
La parte monografica del numero 362 della rivista “EMMA”, il bimestrale fondato da Alice Schwarzer, si compone di sei articoli e un documento: uno scritto del 1909 di Bertha von Suttner, la prima donna a essere insignita del premio Nobel per la pace nel 19051. Questo breve resoconto si sofferma in particolare sugli articoli che trattano diffusamente della condizione delle donne.
Il primo scritto, dal titolo, Sulle donne si può contare, è una raccolta di testimonianze di donne ucraine rifugiate in Germania a cura di Annika Ross. L’84 per cento delle persone profughe, infatti, sono donne e sono le donne che offrono loro asilo, consigli e aiuti.
“Una rete di donne che mi sostengono è cresciuta intorno a me in pochissimo tempo” (p. 20), ha dichiarato una di loro. Donne e ragazze che avevano qualche legame con la Germania hanno potuto contare sull’aiuto delle persone che avevano conosciuto come ragazze alla pari, studentesse, o come membri di una comunità ecclesiale, o ancora attraverso conoscenti che avevano studiato in Germania. All’ospitalità nelle case private si sono aggiunte altre forme di aiuto: maestre in pensione di 70 e 80 anni si sono offerte di occuparsi dei bambini, altre donne di dividere le proprie stanze. Tutte offrono conforto alle donne traumatizzate che sono fuggite per mettere in salvo o figli e proteggere le figlie dal rischio dello stupro, ma sulle quali pesa un senso di colpa per aver abbandonato qualcuno al suo destino: un’amica che poi è stata uccisa, una vecchia madre ammalata, o, come è accaduto a Natalia Olowska, i bambini di due orfanotrofi di Kiev affidati alle sue cure e che già prima della guerra “non stavano bene”.
Irena Malikova, ginecologa, avrebbe voluto restare: “Sono medica, devo aiutare”, pensava. Ma quando la figlia di un’amica è stata violentata da un soldato, pur a malincuore è partita, lasciando dietro di sé la madre che non poteva camminare.
Il tema dello stupro è trattato da Slavenka Drakulič la scrittrice e giornalista femminista croata nota in Italia soprattutto per la sua opera sui crimini contro le donne nelle guerre della ex Jugoslavia (Come se io non ci fossi, Mondolibri, Milano 2000). Nell’articolo Stupro, strategia di guerra ricorda che, benché l’immagine ricorrente della donna piangente con in braccio un bambino sia il simbolo delle sofferenze di tutte le guerre, il vissuto femminile non è mai al centro della scena. Nei primi tempi della guerra le donne che apparvero nei telegiornali erano le donne combattenti (attualmente sembra siano 36.000); poi apparvero le notizie degli stupri, ma ancora mancano informazioni precise. Sappiamo però che in Ucraina, prima della guerra, le donne vittime di una qualche forma di violenza sessuale erano numerosissime (3 su 4 donne dai 15 anni secondo uno studio dell’OSCE del 2019) e sappiamo che in guerra gli stupri aumentano, sono spesso di massa e sono usati come arma di guerra (tra il 1991 e il 1995 in Bosnia sono stati da 10.000 a 50.000).
Per la prima volta dopo quelle guerre, le donne hanno voluto parlare della loro esperienza, hanno denunciato e testimoniato di fronte al Tribunale internazionale penale per la ex Jugoslavia che ha definito lo “stupro sistematico” un crimine contro l’umanità e ha emesso numerose condanne. Per questo, scrive Drakulič, è importante raccogliere le prove di tali crimini di guerra nel modo più accurato possibile. Le donne ucraine non sono vittime collaterali, gli stupri di massa non sono un effetto collaterale e nemmeno una coincidenza in questa guerra.
“L’esercito nemico, conclude l’autrice, non crede che la punizione lo raggiungerà, ma le sue vittime devono crederci per sopravvivere” (p. 23).
Ma anche le donne ucraine profughe, che viaggiano sole (una su cinque secondo i dati del Ministero dell’interno tedesco), sono esposte alla violenza o alla schiavitù sessuale con allarmante frequenza. Ne tratta l’articolo dedicato al traffico di esseri umani2, Traffico di esseri umani, aiuto rapido!
Alla stazione di Berlino, ma anche in altre città e al confine con la Polonia i trafficanti attendono e offrono alloggio sfruttando la condizione di debolezza delle donne: traumatizzate, esauste e spesso indigenti. Ad oggi sono già centinaia, secondo l’agenzia ONU, le donne di cui si sono perse le tracce.
A Stoccarda le donne e le ragazze vengono accolte dalle volontarie di “Wolja”, una organizzazione fondata da donne ucraine e tedesche, e le avviano verso luoghi sicuri. Avvisi alle stazioni mettono in guardia le donne e le invitano a seguire solo i canali ufficiali. L’avvocata e consulente dell’OSCE contro la tratta, Sandra Norak, ha predisposto volantini informativi affinché le ragazze non cadano nella rete della prostituzione. In questa guerra, “i media – scrive Norak – sono stati costretti a interessarsi del triste ruolo che la Germania svolge nella tratta” a scopo di prostituzione (p. 25).
Già nel 2017 le femministe ucraine avevano protestato con cartelli e striscioni davanti all’ambasciata tedesca a Kiev. “Noi, le donne di FemUA Nordic Model, siamo femministe ucraine e sosteniamo la criminalizzazione dei clienti sulla base dell’esempio della Svezia. Per prostituzione intendiamo la violenza perpetrata dai clienti. La Germania promuove lo sfruttamento sessuale e attira le giovani donne ucraine nella prostituzione” (ivi).
La Germania non è solo “il bordello d’Europa”, ma anche il “grembo d’Europa”, lo scrive Annika Ross nell’articolo dal titolo Ordinato e non ritirato sulla condizione delle madri surrogate in Ucrainache si apre con queste parole:
“30 bambini sono sdraiati uno accanto all’altro nelle loro culle come in un reparto neonatale. bambini di diverse etnie; indiani, cinesi, europei. Otto infermiere vanno di letto in letto, danno i biberon, cambiano i pannolini, cullano il bambino. Quasi ogni giorno viene aggiunto un nuovo bambino. Non è un ospedale […], ma un rifugio antiaereo a Kiev, nel mezzo della guerra. Cadono le bombe” (p. 26).
La clinica di maternità surrogata ucraina BioTexCom ha pubblicato le foto dal bunker per rassicurare i suoi clienti. Ci sono molte agenzie e cliniche di maternità surrogata in Ucraina, BioTexCom è la più grande e ha 600 madri surrogate “nel programma”. Le donne hanno tra i 18 ei 40 anni. Anonimato, prezzi convenienti, vicinanza sono condizioni imbattibili per i clienti occidentali. “È lo sfruttamento dell’Oriente da parte dell’Occidente”, scrive l’autrice. Il prezzo di partenza per un bambino è di circa 40.000 euro, la madre surrogata ottiene circa 10.000 euro, tre volte lo stipendio medio annuo in Ucraina. Ora, in guerra, “le merci” non possono essere ritirate. Le madri surrogate “per contratto” non possono allattare i bambini, né tenerli con sé.
“Molte delle madri surrogate nei bunker temono per il proprio figlio che è in fuga con la nonna o la zia. E cosa succede se ci sono complicazioni durante il parto? Cosa succede se un bambino prematuro deve essere portato a casa o una madre deve essere operata d’urgenza? E se un bambino ha disabilità dalla nascita? E cosa succede effettivamente alle madri surrogate una volta che hanno partorito? Saranno messe fuori dalle porte dei rifugi antiaerei mentre l’esercito russo riduce Kiev in macerie?” (p. 27).
Solo dopo la guerra emergeranno le sofferenze e le ingiustizie patite da queste madri in tutta la loro drammaticità.
Chiudono la monografica di “EMMA” due articoli rispettivamente di Susanne Schroeter, I nostri amici, gli emiri, e di Harald Welzer, Sul genere e l’eroismo. Il primo, mette in luce le contraddizioni della politica della ministra degli esteri Annalena Baerbock che nel gennaio 2022 aveva annunciato una politica climatica orientata ai diritti umani e una politica estera femminista e i recenti contatti con gli Emirati arabi per promuovere una partnership energetica. Il secondo articolo si sofferma sul linguaggio dell’eroismo che ha pervaso i media e che riflette la seduzione della guerra.
“La narrativa di fondo dell’eroe maschio disposto a rischiare la vita per difendere la nazione funziona all’istante. E con essa la partecipazione vicaria alla violenza, motivo per cui si è subito favorevoli alle armi per sostenere i nuovi eroi”. Ma la militarizzazione del linguaggio che si è instaurata immediatamente in connessione con la guerra di aggressione di Putin e ha permeato le colonne dei giornali, così come i dibattiti televisivi è estremamente pericolosa. “Perché il linguaggio della guerra ha un effetto invasivo, plasma le interpretazioni e le analisi e quindi esercita pressione sulle decisioni” (p. 31) .
Note
1 Il testo di Bertha von Suttner, definito “tragicamente attuale”, è una lucida analisi del militarismo che crea sfiducia per alimentare costantemente conflitti e armamenti. Ad esso sarà dedicato uno dei prossimi contributi alla rubrica.
2 L’articolo, non firmato, è probabilmente a cura della redazione della rivista.
[Questa pagina fa parte di Voci di pace, spazio web
di studi, documenti e testimonianze a cura di Bruna Bianchi]
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