Una selva intricata e poco incline all’ordine, un territorio libero, impossibile da definire e classificare, o forse una costellazione di territori, dove vanno e vengono, si ascoltano e s’incontrano, racconti del gridare, del fare e del pensare insieme. Racconti delle resistenze e delle ribellioni che creano risonanze contro un modo di organizzare la vita che minaccia, in molti e diversi modi, di estinguere la vita stessa. Queste nostre pagine comuni, così abituate a valicare agevolmente le geografie sociali e quelle politiche, strappano adesso l’ultimo foglietto di un calendario durato dieci anni. Comincia un calendario nuovo, segnato proprio in apertura da una nuova esplosione della più orrenda delle vicende umane. Ci piacerebbe però che tanti, ma proprio tanti, di coloro che scrivono e/o leggono queste pagine ci mandassero un dono. Un messaggio di auguri: un testo, un disegno, una foto, una citazione, un’invettiva contro chi alimenta l’idea che la tirannia, l’oppressione, la violenza e la guerra facciano parte della nostra stessa “natura”, ecc. E, chi può, ci mandi anche un modesto sostegno economico. Servirebbe a due cose. A liberare un po’ di tempo ed energie dalle troppe altre attività che chi sta ogni giorno tante ore nella cucina di Comune deve necessariamente svolgere per sopravvivere. E a regalarci un intero anno appena un po’ straordinario, l’undicesimo, di “campagna” ispirata e dedicata a quel che facciamo. Raccogliamo proposte. Intanto, grazie per averci fatto compagnia per tutto questo tempo e per aver alimentato la voglia di camminare ancora
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UNO. Dieci anni il 30 marzo. Non contiamo niente e non ci piace contare ma facciamo perfino un po’ fatica a crederci. È cresciuta, giorno dopo giorno, stagione dopo stagione, un’intera foresta: oltre quattordicimila pagine. Per ogni pagina c’è un articolo. Poco più di quattro articoli al giorno per ogni giorno di questi dieci anni – se vi piace giocare coi numeri – domeniche, Natale e Ferragosto inclusi. Non abbiamo mai consumato polpa di legno. Quelle pagine, aperte complessivamente quasi 15 milioni di volte, sono tutte custodite dentro scatole elettroniche e nello spazio che dieci anni fa chiamammo “siderale”. Perché ci orientiamo con il desiderio della luna e delle stelle e perché a noi l’idea del “virtuale” non è mai piaciuta. Cerchiamo di tenere le pentole e le stoviglie con cui cuciniamo Comune ben ancorate a un senso di realtà. Non abbiamo mai coltivato utopie, proviamo a far crescere speranze, quelle che regala la vita quando si difende.
DUE. Dieci anni e non abbiamo ancora finito, anzi. Per molti versi, tutto quel che volevamo raccontare deve ancora arrivare: “L’avventura che vogliamo tentare è ambiziosa. Si tratta, soprattutto, di raccontare la vita senza il dominio delle cose sulle persone. Un dominio segnato dal mito della crescita infinita e guidato da una macchina impazzita che corre verso l’autodistruzione del pianeta e di chi lo abita. Vorremmo farlo ogni giorno perché è nell’agire comune che può aprirsi la spessa coltre di segni e informazioni inutili che simula la naturalezza di un sistema predatorio e occulta le possibilità di cambiare il mondo”. Scrivevamo queste parole il 17 dicembre 2012, un lunedì, nove mesi dopo aver pubblicato la prima pagina di Comune, in un articolo intitolato “Abbracci, asteroidi e rivoluzioni”. Tre giorni prima, in una scuola elementare del Connecticut, un ragazzo di vent’anni aveva aperto il fuoco e ucciso 27 persone, 20 erano bambini di 6 e 7 anni. Poi quel ragazzo si era suicidato. Noi cercavamo abbracci, come chi è appena venuto al mondo.
TRE. Ci proviamo ancora, con alterne fortune, ad aprire strappi nella coltre che nasconde la voglia e le possibilità di cambiare il mondo. O forse, meglio, di fare mondi nuovi. Non certo in alto, né in superficie ma in profondità e tenendosi lontani dal potere. Perché tutti coloro che ci hanno provato in quel modo lì si sono scottati le dita fino a farle sanguinare. Fino a diventare uguali o simmetrici a quel che volevano cambiare conquistando lo Stato (e i suoi governi) con le armi, le campagne elettorali o con ogni altro mezzo. Negli Stati del mondo, oggi, dilaga la peste nera dei nazionalismi. Si alzano muri e s’inventano nemici per distogliere lo sguardo dalle macerie e da ciò che fa veramente paura: il caos sistemico e l’impossibilità di governarlo. E si continuano a fabbricare guerre, per lo più lontane dalle proprie frontiere. Guerre non dichiarate perché servono a scopi indicibili. Oppure lungamente ignorate, finchè poteri sempre più opachi non decidono di accendere o ri-accendere la macchina mediatica. Come per quella che devasta oggi l’Ucraina. Si continua a morire nel buio nello Yemen e in Etiopia e le tenebre sono tornate a calare sulle regioni abitate dai Kurdi, la Siria e tutte le altre terre condannate al silenzio. Perfino la guerra di tutti gli Stati contro tutti i popoli viene ignorata. Tranne che dai migranti o da chi fugge dalle bombe, dalla tortura, dalla fame o dal deserto che avanza.
QUATTRO. Gran parte del resto della popolazione mondiale, profondamente turbata dal dilagare di un virus del terrore raccontato in modo ossessivo e per la prima volta a scala planetaria, aspira al ritorno alla normalità. Meglio avere il coraggio di dirselo. Si desidera ciò che il mercato impone che si desideri. Si ha paura di ciò che l’economia e la finanza potrebbero temere. La vita non sembra avere alcun valore senza la produzione che serve ad accumulare beni di consumo e insaziabili profitti. Dopo più di due anni, un’idea di massima, seppur imprecisa, della normalità della dissoluzione sociale e della cancellazione dei corpi che accompagna la pandemia ce la dovremmo esser fatta. Il collasso generato dalle molteplici crisi del sistema capitalista, coloniale e patriarcale è evidente da tempo. Eppure quel sistema continua ad affermare il suo dominio, fino a minacciare l’estinzione di molta della vita del pianeta. Non la salveranno le ingegnerie sociali, men che mai quelle genetiche che provano a riscriverne i codici.
CINQUE. Nel XXI secolo le classi dominanti hanno deciso che non c’è più bisogno di così tanta gente per sostenere l’economia, la finanza e lo sviluppo delle tecnologie. Per questo impazzano le necro-politiche dell’espropriazione della vita, non solo di quella umana. C’è un’esigua minoranza di popolazione che gode dei benefici del consumo di alta qualità e di quelli prodotti dalle tecnologie e c’è un’immensa maggioranza di vite di scarto, non più necessarie a rigenerare il privilegio delle élite. Sono comunque troppe, quelle persone in eccesso, si prepara una selezione severa. Intanto tutta quella gente può intrattenersi con i social e nutrirsi di cibo plastificato, serie televisive tutte uguali, competizioni sportive o elettorali e altra spazzatura mediatica. Però quelle persone oggi vanno sorvegliate e represse in modo molto più dispotico, asfissiante e sofisticato che nel passato. Perché due secoli di potere disciplinare e alienazione lasciano ancora delle falle, delle fessure.

SEI. Possiamo ancora provare ad allargarle e moltiplicarle, quelle fessure? Sopravviveremo alla violenza, ogni giorno più intensa, cui ci sottopone la crisi di civilizzazione in cui siamo immersi? Come resistere ed evitare le trappole del disincanto, come bruciare le navi inservibili del passato e come far saltare in aria i recinti della proprietà della terra e dell’acqua? Riusciremo ancora ad allargare gli orizzonti ed estendere quel che ci viene presentato come il solo campo del possibile? Come si potrà alimentare la potenza dei senza-potere nel flusso del divenire contro la stasi dell’essere? E come continuare a far crescere ed educare all’aperto, liberamente, il pensiero critico e le pratiche di ribellione? Non lo sappiamo e la cosa giusta da fare, ancora una volta, è dirselo con sincerità.
SETTE. Recita un antico proverbio cinese citato da John Berger: “Durante la notte si è alzato il vento e ha portato via i nostri piani”. Ci resta, però, la politica che a noi di Comune è sempre piaciuta di più: quella delle domande. Dobbiamo accompagnarla, ci pare, con un’essenziale pratica della meraviglia e con la consapevolezza che tutto ciò che ci viene presentato come indiscutibile, indiscutibile non è. A cominciare da una guerra generalizzata che, con il declino dell’egemonia Usa e l’invasione neo-zarista, è arrivata in Europa ma minaccia di divampare ovunque, liberando tutte le forze distruttive del pianeta. Il dominio del denaro si alimenta dell’espropriazione delle risorse naturali come delle bolle finanziarie, ma anche di guerre degli (e tra gli) imperi scatenate con diversi pretesti. Le accompagnano nuovi tetri dispositivi fascisti che trasformano il malessere psichico e sociale in volontà di morte. Guerra moderna e fascismo sono ancora dinamiche inseparabili. A noi non resta che provare a ostacolare e sabotare con ogni mezzo, e con forme il più possibile collettive, creative e molteplici, ogni intento bellico, tanto sul piano militare che su quello mediatico e informativo. Con la consapevolezza di dover dubitare di tutto e perfino di non sapere esattamente quel che davvero è importante per uscire dall’incubo. Anche se da una cosa, forse una sola, sappiamo di doverci tener lontani: da quel che – risaputo e ripetuto, abusato e svuotato di senso – è diventato logoro.
OTTO. Sono soprattutto le resistenze e le ribellioni che vengono alla luce dalla profondità, quelle che emergono o riemergono, puntuali e impreviste, dall’impossibilità di essere contenute dal capitalismo, che oggi possono aiutarci a vedere i mondi nuovi che già ci sono o esistono in potenza. E non può che essere la meraviglia, la capacità di stupirsi, di guardare al di là del consueto e sotto il tappeto delle apparenze, a mettere in moto il motore del processo delle conoscenze che possono aiutare a liberarci dal dominio. Un processo senza risposte compiute è un processo che non si esaurisce. D’altro canto, nessuna delle risposte che cerchiamo, così come ogni successo delle nostre lotte, varrà per sempre. Per quel che ci riguarda, nell’intricata e disordinata foresta delle pagine di Comune, dobbiamo far sì che non vengano mai meno la voglia e la capacità di favorire l’ascolto e prendere la parola, il dialogo e l’incontro, le risonanze e il riconoscimento reciproco delle insubordinazioni. Non ci serviranno modelli o paradigmi, tentativi maldestri di metterle a valore per accumulare forza, che ne ostacolerebbero il flusso e le potenzialità di debordare dalle logiche e dagli schemi noti che finiscono per ossidarle. Dobbiamo lasciare che la vita ci sorprenda.
NOVE. È a tutto questo che pensiamo, dopo dieci anni di avventura e mentre i tank russi avanzano, che possa ancora servire quel che racconta Comune. A maggior ragione adesso che il cammino si è fatto più impervio e proviamo ad avanzare, coperti dalla polvere dalle macerie della guerra e delle nuove devastazioni prodotte dall’intreccio perverso tra la gestione della pandemia e quella delle altre crisi sistemiche. Avanzare verso dove? Verso la ricerca di nuove crepe nei muri di quel carcere che, forse solo per convenzione, continuiamo a chiamare capitalismo. Per illuminare quelle crepe, a Comune, abbiamo solo molta passione e attenzione (nell’accezione cara a Simone Weil), un po’ di tenacia e piccole lanterne dai vetri colorati, ma non abbiamo mai pensato di poterlo fare da soli. Non solo perché, per fortuna, esistono molti altri mezzi di comunicazione sociale liberi e indipendenti che sentiamo compagni di strada e a noi complementari, ma anche perché le nostre migliaia di pagine, tutte insieme, hanno costruito uno spazio comune ben lontano dalla completezza necessaria ma piuttosto originale. Una foresta di testi e immagini che, sfuggendo a ogni definizione, prova a far sentire parte plurale e variabile di sé chiunque scelga di pubblicarvi qualcosa ma anche chi legge e, soprattutto, pensa a Comune come a un valore d’uso per fare qualcosa insieme ad altri. Per costruire nuove relazioni sociali. Un fiume di persone e gruppi che non ha bisogno permessi, distintivi o credenziali per sentirsene parte. Anche per questo Comune non può essere comprato o venduto.
DIECI. Chi ci legge da tempo, e magari con una qualche frequenza, sa che parliamo di noi raramente e in occasioni piuttosto speciali. Il decimo compleanno non poteva non essere una di queste. Ci piacerebbe, dunque, che in modo singolo o variamente associato coloro che scrivono e/o leggono queste pagine ci mandassero stavolta un messaggio di auguri (un testo, un disegno, una foto, una citazione, un’invettiva contro chi alimenta l’idea che la tirannia, l’oppressione, la violenza e la guerra facciano parte della nostra stessa “natura”, ecc.). E poi anche un modesto sostegno economico, laddove si può, che servirebbe a due cose. A liberare un po’ di tempo ed energie dalle molte altre attività che chi sta tante ore nella cucina di Comune deve necessariamente svolgere per sopravvivere. E a regalarci un intero anno, l’undicesimo, di “campagna” ispirata e dedicata a quel che facciamo. Potrebbe essere un anno, lungo e un po’ straordinario, da pensare e inventare insieme. Senza troppo impegno, con fantasia. Un riconoscimento reciproco che quel che facciamo, con un bel po’ di fatica e qualche rigore (ma anche con impertinenza), non risponde a un “senso del dovere” ma un (altro) senso ce l’ha, riesce a trasmetterlo e soprattutto ci piace. Pensiamo, per ora, a una giornata dedicata a Comune in cui chiamare i lettori a inventare piccole iniziative nei tanti territori in cui queste pagine arrivano. E poi a un appuntamento, a Roma, di confronto libero e non gerarchico con la redazione e chiunque vorrà e potrà raggiungerci. A fine 2022, inoltre, prepareremo un’altra piccola sorpresa, editoriale, magari per allungare un po’ lo sguardo sul futuro. Raccogliamo proposte, se ne avete voglia, per confezionare tutto questo. Intanto, tenetevi liberi. E grazie infinite per averci fatto compagnia fin qui e per aver alimentato, con essenziali e appassionati ascolti, la voglia di camminare ancora.
Versamenti sul: c/c bancario dell’associazione Persone Comuni
IBAN IT58X0501803200000000164164; Banca Pop. Etica, Roma;
causale Campagna 2022
È possibile inviare il sostegno anche con PAYPAL
Inviate un messaggio di auguri a Comune (un testo, un disegno, una foto, una citazione…) via email: . Grazie.
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Grazie, Annalisa. Abbiamo scritto le righe che riportiamo qui sotto pensando proprio ad alcune persone “importanti” che hanno condiviso tempo, energie, pizze rustiche, sedie e piatti da lavare per le Taverne comunali, idee, critiche, progetti e molte altre cose belle con noi in questi dieci anni. Una di quelle persone sei proprio tu. Grazie ancora… “Una foresta di testi e immagini che, sfuggendo a ogni definizione, prova a far sentire parte plurale e variabile di sé chiunque scelga di pubblicarvi qualcosa ma anche chi legge e, soprattutto, pensa a Comune come a un valore d’uso per fare qualcosa insieme ad altri. Per costruire nuove relazioni sociali. Un fiume di persone e gruppi che non ha bisogno permessi, distintivi o credenziali per sentirsene parte. Anche per questo Comune non può essere comprato o venduto”.
Grazie Silvia!
Grazie Sara, per aver cominciato a condividere pensieri ed esperienze.
Grazie, Paolo, per far belle e importanti pagine insieme a noi da ben prima che Comune venisse al mondo
Dai Rosa, malgrado tutto andiamo avanti, non smettiamo di immaginare e di creare mondi nuovi. Grazie!
In anni di sconvolgimenti planetari il compito di una mente pensante è di mantenere in funzione i pochi strumenti del pensiero critico. Per questo auguro lunga vita a Comune-info
Grato. da tempo, oggi di più…
Grazie Luigi. Avanti tutta
Articoli molto interessanti e fuori dagli schemi comuni