Avventure minime in città, alla periferia di Imola. Due storie vere, brevissime, senza cellulare e forse un po’ punk ma senza commenti. E se proprio volete una ‘coda’… c’è quella del topo
di Daniele Barbieri
Periferia di Imola. Poso la bici e mi seggo su una panchina. Lì accanto un ragazzino, non troppo vistoso… però l’occhio mi cade sui suoi pantaloni dove con un pennarello è stato scritto: «Invece di spendere soldi e rovinare i pantaloni immaginatevi che qui sia bucato, così sono alla moda anch’io».
Penso: “geniale”.
Non resisto: «Bellissima idea» gli faccio, indicando i pantaloni. Sorride.
«Che reazioni?» gli chiedo. «Le più varie, c’è chi non capisce» risponde lui.
Ridacchio e aggiungo: «Magari diventerai famoso come Lucio Fontana, sai chi è?» ma mentre lo dico penso che la sua idea è l’opposto dei “buchi” d’artista. Lui: «Faccio il liceo artistico» mentre risponde al cellulare che sta suonando.
Gli faccio un cenno con la mano e risalgo in bici.
Andando via penso: «Ecco una delle rare volte che avrei voluto il cellulare anche io, quello era un pantalone da immortalare».
CODA … DI TOPO
Un vecchio amico romano mi diceva spesso: «oh db, te ne capitano assai, eh?» con l’aria di non credermi del tutto. Gli rispondevo con sincerità: «penso che capiterebbero anche a te se parlassi di più con la gente e ti guardassi in giro». Coincidenza vuole – una seria statistica si indignerebbe? – che il giorno dopo i “non buchi d’autore” me ne sia capitata un’altra, di tutt’altro genere ma bellina.
All’angolo sotto casa vedo due operai (tecnici?) della Tim. Visto che siamo – di nuovo – senza connessione e dunque avrei dovuto giusto telefonare alla Tim, rischiando di parlare solo con sistemi automatici, mi accosto all’umana e chiedo «posso?».
Con faccia stanca lei dice «sì» e mentre fa cenno al collega di aspettare mi anticipa: «lei è senza linea?».
«Sì, avete già risolto il problema?».
«Non proprio. In questo punto ci sono topi che mangiano la fibra ottica» – ha detto proprio così, poi ho pensato che forse intendeva la plastica – «ed è la seconda volta in meno di un mese. Ma… » – qui la sua faccia vira dallo stanco allo schifato – «… stavolta il topo è lì, morto e con centinaia di vermi sopra; così abbiamo chiamato lo “spurgo” perché in queste condizioni non possiamo lavorare. Appena loro puliscono noi sistemiamo».
Tiro fuori la mia miglior faccia anti-topo e la ringrazio: «Buon lavoro e mi spiace per lo schifo».
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