Dopo il pogrom di Hamas contro i villaggi del sud di Israele del 7 ottobre si è messa in moto una catena di orrore e di follia che si sta rapidamente e caoticamente srotolando sotto gli occhi dell’intera umanità mediatizzata. Fin dal primo momento pensai che questo è l’inizio della disintegrazione di Israele, entità artificiosa e coloniale che Gran Bretagna e Stati Uniti sostennero nel dopoguerra per risarcire a spese altrui le vittime dell’Olocausto. Dopo avere subito per mano degli europei (tedeschi, polacchi, francesi, italiani, ucraini eccetera) la più spaventosa violenza che passò alla storia come Shoah, gli ebrei vennero mandati a fronteggiare una nuova guerra contro gli abitanti della Palestina, appoggiati dalle potenze coloniali che si garantivano così un baluardo in un’area strategica dal punto di vista geopolitico e soprattutto dal punto di vista energetico. Iniziò allora una storia che non poteva che evolvere male e concludersi peggio.
Settantacinque anni di guerre, massacri, deportazioni, persecuzioni, pulizia etnica, assassini mirati. Poi, il 7 ottobre del 2023, l’inizio della fine.
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Una comunità che vive in un territorio ristretto come quello che si trova tra il fiume Giordano e il mare Mediterraneo, pieno di armi e di uomini che si odiano reciprocamente dell’odio inevitabile che corre tra oppressi e oppressori, non può sopravvivere a lungo senza mettere in moto processi caotici che rendono la vita impossibile per tutti.
Il suprematismo israeliano è oggi minato, ancor più che dal pericolo armato delle formazioni di resistenza palestinese, dal caos mentale, e dall’orrore che non si può sopportare indefinitamente senza pagare conseguenze psico-politiche. Un episodio recente di cui non si è molto parlato sulla stampa italiana conferma questa ipotesi di un’implosione psichica in agguato.
Il 30 novembre, a una fermata dell’autobus di Gerusalemme due palestinesi uscirono da un’auto e cominciarono a sparare sulla folla, uccidendo tre persone. A quel punto da un’auto di passaggio salta fuori un giovane di nome Yuval Castleman, ex poliziotto, naturalmente armato. Castleman fece fuoco con la sua pistola contro i due palestinesi, uccidendoli entrambi (le informazioni su questo episodio vengono dal Guardian: Backlash grows over police shooting of Israeli civilian after Jerusalem attack).
Un video mostra che a quel punto due soldati in uniforme escono da un’auto rossa e afferrano le loro armi. Un riservista dell’esercito israeliano, scambiando Castleman per un aggressore comincia a sparare verso di lui, pensando che sia un terrorista. Quando Yuval Castleman si rende conto della situazione, apre la giacca, si getta in ginocchio e alza le mani perché possano vedere che non è più armato, secondo la ricostruzione compiuta da un amico del povero Castleman, di nome Itkovich. Castleman grida in Hebrew, e grida: sono un israeliano. Tira fuori il portafoglio, per identificarsi, ma quelli gli sparano senza ascoltar ragioni. Poco dopo Castleman muore al centro medico Shaare Zedek.
Itzkovich, l’amico dello sfortunato eroe israeliano, che aveva fatto parte del reparto di polizia in cui lo stesso Castleman aveva servito negli anni passati, accusa i soldati di avere violato i protocolli. “Ci sono cose che non si dovrebbero fare, secondo i protocolli. Anche se Yuval fosse stato un terrorista, si era arreso, era inginocchiato per terra, alzava le mani. Secondo i protocolli avrebbero dovuto arrestarlo. Non avrebbero mai dovuto sparargli”. I protocolli, dice Izkovitch. Figuriamoci. Questo episodio mostra che per i soldati israeliani è del tutto normale sparare a una persona che sta inginocchiata per terra, con le mani alzate, e che per giunta grida parole in Hebrew, e grida: sono un israeliano. Non importa, gli hanno sparato. Lo hanno ammazzato. L’eroe Castleman è morto.
Cosa significa questo?
Certamente significa che l’esercito israeliano viola tutte le regole nazionali (i protocolli) e internazionali, non ha alcun rispetto dei diritti umani.
Ma questo non è tutto ciò che quell’episodio implica. La cosa che dal mio punto di vista è più importante è un’altra: gli israeliani in grande maggioranza sono entrati in una crisi propriamente psicotica. Nel mese che segue il pogrom di Hamas le richieste di porto d’armi sono state 180.550, circa diecimila al giorno, mentre nel periodo precedente erano circa 850 al giorno. La politica di Israele consiste nell’armare i cittadini privati, soprattutto armare i coloni che ogni giorno aggrediscono palestinesi nei territori della Cisgiordania.
In una conferenza successiva all’eliminazione di Castleman, Netanyahu ha detto: “Nelle attuali condizioni dobbiamo continuare con questa politica, forse dovremo pagare qualche prezzo, ma questa è la vita” (letteralmente: that’s life). Naturalmente Netanyahu mente in maniera sistematica, al punto da usare l’espressione: “that’s life” quando avrebbe dovuto dire, con ogni evidenza: that’s death. Morte, morte morte: questo è il messaggio degli israeliani per tutti, anche per gli israeliani stessi.
L’orgia di violenza scatenata dalle politiche colonialiste di Israele sta ormai trascinando in un vortice la società civile israeliana stessa. La trappola che i britannici escogitarono nel 1948 per continuare lo sterminio hitleriano con altri mezzi è scattata. L’orrore non si ferma, l’orrore dilaga dovunque, e attira nel suo vortice gli stessi seminatori dell’orrore.
Inviato anche alla rivista spagnola ctxt.es
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Fiorella Palomba dice
Scrive bene Franco “ Settantacinque anni di guerre, massacri, deportazioni, persecuzioni, pulizia etnica, assassini mirati.”
Aggiungo che questo alimenta la vendetta, il terrorismo: che cosa faremmo noi se fossimo palestinesi??!!?
Fabio Grechi dice
Certo.Perché però continuare ad usare questi termini? Sono stati utilizzati non per definire ma per bollare storicamente ogni Resistenza.Appellati “terroristi”: gli italiani,gli spagnoli,i greci e tanti altri partecipanti alla Resistenza dei propri popoli.
Renato dice
Bell’articolo, che giustamente getta luce su un episodio di cui si è parlato poco, ma che significa molto. Anche l’interpretazione dell’episodio è condivisibile. Incomprensibile, invece, la considerazione finale sulla “trappola” escogitata dai britannici “per continuare lo sterminio hitleriano con altri mezzi”. Una lettura degli eventi che hanno portato alla fondazione dello Stato di Israele e alla catastrofe palestinese decisamente bizzarra e improvvisata.
Giuseppe dice
CONDIVIDO il Commento tanto più che si sostiene in apertura “appoggiati dalle potenze coloniali che si garantivano così un baluardo in un’area strategica dal punto di vista geopolitico e soprattutto dal punto di vista energetico” in maniera contaddittoria, perdendo completamente il senso di quanto affermato! L’autore se lo sarebbe potuto risparmiare.
Marco Lanzani dice
From the river to the sea, è proprio il desiderio del califfato che l’autore di questo articolo sconnesso auspica. Basterebbe analizzare gli aggettivi utilizzati per rendersene conto.
Renato dice
Sì, però il territorio del conflitto oggettivamente si trova tra il fiume Giordano e il Mediterraneo, è un dato oggettivo. A quello si riferiva l’autore, credo; onestamente, non mi sembrava l’auspicio del futuro territorio di un futuro Stato palestinese.
Donatella Salina dice
Ma quale Califfato.
Questo e il programma di tutta la Resistenza palestinese che include anche cristiani arabi ed ebrei ortodossi autoctoni palestinesi.
L FPLP sostiene forse il Califfato ? Neanche Hamas ne parla mai.
Gianfranco Piazza dice
Che la catena di orrore e di follia si stia “srotolando sotto gli occhi dell’intera umanità mediatizzata” ho qualche dubbio. Come dice Gideon Levy, riportato da Ascanio Celestini sul Manifesto di oggi: “l’infinita verbosità dei media israeliani quasi ignora l’orribile bagno di sangue” e i nostri media ne ignorano solitamente immagini e numeri. “Cosa succederebbe se Israele (e i nostr media) mostrasse(ro) i corpi sventrati di 18.000 palestinesi?” – invece di replicare all’infinito 7 ottobre,7 ottobre…Ha suscitato ripulsa la schiera di prigionieri inginocchiati seminudi e bendati catturati a Beit Lahya?
Dopo Francia e Inghilterra, il mandante attuale dell’orrore che continua è il governo Usa che fornisce armi a Israele.
FB dice
Il punto è che la massa dell’esercito Israeliano (soprattutto prima di questa guerra) era ed è composto da giovanissimi, dai 18 ai 26 anni. La massa dell’addestramento lo fanno on the Job. Molti non hanno la freddezza di gestire situazioni estreme che amplificano la paura di perdere la vita. Anni anche di attentati (vi ricordate terroristi che si lasciavano esplodere nei bus?) hanno cementato questo modus operandi: Mors tua vita mea. Per quanto riguarda i prigionieri inginocchiati.. La maggioranza dei mass media si sono scordati di far notare che, nella migliore delle ipotesi, la massa degli arresi sono “pingui” :-)) collaborazionisti. Rischiavano il linciaggio al sud da parte di coloro che hanno perso tutto,soprattutto a causa loro, e non mangiano da mesi .. Altro che lingerie in mostra!
Giulia dice
Personalmente non concordo con l’uso del termine “pogrom”, ma son punti di vista. Vorrei però capire meglio su cosa si basa l’explicit dell’articolo, che qualcuno ha già criticato, ovvero l’accenno al fatto che i britannici abbiano fatto in modo di proseguire lo sterminio. Non lo critico, mi pare anzi un’affermazione interessante e vorrei, se possibile, qualche indicazione per approfondire. Grazie.
Paolo Moscogiuri dice
Interessante articolo, tutto da condividere, tranne l’uso del termine “pogrom”, che se il significato dato dalla Treccani: “…azione di persecuzione esercitata contro minoranze etniche o religiose con l’appoggio più o meno manifesto dell’autorità centrale”, è ancora valido, lo vedo più applicato dalla parte israeliana che quella palestinese, dove questa volta la minoranza etnica non sono più gli ebrei, ma appunto i palestinesi.
Donatella Salina dice
Bravo Bifo ha colto in pieno il nocciolo del problema
Una lotta di liberazione nazionale di autoctoni che siano ebrei cristiani o musulmani contro invasori venuti dall’ Est Europa in Palestina a rubare vita e terra a coloro che ci vivevano in pace
Il sionismo e un putrido tumore maligno da estirpare e non ha nulla a che fare con l ebraismo
come afferma anche Moni Ovadia
Ad Al Quds/ Gerusalemme esiste un quartiere abitato da ebrei ortodossi che si sentono palestinesi gente che vive in Palestina da secoli e che vuole vivere in pace.
Gemma dice
Un po’ confuso questo articolo…..
C’è ancora gente in giro che usa il termine “Terrorista” per i Palestinesi….
Ma la storia la leggete?
mario dice
Articolo condivisibile in parte e non chiaro nel finale.
Sul concetto di terrorismo vanno fatte alcune precisazioni:
1) il primo a utilizzarlo sono stati gli ebrei (allora ancora non c’era Israele) dagli anni 30 e tanto per ricordarne uno, l’attentato all’hotel King David nel 1946 conbtro gli inglesi che fece 137 morti.
2) israele ha un esercito ben strutturato, caserme da cui partono carri armati, aeroporti da cui decollano elicotteri e jet che bombardano da 10.000 metri di altezza, navi che bombardano dal largo. Che cosa hanno i Palestinesi in risposta?!? Nulla proprio nulla, quindi sono OBBLIGATI come forma di resistenza ad usare il terrorismo.
Lo stesso che usarono gli Algerini x cacciare i francesi che alla fine dovettero cedere.
3) la pace si fa con il nemico non certo con l’amico o con chi è disposto a concedere.
Ci sarebbe molto altro da dire, ma non è il caso.
Concludo dicendo che le responsabilità della protervia israeliana va equamente divisa tra occidente e paesi musulmani-arabi.
Dei Palestinesi come dei Curdi non frega niente a nessuno.
Perchè se così fosse, con la POTENTE arma del petrolio (chiusura dei rubinetti verso tutti i paesi occidentali) la cosidetta “comunità (che comunità non è) internazionale” avrebbe obbligato israele ad abbassare la cresta.