La violenza inarrestabile che colpisce le donne dovrebbe costringere prima di tutto gli uomini a mettere in comune nuove domande importanti. Ma tante e tanti si chiedono oggi perché il movimento di liberazione delle donne non sia ancora riuscito a generalizzare la sua cultura, che riguarda uomini e donne, sfera pubblica e privata. Di certo, si è trattato di un soggetto politico imprevisto e anomalo, quello apparso in tutto il mondo negli anni Settanta e che oggi non smette di agitarsi: il suo assunto più ambizioso e radicale, secondo Lea Melandri, è stato creare un'”altra lingua”, con cui mettere in discussione il sapere ufficiale. Forse molte donne esitano ancora ad affrontare l’inevitabile conflitto aperto dal germogliare di “saperi inediti”
C’è una storia di donne partigiane da riscoprire in tante città, ricorda Non una di meno Reggio Emilia: anche così si alimentano saperi nuovi
Di fronte alla violenza inarrestabile che colpisce le donne, sono molti gli interrogativi che dovremmo porci. Ad esempio: come mai la cultura politica prodotta da un percorso di riflessione di cinquant’anni di femminismo e oltre non ha la visibilità e l’incisività che ci si aspetterebbe, soprattutto se si tiene conto che alcune delle tematiche su cui si è mosso – corpo, sessualità, maternità, salute, divisione sessuale del lavoro, ecc. – sono oggi al centro della vita pubblica? Perché il femminismo non è riuscito a generalizzare la sua cultura, che riguarda uomini e donne, sfera pubblica e privata? Che difficoltà abbiamo incontrato e incontriamo per sentirci oggi così “povere”, pur possedendo un sapere prezioso, uno sguardo sul mondo indispensabile per capire i rivolgimenti in atto nel presente?
Parto da una osservazione elementare: sono stati i saperi, oltre che i poteri della comunità storica degli uomini a definire che cosa è “femminile”, a esercitare più o meno direttamente sui corpi, sulla vita psichica e intellettuale delle donne, controllo, imperio, sfruttamento, violenza, o, al contrario, esaltazione immaginativa. Attraverso i saperi passa la violenza più insidiosa, perché invisibile, che è l’interiorizzazione di una visione del mondo e immagine di sé dettata da altri: un modo di pensarsi, di sentire, di essere che fa propria la lingua dell’altro.
Uscire da questa pesante eredità storica ha comportato per le donne un doppio “scarto”: smascherare la falsa neutralità dei saperi creati dal sesso maschile, ma anche sradicare quella che Sibilla Aleramo, già agli inizi del Novecento, definiva:
“una rappresentazione del mondo aprioristicamente ammessa e poi compresa per virtù di analisi”.

Le difficoltà che il sapere prodotto nel decennio anni Settanta ha incontrato si può dire che siano legate in parte alla radicalità del suo assunto: un soggetto politico imprevisto e anomalo, quale era la soggettività femminile, collettiva e insieme rispettosa della singolarità, una “presa di parola” che denunciava, al di là di svantaggi e discriminazioni sociali, una “espropriazione di esistenza”, a partire dal destino toccato alla sessualità femminile, identificata con la procreazione, e quindi cancellata come tale, da cui il ruolo “naturale” di madre, la dedizione all’uomo, il sacrificio di sé. Era una affermazione di “libertà ” che si poteva come lento processo di “liberazione ‘ dalle tante “illibertà” interiorizzate: nel vissuto amoroso, nelle relazioni familiari, nella malattia, nella follia, nell’assuefazione alla violenza domestica.
L’assunto più ambizioso e radicale del femminismo anni Settanta è stato quello di creare un'”altra lingua”: capace di “ragionare con la memoria profonda di sé, la lingua intima dell’infanzia e, contemporaneamente, con le parole di fuori, i linguaggi della vita sociale, del lavoro, delle istituzioni”. Ma si trattava anche di saper affrontare la conflittualità che questo “sapere inedito” avrebbe aperto in tutti i luoghi in cui le donne sono presenti. È questo conflitto che le donne esitano ad affrontare?
Altri articoli di Lea Melandri sono leggibili qui. Su Archivio di Lea invece è consultabile un’importante patrimonio di storia e memoria del femminismo anni Settanta, frutto di un’opera collettiva.
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