L’incontro tra reti. Gas e cittadini, nella città pugliese (foto), ha mostrato un pezzo di società che rifiuta i giochi del mercato. L’obiettivo è mettere sottosopra, attraverso un fare sociale e stili di vita diversi, la loro economia e l’idea di proprietà. Prossima casella? Pisa.
Monopoli è abbastanza distante da molte contraddizioni evidenti. E’ distante da Taranto, e dall’impianto dell’Ilva che mostra, semmai ce ne fosse ancora bisogno, che i mercati e le proprietà lasciati a se stessi generano mostri. Dalla Basilicata, ridotta ad un colabrodo da imprese petrolifere che troppo spesso hanno il benestare delle pubbliche autorità. Persino dalla pessima Green economy, quella che ha trasformato ettari di terreno coltivabile in una grande e diffusa centrale elettrica, mostrando come non basti la tecnologia, seppur pulita ed auspicata, a garantire la transizione ecologica.
Ma Monopoli è stata abbastanza vicina alle aspettative di molti che dalle diverse reti dell’economia solidale italiana (Res) si sono dati appuntamento nello scorso fine settimana sulle coste baresi. In questo tredicesimo incontro della Res nazionale al capitale delle relazioni si è sommato un altro patrimonio, quello dei diritti e della volontà di tutelarli, affiancando all’importante proposta di economia alternativa concreta (necessaria ma non più sufficiente) la consapevolezza più ampia che solo attraverso il cambiamento delle regole, con azioni locali, nazionali ed internazionali, è possibile alzare un bastione davanti ai corsari del mercato.
Proprietà privata
C’è un filo rosso che ha legato quella cinquantina di persone che, all’incontro nazionale di Monopoli nel gruppo di lavoro specifico sulla transizione e i movimenti, ha ragionato su quali proposte portare all’assemblea conclusiva. Ed è lo stesso che intreccia il caso Ilva, con la prepotenza dei suoi proprietari, con la provocazione di Fidenato, il contadino friulano che ha ritenuto che nel campo di sua proprietà si sarebbero potuti coltivare Ogm. Oppure l’invadenza di multinazionali come Eni, che utilizzano il territorio lucano come fosse casa loro, con le lotte che i contadini di mezzo mondo portano avanti per impedire la nascita di nuove enclosures. Quel filo rosso si chiama tutela dell’investitore e intoccabilità della proprietà privata. Sono i moloch del libero mercato, protetti nella loro fortezza ideologica da regole internazionali (e nazionali) prima ancora che da uomini armati nelle piazze, come si sta dimostrando in Turchia e come si vide nelle strade di Genova. Sono gli spauracchi delle confindustrie di mezzo mondo, ma uno strumento potentissimo in mano alle comunità ed ai territori.
Se dimentichi la funzione sociale, e la collegata utilità per la collettività, dice la Costituzione, perdi la tua titolarità sul bene. Uno scenario che apre prospettive ben più ampie della semplice risposta delle legge (possibile esproprio), ma rimette in campo un mondo molto più complesso, fatto di proprietà collettive, di diritti delle comunità, persino dell’idea di un ecosistema soggetto, e non solo oggetto, di diritti. E qui sta il punto di contatto tra l’economia solidale, che nasce sulle relazioni, e la questione del sistema economico e della proprietà, che richiama il conflitto: il punto di incrocio si chiama comunità, intesa come la collettività in relazione con l’ambiente ed il territorio. Aperta, solidale, ma basata su relazioni reali tra le persone, con le loro “tradizioni”, la loro “cultura” e la voglia di aprirsi, e tra queste e l’ambiente circostante. E’ la stessa filosofia che anima tante realtà in tante parti del mondo, a cominciare dai movimenti nativi, come le First Nations in Canada o le comunità indigene in Amazzonia, che si oppongono alle petrolifere e alle privatizzazioni a partire da sé e dalla loro relazione con la natura.
Ci vediamo a Pisa
Quel gruppo di lavoro di Monopoli, e quell’assemblea che ne ha accolto le conclusioni, si sono inseriti nel grande alveo di una comunità umana consapevole, ecologica, solidale, che unisce la proposta concreta e la relazione umana al conflitto con un modello di sviluppo irriducibile. E’ il primo passo di un percorso che intreccerà i territori e porterà esperienze, sperimentazioni e proposte a Pisa il 20, 21 e 22 settembre prossimi. All’ex Colorificio liberato, nel Municipio dei Beni Comuni pisano, si parlerà di proprietà privata e della sua funzione sociale.
Nelle prossime settimane e a Pisa si cercherà di interconnettere esperienze diverse, dai movimenti argentini, turchi, greci alla società civile italiana, dalle fabbriche occupate alle terre liberate, dalle reti dell’economia solidale ai movimenti per la tutela dei beni comuni. L’obiettivo è unico: incontrarsi per ritornare nei territori arricchiti di esperienze, risposte, soluzioni e relazioni. A settembre, all’inizio dell’autunno, con l’ambizione di una transizione da concretizzare tutti insieme.
La petizione perché il Colorificio liberato di Pisa diventi proprietà collettiva:
Letture consigliate:
Del nostro archivio, suggeriamo la lettura di Vie di fuga dalla proprietà (a proposito dei limiti e della resistenza alle prepotenza della proprietà, articolo di Stefano Rodotà), Lo Stato non serve il bene comune (una nota critica di Raul Zibechi a «Le città ribelli», l’ultimo libro di David Harvey), Lo spirito di Sintagma (sul concetto di comune, a partire da alcune esperienze di resistenza emerse in Grecia),I percorsi misteriosi delle speranze (in cui Gustavo Esteva ragiona di movimenti e sparanza) ma anche Un nuovo diritto metropolitano (Ugo Mattei), Decrescita e commons (Paolo Cacciari) e questo saggio sulla storia dei commons di Noam Chomsky. Infine, su quanto sta accadendo nella città della torre Pisa libera tutti.
ho partecipato allo sbarco a Monopoli, sono di Milano, mi tenete informata sull’esperienza di Pisa? grazie
Ciao Francesca, puoi seguire gli aggiornamenti (che verranno inseriti nei prossimi giorni e nelle prossime settimane) su http://www.rebeldia.net.
In ogni caso come Comune-info seguiremo da vicino gli sviluppi pisani
ciao