscienza coerente con i principi del potere costituito, hanno incontrato nelle scuole il consenso che speravano. è sempre esistita una dialettica tra gli intenti dei ministri e dei provveditori e le risposte dei docenti, in alcuni casi legate più alle solennità religiose tradizionali, altre volte sostenitrici delle ricorrenze del calendario politico informale dell’opposizione, come il primo maggio, costruendo una cittadinanza alternativa dal basso.
La prima metà di ottobre
L’inizio di ottobre è un periodo dell’anno particolarmente interessante in merito a questo tema delle ricorrenze civili. Infatti il 3 e il 12 ottobre sono attualmente date ufficialmente celebrate dallo Stato italiano, anche se le motivazioni dei legislatori le pongono su versanti ideali decisamente divergenti.
Il 3 ottobre è la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, istituita con la legge 45 nel 2016 al fine di “conservare e di rinnovare la memoria di quanti hanno perso la vita nel tentativo di emigrare verso il nostro Paese per sfuggire alle guerre, alle persecuzioni e alla miseria”. L’episodio all’origine della giornata accade il 3 ottobre del 2013 quando un peschereccio proveniente dalla Libia con a bordo più di cinquecento migranti in gran parte di origine eritrea è in panne al largo di Lampedusa. Nel ritardo dei soccorsi scoppia un incendio a bordo e il barcone si rovescia: muoiono nel disastro 368 persone tra cui donne e bambini. Pochi giorni dopo, l’11 ottobre, un altro naufragio provoca 160 vittime, in gran parte siriane in fuga dalla guerra. Gli eventi sono i casi più terribili di uno stillicidio di morti nel Mediterraneo che accompagna gli ultimi quindici anni. Ancora oggi l’Europa non è in grado di elaborare una risposta comune umanitaria e accogliente a questa umanità allo sbando che fugge da guerre e diseguaglianze e rivendica con la vita il diritto a muoversi senza le limitazioni imposte dal luogo di nascita.
Il 12 ottobre – data che risuona più della precedente nella memoria delle persone della mia età – è dal 2004 la «Giornata nazionale di Cristoforo Colombo», istituita nel giorno dello sbarco di Cristoforo Colombo nelle isole del continente americano, nel 1492, al fine di “favorire l’informazione e valorizzazione del contributo sociale, culturale ed economico recato con il proprio impegno dall’esploratore italiano”. è il governo Berlusconi a varare la direttiva, pensata in un periodo di rinnovata passione patriottica delle parti politiche e finalizzata ad ingraziarsi l’elettorato di origine italiana del continente americano che, in occasione delle elezioni politiche del 2006, avrebbe votato per la prima volta nella neonata Circoscrizione estero.
Indietro nel tempo
Ma come i calendari spesso ci ricordano, le date nel corso del tempo si arricchiscono di significati, a volte casuali, altre per le risignificazioni che si sovrappongono e si sostituiscono ai messaggi originari. Così queste due date hanno una storia.
Il 3 ottobre è anche una data cardine per il regime fascista. Fu quel giorno del 1935 che Mussolini diede l’ordine alle truppe in Eritrea di oltrepassare il fiume Mareb e di invadere l’Etiopia, iniziando l’ultima grande guerra di conquista coloniale della storia. Una guerra coloniale di massa, dove furono coinvolti direttamente cinquecentomila italiani tra militari e operai militarizzati, una grande opera di nazionalizzazione degli italiani attraverso l’imperialismo, una conquista che diede il via alla stagione del razzismo di Stato italiano poiché – come pochi purtroppo ancora sanno – le prime leggi razziste italiane furono varate nel 1937 contro le unioni miste nell’Impero.
Ma anche la storia del 12 ottobre è complessa e pluristratificata. In Italia fu già solennità civile dal 1925, scelta operata dal fascismo per rinsaldare lo spirito patriottico delle comunità italiane nel continente americano esaltando l’italianità del navigatore, rivendicando così una sorta di diritto primigenio nazionale nello sbarco e nella colonizzazione del continente. Ma la scelta si situa anche tra i primi passi del regime ancora giovane verso una ripresa dell’ottica espansionista coloniale (l’anno successivo venne istituita la Giornata coloniale) che portò dapprima alla “riconquista” della Libia con i famigerati campi di concentramento per la popolazione nomade del Gebel cirenaico, quindi alla decisione di invadere l’Etiopia.
Il 12 ottobre viene celebrato anche negli Stati Uniti e in alcuni stati dell’America latina, così come in Spagna (dall’inizio del Novecento come “Día de la raza”, rivendicando la paternità della scoperta e della colonizzazione dell’America e la stretta parentela con le popolazioni dell’America Latina, trasformato da Franco in “Día de la hispanidad”, quindi nel 1987 mutato dal governo di Felipe Gonzales in “Día de la fiesta nacional”).
Ma la risignificazione più importante di quella data viene proprio dai movimenti indigeni dell’America Latina e dalle popolazioni afrodiscendenti degli Stati Uniti, che nel cinquecentenario della ricorrenza ne capovolsero lo senso e parlarono di “conquista dell’America”, di “genocidio delle popolazioni indigene”, vedendo l’arrivo di Colombo come data di inizio dello sfruttamento e dello sterminio delle popolazioni amerindie nelle miniere e nelle piantagioni, spremute fino alla morte, e in seguito sostituite delle popolazioni africane deportate e sfruttate come schiave.
Lavorarci a scuola
Insomma, chi a scuola oggi volesse individuare nella prima quindicina di ottobre ricorrenze cariche di significati e piene di stimoli per una didattica motivante ha quel che cerca.
Chi vuole lavorare sulla disuguaglianza di ricchezza nel mondo, sui significati delle migrazioni oggi e nel passato, sul dramma di chi fugge da guerre o da situazioni di illibertà conclamata può concentrarsi sul 3 ottobre, ridare voce alle persone migranti e ai loro viaggi oppure studiare i dati economici collegati ai luoghi di partenza e di arrivo, confrontare le remunerazioni dei lavori, le speranze di vita, le qualità dei sistemi sanitari, le differenti potenzialità dei passaporti.
Oppure può spingersi indietro nel tempo rimettendosi sulle tracce di altri migranti, quelli con il passaporto italiano, quei milioni che attraversarono le Alpi o l’Atlantico per lavorare nelle miniere dell’Europa o per passare la quarantena a Ellis Island e poi guadagnarsi da vivere in un paese che li considerava la feccia dell’Europa chiamandoli “dago” o “guinea”. O infine aprire gli archivi della storia coloniale italiana, dell’invasione fascista dell’Etiopia, della propaganda razzista che circolava sulla stampa o sulle stesse pagine dei libri di scuola, che presentavano gli etiopi come esseri inferiori per “razza”, selvaggi e nemici, oppure servi fedeli, o ancora esseri inferiori da liberare, civilizzare e sfruttare.
Ma anche il 12 ottobre offre numerosi campi di intervento. Si può ricordare cosa rappresentò la scoperta-conquista dell’America per le popolazioni indigene e per le civiltà precolombiane, si può calcolare quanto oro e argento furono scavati dalle popolazioni locali e poi trasferiti in Europa per oltre due secoli, si possono calcolare i milioni di persone che furono catturati in Africa dagli schiavisti e venduti in America per lavorare nelle piantagioni rimpiazzando come schiavi la forza lavoro amerindia massacrata dalla fatica e dalle malattie. In questo modo forse sarà più facile comprendere l’indignazione delle popolazioni afrodiscendenti negli Stati Uniti di fronte alle violenze della polizia, viste come l’ennesimo tassello di una plurisecolare catena di orrori e sopraffazione nei loro confronti. Infine si può comprendere come mai nella durezza del confronto di piazza di questi mesi anche le statue di Colombo sono diventate un coerente obiettivo simbolico.
So bene che molti insegnanti non hanno bisogno di date particolari per trattare questi temi. E molti amici mi ammoniscono che ricordare le ingiustizie per un giorno significa a volte dimenticarle per gli altri 364. Ognuno, ognuna faccia l’uso che crede di questi appunti. Le nostre classi, come la nostra società, negli ultimi anni si sono arricchite di genealogie che ci invitano a decentrare il nostro punto di vista e ci chiedono di guardare noi stessi (il nostro presente e il nostro passato) da prospettive che gli arretrati strumenti didattici a disposizione considerano invece trascurabili o periferiche. Credo che sia ora di ascoltare questi inviti e di metterci alla prova. Non sarà un compito di breve durata… tanto vale cominciare.
*Gianluca Gabrielli è storico e insegnante di scuola primaria. Il suo ultimo libro è Educati alla guerra. Nazionalizzazione e militarizzazione dell’infanzia nella prima metà del Novecento (Ombre corte, 2016), dal quale è tratta l’omonima mostra. Altri suoi articoli sono leggibili qui. Ha aderito alla campagna di sostegno di Comune “Ricominciamo da tre”.
Sempre bravo e documentatissimo Gianluca, ma quello che colpisce di più è la passione civile dell’articolo. É una moneta che pare scomparsa. Complimenti vivissimi!!