di Antonio Tricarico
Nel corso della scorsa estate, il governo italiano ha avviato una consultazione sulla Strategia Energetica Nazionale che sarà adottata nei prossimi mesi. Un documento ampio, che prevede scenari ed evoluzioni del nostro sistema energetico per portarlo in linea con gli impegni internazionali sul clima sottoscritti a Parigi nel 2015 e più nello specifico con quelli europei.
Questa occasione ha permesso di far emergere con più chiarezza le posizioni dei vari attori nazionali del settore, in primis di Eni ed Enel, che questa volta hanno portato visioni ben differenti. Dal 2014, sotto la gestione dell’ad Francesco Starace Enel ha avviato una profonda evoluzione del suo business, adottando un obiettivo di decarbonizzazione al 2050, che prevede una fuoriuscita da carbone al massimo nei prossimi 15 anni. Almeno stando a quanto dichiarato dallo stesso amministratore delegato alla scorsa assemblea degli azionisti della multinazionale.
La realtà come sempre è molto più complessa. La strategia nazionale sul carbone prevede vari scenari, con una chiusura minimale di solo 4 degli 8 impianti a oggi ancora funzionanti in Italia al 2025 o al 2030. Gli scenari più avanzati ruotano intorno allo stop anche del mega impianto di Cerano, a sud di Brindisi. La centrale, una delle più grandi d’Europa, è già stata oggetto di un provvedimento giudiziario per l’inquinamento provocato sui campi antistanti. Recentemente è stata posta sotto sequestro – anche se con permesso di utilizzo – da parte della Procura Anti-mafia per un presunto smaltimento illegale delle ceneri. Nonostante il Ministero della salute nei mesi scorsi avesse segnalato la sua obiezione al rinnovo dell’autorizzazione ambientale integrata (Aia) per la centrale Enel di Cerano, a fine luglio, nel silenzio generale, i funzionari del Ministero dell’ambiente l’hanno sorprendentemente concessa. Un’autorizzazione che lascerebbe Cerano in funzionamento ancora per molti anni, probabilmente con pesanti impatti per la salute dei cittadini.
Incalzata sul carbone in Italia – ma anche per quello in Spagna gestito dalla controllato Endesa – l’Enel fa presente che una chiusura degli impianti a carbone lascerebbe spazio per la costruzione di nuovi centrali a gas, che rimarrebbero in funzionamento per decenni, mettendo parimenti se non di più a rischio il raggiungimento degli impegni sul clima . Una posizione discutibile, visto l’eccesso di capacità di generazione di energia elettrica oggi presente sia in Italia che in Spagna, ma soprattutto perché contestualmente l’Enel e altri gestori fanno capire al governo che solo il pagamento di rimborsi per completare gli ammortamenti degli investimenti fatti permetterebbe una chiusura “prematura” di Cerano, così come di Civitavecchia di altri impianti.
Dietro questa posizione, si cela in realtà uno scontro serrato con l’Eni, che avendo gas in abbondanza ha tutto l’interesse e la facilità di costruire nuove centrali a gas e sottrarre quote di mercato di Enel. Nel frattempo la Commissione europea ha recentemente proposto l’adozione di un limite per l’efficienza degli impianti in termini di emissione, pari a 550 g/Kwh di CO2. Tale provvedimento aprirebbe la strada a nuovi investimenti nel gas, in modo da rimpiazzare gran parte degli impianti a carbone. Il coordinamento delle utility europee, denominato Eurelectric, per altro presieduto da Starace, ha risposto con forti critiche alla proposta di Bruxelles, ritenuta inefficace. Ma in realtà molte delle utility di Eurelectric chiedono nuovi incentivi alla Commissione per coprire i costi più elevati per l’ambientalizzazione di diversi degli impianti a carbone da portare in linea con i nuovi e più stringenti standard europei, che entreranno in vigore dal 2021. Sempre con la scusa che il carbone vada mantenuto come una riserva strategica.
Insomma, alla luce di questa situazione ancora una volta si rischia che il salto di qualità atteso con la nuova strategia energetica non avverrà. In pratica la centrale di Cerano rimarrà funzionante senza alcuna data chiara per la sua chiusura (senza poi parlare dell’impianto di Civitavecchia), mentre nuovi impianti a gas saranno lo stesso sdoganati come erroneamente “amici del clima”. Tra i due litiganti la popolazione locale in Puglia, come in altre regioni dove rimarranno funzionanti gli impianti a carbone, rischia di continuare ad ammalarsi e anche a morire, come analizzato in numerosi studi europei sul tema . Se questo sarà l’esito della consultazione, e la posizione del governo, allora non resta che sperare ancora una volta nell’azione delle procure che in difesa della salute pubblica inizino a sequestrare gli impianti più inquinanti, come successo nel marzo 2014 a Vado Ligure, nei pressi di Savona.
Fonte: re:common
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