di Saverio Tommasi*
È stato l’ultimo ad essere riconosciuto fra i morti dell’attentato all’aeroporto di Bruxelles. È stato l’ultimo ad essere riconosciuto perché non capivano chi fosse, lui era un clochard e quella mattina non l’aspettava nessuno e non stava andando da nessuna parte, lui viveva lì, in aeroporto. I chiodi e il vetro sparati addosso lo avevano reso irriconoscibile, più irriconoscibile degli altri. Era l’ultimo in tutti i sensi, Rosario Valcke. Uno di quelli di cui non frega un cazzo a nessuno e la gente se ne accorge solo se puzzano un po’, oppure che fastidio però, o anche “ma ci sono anche qui?”.
Era dentro al bar, al momento dell’esplosione, non si sa se ha fatto in tempo a chiedere il solito cornetto e cappuccio, quella mattina e da un anno a quella mattina, da quando cioè aveva perso il lavoro da magazziniere. Forse se n’è andato a pancia vuota, Rosario. E con queste righe che non valgono niente voglio salutarlo, perché c’è più dignità nella sua morte, e nella sua vita, che in tutti i kamikaze del mondo.
Ciao Rosario, che tutti i cappuccini dell’altro mondo vengano a te.
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