I lettori di Comune lo sanno: una stessa notizia, a maggior ragione se si parla di cifre, può esser data in modo diametralmente opposto. L’informazione non è mai neutrale. Facciamo un esempio? Rispetto al 2020, nel 2021 non è cresciuto il contributo della finanza mondiale alle aziende legate al settore dei fossili: 742 miliardi di dollari contro 750. Oppure potremmo dire: malgrado i solenni e farseschi impegni a ridurre le emissioni presi nel 2015 con gli Accordi di Parigi, la finanza mondiale continua a spingere il pianeta nel baratro. Nel 2021 ha alimentato le aziende del fossile ancora con una cifra stratosferica: 742 miliardi di dollari, contro i 723 del 2016. Scegliete voi il punto di vista che vi pare più sensato. Sarà comunque molto utile sapere, grazie alle preziose notizie che riprendiamo da Valori, che la cifra concessa in soli 6 anni dai colossi bancari del mondo al business as usual del petrolio, del carbone e del gas ammonta a 4.600 miliardi di dollari. Per esempio, solo per avere un’idea degli oceani di denaro che spendiamo per un altro tipo di autodistruzione, possiamo dire che la spesa militare ufficiale 2020 (cioè solo quella contabilizzata fino all’aprile 2021) per tutte le nazioni del mondo ammonta a 1.981 miliardi di dollari. Sarà difficile farlo, ça va sans dire, ma proviamo a tenere a mente queste poche cifre quando si parlerà di “investire” in salute, lotta alla povertà o educazione

Quattromilaseicento miliardi di dollari in soli sei anni. È la cifra stratosferica che le 60 più grandi banche del mondo hanno concesso al settore delle fonti fossili. A rivelarlo è il nuovo rapporto “Banking on Climate Chaos”, curato da sei organizzazioni non governative: Rainforest Action Network, BankTrack, Sierra Club, Indigenous Environmental Network, Oil Change International e Reclaim Finance. https://flo.uri.sh/visualisation/9202474/embed?auto=1A Flourish data visualization
Il documento conferma come il mondo della finanza continui imperterrito a sostenere carbone, petrolio e gas. Anche dopo il raggiungimento dell’Accordo di Parigi del 2015, con il quale il mondo si è impegnato ad operare un abbassamento drastico delle emissioni di gas ad effetto serra. Con l’obiettivo di mantenere la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 2 gradi centigradi, entro la fine del secolo, e rimanendo il più possibile vicini agli 1,5 gradi.

750 miliardi solo nel 2021
Secondo il rapporto, soltanto nel 2021 nelle casse delle aziende legate al settore delle fossili sono finiti 750 miliardi. «Anche in un anno nel quale numerosi soggetti hanno avanzato impegni di azzeramento, a termine, delle emissioni di gas ad effetto serra, la finanza continua con un business as usual che ci sta portando alla catastrofe climatica», spiegano gli autori del documento. E se i finanziamenti nel 2021 sembrano essersi «stabilizzati», rimangono ancora «a livelli superiori rispetto al 2016, primo anno successivo all’adozione dell’Accordo di Parigi».

Il flusso di finanziamenti continua ad arrivare principalmente, come evidenziato già nelle prime edizioni del rapporto, dalle banche americane. In particolare JPMorgan Chase, Citigroup, Wells Fargo e Bank of America. Tali quattro istituti di credito, da soli, coprono un quarto dei capitali in questione, nell’arco dei sei anni presi in considerazione. Al quinto posto figura la canadese Royal Bank of Canada. Mentre gli istituti peggiori in Europa e in Giappone sono, rispettivamente, Barclays e MUFG. E non mancano le “solite” banche italiane: Unicredit e Intesa Sanpaolo.Ma a preoccupare non sono soltanto i dati in assoluto.
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Le banche in questione, soltanto nel 2021, hanno infatti concesso 185,5 miliardi alle cento aziende che investono in progetti di espansione del settore fossile. Si tratta di colossi come Saudi Aramco e ExxonMobil. Che potranno così aprire nuovi giacimenti, nuove miniere, nuovi impianti. Una situazione totalmente incompatibile con gli obiettivi climatici che si è fissata la comunità internazionale.
I settori finanziati dalle banche
Il rapporto Banking on Climate Chaos precisa anche in quali settori si siano concentrati i business delle grandi banche. Che non hanno escluso alcun asset, neppure quelli notoriamente deleteri per il clima. È il caso, ad esempio, delle sabbie bituminose dalle quali si estrae petrolio principalmente nella provincia canadese dell’Alberta. Ma anche della regione artica, nella quale alle questioni legate alle emissioni di gas ad effetto serra si affiancano anche i rischi di potenziali catastrofi ambientali. Poiché un incidente a quelle latitudini non potrebbe che risultare disastroso.
Inoltre, gli istituti di credito non hanno escluso neppure il fracking, ovvero la fatturazione idraulica per lo sfruttamento di gas e petrolio da scisto. Accusata di contaminare le falde acquifere e di produrre terremoti. O ancora le trivellazioni offshore. Nel frattempo, solo poche banche hanno adottato, in modo parziale, politiche volte al cambiamento. La Banque Postale, Nordea e Intesa Sanpaolo, ad esempio, hanno deciso di bloccare i finanziamenti ad alcune compagnie che ancora oggi vogliono avviare nuovi progetti legati al carbone. Ma si tratta di impegni puntuali e non di azioni generali da parte di un mondo, quello della finanza, dalle cui scelte dipenderà buona parte del futuro del Pianeta.
Scarica il rapporto (pdf 8Mb)
Articolo pubblicato in collaborazione con il blog Valori.it
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