Dal 2018 il piú ricco fondo del mondo e il principale azionista singolo sui mercati internazionali, il fondo sovrano norvegese, disinveste una somma tra i 35 e i 37 miliardi di dollari da titoli di aziende attive nell’estrazione e vendita di petrolio e di gas. E pensare che la Norvegia è l’unico Stato al mondo che, con il petrolio, si è arricchito in maniera democratica ed equa quasi per tutti. Ora i norvegesi anticipano tutti con una scelta storica, che dovrebbe far almeno riflettere tutti gli altri investitori pubblici e privati, a cominciare dalla Banca della Ue, prigioniera del passato e dell’asservimento al business dei soliti e noti distruttori del pianeta. Un segnale dirompente al mercato arriva invece dal fondo norvegese, un gigante non solo per la taglia ma soprattutto per la lungimiranza e l’esempio di democrazia e promozione dell’interesse pubblico che dà al mondo intero. Gratulerer (complimenti)!
di Antonio Tricarico*
Il Fondo Sovrano Norvegese, il più grande al mondo dal momento che gestisce asset per più di mille miliardi di dollari, ha pubblicamente espresso il suo desiderio di uscire dagli investimenti nei combustibili fossili nel 2018. Sulla carta potrebbe quindi spostare a breve via dal settore ben 40 miliardi di investimenti (vedi qui la news di Bloomberg).
Alla base dell’impegno vi è senza dubbio la sensibilità ambientale e l’urgenza di frenare i cambiamenti climatici, ma soprattutto il desiderio di emancipare finalmente la ricchezza della Norvegia – un Paese con soli 4 milioni di abitanti, pari a quelli di Roma e dintorni per capirsi – dall’economia del petrolio e dalle sue pericolose fluttuazioni.
La ricchezza accumulata dal Fondo nasce infatti dall’utilizzo trasparente e fruttuoso delle risorse petrolifere del Mare del Nord nei decenni passati, nonché dai contributi pagati per le pensioni dai lavoratori norvegesi. La Norvegia è l’unico Stato al mondo che con il petrolio si è arricchito in maniera democratica ed equa all’incirca per tutti. Nel 2016, il Fondo, che è pubblico e sotto il controllo del Parlamento, aveva già deciso di uscire dal carbone per motivi ambientali. Oggi è consapevole che in prospettiva, con gli investimenti nell’esplorazione di petrolio e gas che non si fermano, il prezzo del petrolio rimarrà basso o potrebbe addirittura scendere ulteriormente. Una situazione che mette a rischio la solidità e la redditività delle imprese del settore, che tardano a prendere la strada di una vera transizione energetica e della decarbonizzazione. Motivo per cui i norvegesi anticipano tutti e progettano di smettere di investire in Shell, Exxon, Eni e compagnia cantante. Una scelta storica, che dovrebbe far riflettere, se non inspirare a fare altrettanto, tutti gli altri investitori pubblici o privati che siano. Un segnale dirompente al mercato, per chi lo vuole intendere, purtroppo al momento ancora pochi.
In Europa, di contro, i soliti noti delle lobby petrolifere e dei loro replicanti nelle istituzioni si affaticano a veicolare ancora più risorse pubbliche nell’economia del petrolio e del gas. Recentemente è stato rivelato come la Commissione europea abbia pesantemente pressato la Banca Europea per gli Investimenti (Bei) per rompere gli indugi e finanziare il cosiddetto Corridoio Sud del Gas (noto anche con gli acronimi TAP e TANAP), che porterebbe il gas dall’Azerbaigian al Salento in Italia. Al proposito Re:Common è in grado di produrre la lettera inviata dalla Commissione al seguente link.
Come ormai sappiamo bene, l’opera è controversa e criticata dalle comunità locali e da tante organizzazioni a livello europeo. La Bei vorrebbe concedere prestiti per 3 miliardi di euro, una follia poiché nessuna singola opera ha mai ricevuto così tanti prestiti pubblici dalla Banca dell’UE. Poco importa che il mega gasdotto vincolerà per decenni l’Europa al consumo di gas. E a chi protesta anche con ricorsi contro presunte violazioni del consorzio costruttore in Italia, la Banca risponde di rivolgersi alle imprese e non al suo meccanismo interno per i ricorsi, ed anzi aggiunge che è meglio che chi denuncia accetti che la propria identità sia resa pubblica (qui la lettera di risposta della Bei). Un invito sgradevole, vista la militarizzazione in corso nel Salento per permettere ai lavori di andare avanti, anche se a fatica.
Il fondo norvegese è un gigante non solo per la sua taglia, bensì soprattutto per la lungimiranza e l’esempio di democrazia e promozione dell’interesse pubblico che dà al mondo intero. Da noi la Banca dell’Unione Europea sembra preferire gli interessi dei soliti noti e il sostegno a un business sempre più legato al passato che al futuro. La Banca dell’Unione Europea e molti dei suoi governi azionisti, tra cui quello italiano in prima fila, appaiono dei nani determinati a buttare al vento 3 miliardi di soldi pubblici pur di non ammettere che è venuta l’ora di cambiare e dire no a chi vuole continuare a distruggere il pianeta solo per i suoi interessi di bottega.
Ironia della sorte, la Bei dovrebbe decidere sul finanziamento della mega opera proprio il prossimo 13 dicembre, il giorno dopo il summit sulla finanza per il clima convocato a Parigi dal Presidente francese Emmanuel Macron. In quel contesto, le stesse banche pubbliche e governi europei potrebbero prendere alcuni impegni a parole per ridurre il sostegno ai combustibili fossili per far fronte all’esigenza climatici. Parole da nani (politici), appunto, se poi i fatti dicono altro.
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