a cura di Cristina Cozzi
Domandarsi cosa si nasconde dietro a gesti automatici e scontati come quello del caffè che beviamo tutti i giorni, più volte al giorno, non è poi così immediato. Il caffè, bene coloniale per eccellenza e tra i prodotti più scambiati in borsa, è il simbolo di un’economia basata su meccanismi di sfruttamento e di speculazione finanziaria, nonché il maggior prodotto di esportazione e fonte di reddito per centinaia di famiglie di piccoli produttori.
È un esempio emblematico per comprendere cosa si può nascondere dietro alle nostre scelte di acquisto: un duro lavoro per chi lavora nelle piantagioni ma un buon profitto solo per chi, alla fine del processo di produzione, vende il caffè ai consumatori. Provate a immaginare una zona impervia a più di mille metri di altitudine percorribile solo a piedi. Qui si trova la piantagione di caffè della famiglia di Anselmo. Alle sette del mattino, dopo una colazione a base di fagioli e tortillas, Anselmo con la moglie, i figli, i fratelli e la suocera, si mette in cammino verso le piantagioni. Rimangono fino alle cinque del pomeriggio a raccogliere, uno a uno, solo i frutti di caffè al giusto punto di maturazione. Prima del tramonto, con i sacchi in spalla da settanta chilogrammi l’uno, portano a casa i chicchi raccolti con tanta cura durante la giornata.
E il giorno dopo, all’alba, si ricomincia. Le attività della raccolta e della lavorazione del caffè (lavaggio, spolpatura, essiccazione, ammasso) rappresentano la quotidianità per intere famiglie da novembre fino a maggio. Immaginate anche che intorno ad Anselmo e la sua famiglia, così come intorno agli altri piccoli produttori, ruotano i cosiddetti coyotes – gli sciacalli, ovvero gli intermediari delle grandi imprese – che esercitano attività creditizie con tassi di usura fino al 40 per cento e che si assicurano così l’approvvigionamento di caffè, passando casa per casa con i loro camion e bilance truccate, pagando un prezzo che non tiene affatto conto del lungo e meticoloso lavoro che vi è alle spalle. Il progetto Tatawelo (“avo” in lingua tzeltal) nasce nel 2003 dalla collaborazione tra diverse organizzazioni dell’economia solidale italiana per sostenere le comunità indigene zapatiste del Chiapas, in Messico, attraverso la commercializzazione del caffè.

L’Associazione Tatawelo, nata nel 2005 per seguire il progetto iniziato nel 2003, nel tempo ha iniziato a controllare direttamente l’intera filiera del caffè, dall’importazione alla distribuzione, nei canali dell’economia solidale in Italia, con l’obiettivo di garantire una filiera etica dal produttore fino al consumatore. I caffè che compongono la miscela del “Tatawelo Cafè Excelente”, originari principalmente del Chiapas e completati da caffè del Centro America, nascono da progetti di commercio equo e solidale seguiti dalla Associazione e da altri importatori collegati. I caffè sono prodotti dai soci delle cooperative indigene zapatiste, di etnia chol e tzeltal che vivono nei municipi autonomi del nord del Chiapas, e da altre orgenizzazioni contadine (*vedere le schede produttori sul sito www.tatawelo.it).
La rete di distribuzione del “Tatawelo Café Excelente” è composta da gruppi di acquisto solidale (Gas), cooperative, botteghe del mondo, associazioni, collettivi, circoli, soci e sostenitori individuali di tutto il territorio nazionale. Questa rete, locale e nazionale, sostiene il progetto attraverso il prefinanziamento, ovvero pagando il caffè in anticipo e permettendo così all’Associazione Tatawelo di versare ai produttori una somma consistente, variabile a secondo della disponibilità ottenuta, del valore complessivo del caffè acquistato. Questo consente ai cafetaleros di disporre di risorse finanziarie per comprare gli strumenti necessari alla raccolta e alla lavorazione del caffè, trasportare il caffè fino al porto d’imbarco e far fronte alle spese di sussistenza quotidiana. L’indipendenza finanziaria, garantita dal prefinanziamento, è essenziale per i produttori nell’affrancarsi da meccanismi che generano rapporti di vera e propria schiavitù.
Oltre a pagare un prezzo giusto e anticipato, l’Associazione Tatawelo si è impegnata a finanziare percorsi di formazione sui temi dell’agro-ecologia e della produzione organica, contribuendo a mettere i produttori nelle condizioni per fare un’autocertificazione della qualità del loro caffè, senza dover ricorrere a enti di certificazione esterni che, oltre a esigere tariffe elevate, applicano metodologie che non tengono conto del contesto di ogni comunità. Altri impegni portati avanti dall’Associazione sono quelli per dare sbocco sul mercato solidale locale al caffè torrefatto a marchio delle cooperative indigene, come per la progettazione di una bodega, cioè una struttura destinata a divenire ufficio, luogo di immagazzinamento e lavorazione del caffè per abbassare i costi di produzione e per una maggiore autonomia gestionale dei produttori.
Un ultimo importante impegno è rivolto all’emergenza contro l’infestazione della Roya, un fungo che sta decimando le coltivazioni di caffè, sostenendo i produttori a contrastarla, imperativo a cui sono chiamate le comunità indigene zapatiste nel tentativo di ridare una prospettiva di sussistenza economica sostenibile alle proprie genti. Dopo l’impegno diretto, in collaborazione con il Desmi A.C. (Associazione Civile, fondata nel 1969), nel mettere a punto e attuare un primo intervento di lotta biologica adeguata, compresa la costruzionedi alcuni laboratori per la produzione dei microrganismi antagonisti del fungo, l’Associazione Tatawelo ha ricevuto l’approvazione di un Progetto specifico e il suo finanziamento con 25.000 euro dalla Commissione 8×1000 della Chiesa Valdese.
La campagna Tatawelo 2016 di prefinanziamento per sostenere i piccoli produttori delle montagne del Chiapas è in corso; c’è tempo fino al 29 febbraio 2016 per ordinare il caffè che i produttori hanno già incominciando a raccogliere. Una tazzina di caffè non solo assicura un prezzo equo a chi lo coltiva, ma nel supporto alle comunità zapatiste, diviene uno strumento per conoscere le proposte di cambiamento lanciate dal sud del mondo, affiancare processi di resistenza al modello economico e politico dominante e di intrecciare in modo orizzontale le nostre speranze di cambiamento con quelle di altri cittadini e cittadine del mondo.
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