Questo brano è tratto da un’intervista a Gustavo Esteva condotta da Franco Augusto Iacomella l’8 novembre 2019 e pubblicata un anno dopo la morte di Gustavo. L’intervista completa, in spagnolo, è disponibile su Tejiendo Alternativas. Parte di questa conversazione, in traduzione italiana, sarà inserita in un libro che sarà pubblicato nella collana Ripensare il mondo – curata da Aldo Zanchetta per la casa editrice Mutus Liber – col titolo La speranza, forza sociale.
Credo che, in generale, anche tu sia stato critico riguardo allo slogan «Pensare globalmente e agire localmente». Puoi dirci qualcosa a proposito delle questioni di scala?
Penso che abbia chiaramente ragione Wendell Berry quando dice che il pensiero globale è impossibile, che l’unica cosa che possiamo pensare globalmente è la distruzione del pianeta. Sicuramente il signor Trump potrebbe immaginare come distruggere l’intero pianeta con un buon bombardamento atomico, questa è l’unica cosa che possiamo pensare a livello universale.
Qualsiasi idea, qualsiasi rivendicazione… (parola non decifrata). Mi risulta spesso problematico discuterne, perché molte persone sono state catturate, sono state formattate per avanzare richieste a livello globale: dobbiamo affrontare il cambiamento climatico, dobbiamo affrontare i problemi globali… Non è possibile nemmeno pensarli, non c’è niente che possiamo dire in proposito. Qual è il problema globale? Ha ragione Wendell Berry: non possiamo pensare nulla globalmente, e meno ancora possiamo fare qualcosa a livello globale, se non distruggere il pianeta. (…)
Quindi, riconoscendo che questo è il nostro limite, dobbiamo tornare ad agire, non a livello globale, non a livello nazionale, ma al livello a cui possono agire i comuni mortali quali noi siamo.
A partire da questa tua affermazione dell’impossibilità del globale, vorrei tornare a quello che dicevi all’inizio quando parlavi della crescita di un movimento di insurrezione e osservavi che si stanno intessendo (tu non hai usato questa parola) iniziative per cercare di identificare i luoghi in cui avvengono tali processi. A mio avviso, ciò avviene in un contesto globale. Cosa si può dire di tutto ciò? Si agisce a livello locale, ma si vuole anche conoscere ciò che avviene a livello globale.
Penso che la parola intessere sia molto chiara. Voglio raccontarti che cosa è successo, come sono andate le cose. L’idea è venuta ad Arturo Escobar e a me. Eravamo stati invitati in un luogo della Colombia e ci eravamo trovati di fronte ad alcune di queste esperienze che sfidano il sistema dominante. Allora ci siamo detti: perché non identificarle e documentarle? E in Messico abbiamo dato a questa iniziativa il nome di Crianza Mutua,1 perché lo scopo era di imparare gli uni dagli altri, di farsi visita, di rafforzarsi a vicenda e di organizzarsi.
Ci stavamo occupando di questo, quando abbiamo scoperto che un nostro amico in India stava facendo esattamente la stessa cosa, che lì viene chiamata Vikalp Sangam: una «Confluenza di alternative». Anche loro stavano identificando gruppi che sfidano il sistema.
Così abbiamo deciso di unirci, e lo scorso maggio un piccolo gruppo di noi ha lanciato un’iniziativa la cui denominazione include esattamente la parola che hai usato tu: Tejido Global de Alternativas – Global Tapestry of Alternatives (Tessuto Globale di Alternative). Si tratta di un tessuto: stiamo intessendo le alternative, stiamo creando un’organizzazione. Non stiamo costituendo un’articolazione mondiale di tutte le alternative, stiamo solo intessendole con tutte le caratteristiche di orizzontalità che ha un tessuto, e quello a cui teniamo di più è che non ci sia un leader, che non ci sia un centro. Non c’è nessuno che sta gestendo tutto questo, si tratta soltanto di intessere queste alternative.
Siamo molto sorpresi da quello che scopriamo. La metà del piccolo gruppo che ha lanciato il Tejido Global de Alternativas è costituita da persone molto nomadi, che corrono da un evento internazionale all’altro, che vanno al Forum Sociale Mondiale e agli eventi internazionali di ogni genere che si stanno realizzando. Parlano del Tejido Global de Alternativas e rimangono sempre sorpresi dalla reazione, che è una reazione di grande entusiasmo. Molte persone dicono: «Sì! È quello di cui abbiamo bisogno, è quello che ci manca». Più di cento organizzazioni molto importanti, come la Via Campesina, stanno sostenendo la nostra iniziativa. Ma oltre a questo, succede che qualcuno alzi la mano e dica: «Lo sto facendo anch’io!». In Brasile, in Ecuador, da qualsiasi parte ci sono persone che lo fanno, che stanno individuando le alternative. Quindi, in primo luogo, l’entusiasmo che questo sta suscitando è una prova del fatto che era il momento giusto per lanciare l’iniziativa, ma in secondo luogo si nota che c’è già una riflessione, sempre più interessante, su quello che bisogna fare per immaginare il ponte, perché sta arrivando il momento di attraversarlo.
Dal 6 all’11 settembre di quest’anno [2019] si è svolto in Islanda un evento molto speciale a cui hanno partecipato persone provenienti da più di cinquanta paesi, che sono venute a vedere come ci organizziamo, quale sarebbe il modo migliore per organizzarci, quali sarebbero le modalità. Si è discusso, ad esempio, della questione del confederalismo democratico, che è la vecchia tesi di Murray Bookchin, a cui si è ispirato Abdullah Öcalan dei curdi del Rojava nei suoi scritti dal carcere. Si è parlato del municipalismo libertario e di una serie di altre idee… Ma senza che si arrivasse a dire: «Questa è la dottrina, ora c’è una nuova dottrina, non c’è più il marxismo-leninismo, ora abbiamo questo come dottrina rivoluzionaria da utilizzare». Si diceva semplicemente che ci sono varie correnti, varie esperienze. Abbiamo una varietà di forme nel mondo, oggi, non solo nel passato, che ci permettono di vedere che questo funziona.
Noi ricordiamo spesso l’esempio del Congresso Nazionale Indigeno in Messico. Quel Congresso cerca di riunire i tanti popoli indigeni del territorio messicano, dispersi in molte migliaia di comunità.2 Esiste da venticinque anni, e per tutto questo tempo ha potuto funzionare senza un leader, senza direzione, senza uffici centrali, senza una struttura burocratica. Hanno adottato un motto assai utile: «Siamo assemblea quando siamo insieme, siamo rete quando siamo separati». Ogni etnia continua ad esistere a modo suo, ma esse si riuniscono periodicamente, e quando si riuniscono sono un’assemblea che può prendere decisioni comuni. […]
1 N.d.t. – Il sostantivo crianza (come il verbo criar) indica un atteggiamento di attenzione, di cura e di affetto nei confronti di tutto ciò che vive (persone, animali, piante, elementi della natura, divinità). Una caratteristica fondamentale della crianza è la reciprocità.
2 N,d,t. – Vi aderiscono 33 delle oltre 50 etnie tuttora esistenti nel paese.
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