Tanti sostengono, lo hanno fatto anche nella pagine di Comune, che occorre far di tutto perché la scuola sia l’ultima a chiudere, non la prima come accaduto in primavera e ora in alcuni territori. Occorre restituire priorità al mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, dicono, e ribaltare prima di tutto il primato della produttività. Tuttavia, ricorda questo articolo di Paolo Mottana, ci sono punti di visti critici e domande che non sembrano emergere, ma restano imprescindibili, perché non sempre la scuola è salute. Le scuole che vogliamo tenere aperte sono luoghi in cui ci si muove e si sta spesso all’aperto? Sono luoghi aperti con un forte legame con il territorio? Sono luoghi liberi dalle minacce dei giudizi e dei voti, nei quali il corpo, le emozioni, gli affetti trovano spazio? Nei quali bambini e bambine, ragazzi e ragazze sono davvero protagonisti del proprio percorso di crescita? Nei quali prende forma ogni giorno l’essere comunità in ricerca senza l’ossessione della competizione?
Devo dire che trovo piuttosto imbarazzante il dibattito attuale su scuole aperte/scuole chiuse. Mi sembra che si dicano cose piuttosto confuse e che si sottoscrivano battaglie valoriali in assenza di una riflessione seria su cosa sia la scuola nella sua dimensione strutturale e soprattutto su quali siano i suoi effetti sociali, culturali, psicologici. Naturalmente laddove l’alternativa è la famiglia, nella condizione attuale di pandemia, andrebbe fatta un’analisi altrettanto seria su cosa è diventata oggi.
Da una parte sembra che chiudere le scuole sia una ferita insanabile prodotta sui processi di apprendimento di una generazione (irrecuperabili secondo alcuni), dall’altro privare i bambini della scuola attenterebbe alla loro salute psichica e fisica, secondo altri. Come potranno mai socializzare i nostri ragazzi al di fuori della scuola? Come potranno mai imparare i nostri bambini e ragazzi al di fuori della scuola?
Tranquilli, mi verrebbe da dire, socializzeranno e impareranno meglio e subiranno forse meno danni che all’interno di quel dispositivo concentrazionario, disciplinare e fallimentare, proprio sul piano dell’apprendimento, che è, nella grande maggioranza dei casi, la scuola.
Naturalmente questo in generale. E non per niente mi batto da anni per la “chiusura” delle scuole, insieme a ben pochi altri.
Certo, in tempi di chiusura totale della vita sociale, della reclusione casalinga, a qualcuno può apparire meglio persino la scuola. Il che pone alcuni interrogativi altrettanto severi su cosa sia la famiglia e cosa siano le nostre case oggi. Se case e famiglie sono così inospitali da non poter essere un luogo decente dove ritirarsi mentre fuori impazza il flagello, quale che sia – oggi si chiama virus ma domani potrebbe chiamarsi guerra o altro -, la vera domanda da porsi è: ma che ne è delle famiglie? Non voglio infierire e lascio aperto l’interrogativo.
Quale scuola?
Quello che mi interessa è porre, specie a molti miei colleghi, la domanda su quali siano le qualità di questo nostro sistema scolastico che lo rendano la miglior soluzione possibile (a detta loro), per la salute fisica e psichica dei nostri bambini e ragazzi.
Ovviamente so che ci sono bravi insegnanti, ottimi educatori e anche eccellenti pedagoghi che hanno colto l’occasione per provare a sperimentare soluzioni di scuole aperte, o scuole all’aperto, di scuole in dialogo con il territorio o la natura che, senza arrivare a praticare una vera e propria educazione diffusa, si avviano verso quella direzione. E sono esempi da seguire, di volta in volta cercando di distinguere il grano dal loglio. E tuttavia è l’affermazione generica: la scuola fa bene, pronunciata anche da esimi colleghi, che mi mette in allarme. Da pediatri addirittura, da psicologi, da pedagoghi non certo di regime (o forse no?).
Io non so che scuola abbiano in mente costoro oppure se semplicemente bonificano tutto il peggio della scuola inscrivendolo nella buona vecchia filosofia, buona per tutte le stagioni, per cui qualsiasi esperienza è meglio di nessuna esperienza, posto poi che lo stare a casa sia davvero comparabile a un “nessuna esperienza”.
LEGGI ANCHE Una scuola oltre le mura P. Mottana e G. Campagnoli
Capirei se la scuola fosse un posto dove ci si muove, si sta all’aperto, non si è costantemente minacciati da giudizi e voti, non si viene obbligati a occuparsi di cose di scarso interesse, se fosse un luogo dove il corpo, le emozioni e gli affetti trovano spazio di esercizio vitale, entusiasmante e partecipativo, dove non c’è inutile competizione, dove si è liberi di esprimersi e di toccare con mano “il midollo stesso della vita”, come diceva un grande poeta, dove si è liberi anche di scegliere e di rifiutare.
Ma a quanto mi risulta non è così. Certo, nel deserto anche una pozza marcia è meglio di niente, si potrebbe dire. Però allora riconosciamo che si tratta di una pozza marcia che va ampiamente bonificata prima di farla diventare un’oasi e di contrapporla alla clausura casalinga come la panacea di tutti i mali.
Il dominio della produzione e del lavoro
Sappiamo bene d’altra parte che il nostro apparato produttivo ha bisogno che almeno i bambini non autonomi vadano a scuola per liberare i genitori affinché continuino a spremere le loro vita per aumentare i profitti di chi li sfrutta, sempre non siano sfruttatori essi stessi, nel qual caso si può essere certi che sono anche dei cattivi genitori. Chi colloca quest’età, dell’autonomia, alla seconda media (e mi si scusi se uso questo linguaggio d’antan), chi alla terza, chi alla scuola superiore. L’unica preoccupazione dei governi è sempre quella di non creare attrito nei meccanismi della produzione, almeno finché può, almeno finché i danni ai suoi elettori non superino quelli fatti ai suoi stakeholder industriali e commerciali. Del resto una civiltà che ha fatto del prolungamento della vita, e del consumo, il suo principale totem, non potrebbe lasciare morire migliaia di persone solo per tenere in piedi i mercati e i suoi finanziatori (che tanto trovano quasi sempre modo di rifarsi). E quindi, quando gli ospedali si intasano, quando i morti e i malati cominciano ad accumularsi per le strade, qualcosa deve pur fare. Cerca sempre di tirare fino all’ultimo, per non disturbare i vari manovratori, ma poi alla fine, alla faccia del malthusianesimo tornato evidentemente di moda (Toti per tanti), per non perdere la faccia rispetto all’etica di costituzioni che quasi sempre mettono il lavoro prima della vita ma in qualche modo restano vincolate a una morale kantiana, finiscono per intervenire. Non certo come quei regimi brutali dell’oriente, regimi militari, forse sarebbe meglio dire regimi confuciani ma passons, eppure anche da noi a un certo punto bisogna costringere il popolo abituato a fare sempre ciò che gli pare, che è ora di fare un po’ di penitenza.
Tra parentesi l’intolleranza per i vari lockdown puzza proprio di liberismo sfrenato applicato alle proprie vite. E del resto se si va a leggere i testi degli esimi negazionisti del virus, dottori di scarsa fama, nutrizionisti aziendali e altri personaggi paranoici, si vedrà che, a un’analisi approfondita, è la libertà liberista quella che viene proclamata, la libertà d’impresa, l’idea che ci sia un padre cattivo che impedisce ai bambini di giocare come vogliono, anche a rischio di mettere a repentaglio la vita degli altri. Tra l’altro è difficile capire perché in quasi tutti questi ragionamenti ci sia sempre un governo e un mondo scientifico alleati nel fare in modo che interi paesi cadano nelle mani di padroni che li stritolerebbero e li asservirebbero, in modo apparentemente suicidario. Così come francamente continuare a contrapporre morti di cancro e di infarto ai morti per virus sembra perlomeno bizzarro visto che né cancro né infarti, almeno a quello che mi consta, sono contagiosi.
Io non so se il virus sia stato fabbricato da qualche Spectre di turno per limare la popolazione mondiale e se dietro la pandemia ci sia un terribile complotto ai danni dell’occidente, magari orchestrato dagli svedesi (gli unici ad aver perseguito l’immunità di gregge con risultati piuttosto deludenti tenuto conto di un paese ricchissimo con pochi abitanti) o dai cinesi per comprare in blocco tutto il mondo con l’assenso patente di governi e di scienziati in vendita.
Come si sta negli ospedali
Intendiamoci, io non mi fido affatto della scienza in blocco (anche se devo riconoscere che mi ha regalato la vita, perché conciato com’ero, senza la scienza medica, io a 33 anni avrei dato l’addio a questo mondo, e chissà che non fosse meglio ma passons) però neppure di questi improbabili venditori di fumo che dicono di fare controinformazione. E se devo scegliere, scelgo chi mi sembra, a buon senso, dire cose meno improbabili, magari verificando, per esempio attraverso amici medici, come si sta davvero negli ospedali. E gli amici medici mi restituiscono panorami spaventosi.
D’altra parte ho anche la sensazione che molti che rifiutano di piegarsi alle chiusure non abbiano una esperienza profonda di cosa significa l’ospedale, di cosa significa trovarsi al suo interno sul punto di morire, e per di più senza poter avere un caro vicino al proprio letto. Beh, non lo auguro a nessuno ma provare per credere. Forse una settimana di ospedale in un reparto covid farebbe bene a tutti quelli che continuano a fare i pirla in circolazione. Assicuro che dopo smetterebbero. E con questo non sottovaluto tutte le carenze dei nostri sistemi sanitari e compagnia bella, però inviterei anche a confrontarsi con chi sistemi sanitari come il nostro se li sogna, anche per nostra responsabilità.
Eh sì, persino io posso arrivare a fare il moralista, però sono davvero basito dalle cazzate che continuo a leggere, sia da parte di chi recita peana in onore di un a scuola che è uno scandalo a dir poco (e lo capirebbe se riuscisse a scrostare dalle pareti del suo apparato mentale la scuola interiore che ha incamerato da piccolo come l’unica soluzione per diventare un soggetto a pieno titolo), sia da chi si fa affascinare dai guru di verità che a una minima analisi logica risultano di una totale inconsistenza, sia da una cultura che considera bambini e ragazzi ancora come dei minus habens, incapaci di sopravvivere a un po’ di frustrazione, incapaci di industriarsi per dare un senso al loro tempo (e se non sono più capaci di farlo colpa è della scuola ma anche di famiglie che non gli hanno passato il gusto del gioco, della creatività e del non far nulla anche in assenza di super stimoli o di quegli aggeggi che comunque non arriverò mai a demonizzare che sono i loro telefonini o i loro schermi interattivi).
Capisco le ansie di tanti ma credo derivino da un’inconscia paura del buio e della morte che questa pandemia ci ricorda ad ogni piè sospinto, più o meno enfatizzata dai media ma anche eufemizzata nella misura in cui distribuiscono speranze e disillusioni un po’ a cazzo, per dirlo forbito. E derivino anche da un sottile senso di colpa nei confronti dei propri figli, quello davvero autentico e da riconoscere, che per troppo tempo si è accettato di vedere mortificati nelle scuole e in una vita dove c’è sempre meno tempo per loro e per la loro ineludibile richiesta di essere visti e accolti nella loro “ciascunità” speciale e irripetibile.
Altri articoli di Paolo Mottana sono leggibili qui
PIERA dice
……..Capirei se la scuola fosse un posto dove ci si muove, si sta all’aperto, non si è costantemente minacciati da giudizi e voti, non si viene obbligati a occuparsi di cose di scarso interesse, se fosse un luogo dove il corpo, le emozioni e gli affetti trovano spazio di esercizio vitale, entusiasmante e partecipativo, dove non c’è inutile competizione, dove si è liberi di esprimersi e di toccare con mano “il midollo stesso della vita”, come diceva un grande poeta, dove si è liberi anche di scegliere e di rifiutare…..
gaetano stella dice
MOLTE COSE QUI DETTE sulla scuola sono condivisibili, altre discutibili. Anche su questo ILLICH aveva scritto in “DESCOLARIZZARE LA SOCIETA’. Non entro nel merito specifico. Ho insegnato per un periodo breve tanti anni fa. Però una cosa è indubitabile. IL VIRUS C’E’ E UCCIDE. Lorsignori hanno messo al primo posto IL PROFITTO. I fossili il cambiamento climatico la deforestazione la distruzione degli habitat sono l’origine…Ma la domanda è :nella situazione data i “nostri ragazzi” ci devono andare a scuola (così com’è) o no? E se scelgono di andarci non sarebbe meglio non farli contagiare per strada o a scuola? Mi sono posto questo problema e ho scritto quello che qui pubblico..LA RIVOLUZIONE DELLA BICICLETTA PER LA SCUOLA IN PRESENZA
La scuola, di ogni ordine e grado, è il nodo centrale della situazione attuale. E’ in gioco il presente e il futuro dei nostri ragazzi e del nostro paese. Non sappiamo quanto la pandemia “durerà”. E non sappiamo se il vaccino la “curerà”. Quello che sappiamo è che la situazione peggiora di giorno in giorno e che medici e infermieri (GLI EROI…ricordate?), che l’hanno detto, non sono stati ascoltati. E’ piuttosto evidente che il governo per ora “mette toppe”, ma non ha un progetto una prospettiva una visione per un cambiamento di paradigma culturale e politico. Dell’opposizione è meglio non parlarne. Il suo principale esponente andava in giro fino all’altro ieri con una mascherina con TRUMP sovraimpresso. TRUMP? Noto negazionista e criminale diffusore del contagio nel suo paese. La politica, quindi, non ha imparato niente dalla prima fase della pandemia. Lo dice l’esperienza di questi giorni. E così, come il PERCHE’ del virus non è mai stato al centro del dibattito pubblico anche il perché e il come siamo arrivati alla situazione attuale non è oggetto di riflessione. Come, del resto, le cose fatte o non fatte questa estate. E di chi sono le responsabilità. Che la “mobilità” sarebbe stato uno dei problemi fondamentali in una più che probabile ripresa della pandemia, vista la “follia dell’estate”, era facile da capire. Lo starsi addosso “assembrati” senza poter mantenere le distanze era (è) il problema del viaggiare in metro treni e spesso autobus. La RIVOLUZIONE DELLA BICICLETTA per spostamenti non troppo lunghi, è l’unica soluzione per risolvere il problema della “mobilità”.Garantisce autonomia personale indipendenza distanze esercizio fisico e libertà di azione-movimento. Bisognava averci pensato. Ma siamo ancora in tempo. Perché la pandemia può “aiutarci” a cambiare “stili di vita”. E a progettare un futuro diverso passando dalla SOCIETA’ DELL’AUTO alla SOCIETA’ DELLA BICICLETTA. E’ una necessità storica. Per liberare l’aria delle città del mondo…e noi stessi dall’inquinamento delle nostre città che è causa di migliaia di morti e che proprio in questi giorni è stato sanzionato dall’EUROPA. IVAN ILLICH già 50 anni fa in un testo –SAGGIO SULLA BICICLETTA- avveniristico predittivo e ora tremendamente attuale ci aveva avvisati sulle conseguenze dell’AUTO-MANIA dello sviluppo capitalistico. Quindi, dare ad ogni studente dalla seconda media alle superiori all’Università una bicicletta come dono collettivo e sociale sarebbe, appunto, un fatto rivoluzionario. Fare pochi chilometri per raggiungere le scuole e , facendo TRE TURNI (o due) a rotazione (8-12-16 ), dare la possibilità di vivere la SCUOLA IN PRESENZA sarebbe un fatto di indicibile valore politico morale umano e sociale. Perché perdere questi anni, perché di questo si tratta, non solo allungherebbe le disuguaglianze e le DISTANZE SOCIALI ma causerebbe a intere generazioni un danno incommensurabile. Per il personale, basta assumere tutti gli insegnanti costretti a fare un concorso ultimamente pur avendo, molti, anni di insegnamento alle spalle. E basterebbe dedicare parte delle strade a una corsia preferenziale per le biciclette, prima di fare dappertutto piste ciclabili. Passare dai 210 MILIONI del BONUS a qualcosa come UNO O DUE MILIARDI per costruire biciclette.Eliminando il bonus auto e le sovvenzioni ai “fossili” (18,5 miliardi l’anno),reperendo tutte le biciclette già disponibili e impostando celermente UNA CONVERSIONE ECOLOGICA da auto , come JEEP SUV e inquinanti varie comprese le ibride (comunque inquinanti ora!) ecc. largamente propagandate da tutte le TV e dai giornali per ricolonizzare l’immaginario collettivo e ri-spingere violentemente al “COME PRIMA”… Questo, che accade davanti ai nostri occhi, è UN CRIMINE contro l’UMANITA’ e, in particolare contro il presente e il futuro delle nuove generazioni. Inutile dire che di una rivoluzione del genere potrebbero e dovrebbero fare parte anche TUTTI I LAVORATORI. Perché anche loro si spostano in condizioni promiscue e pericolose. E molti di loro sono già morti sull’altare del PROFITTO prima di tutto nella prima fase e, senza dubbi, anche ora.
Gaetano Stella –Lago di Chiusi 14/11/2020
-Passaparola! –http://blog.gaetanostella.it
giuseppe dice
I tempi sono cambiati, chi domina il mondo e anche il paradigma dell’educazione come del lavoro non sono più i padroni di una volta e la scuola deve uscire decisamente dal recinto del suo attuale significato che è sostanzialmente globalizzato. Non bisogna sostituire un potere con un altro, attraverso una lotta di egemonie educative, ma liberare e liberarci tout court da qualsiasi dominio che in genere comincia ad esercitarsi prepotentemente e subdolamente proprio con l’istruzione quando viene ancora considerata un “lavoro” in preparazione di “una vita di lavoro” spesso sfruttata e strumentalizzata. L’educazione incidentale sarebbe la chiave di volta, insieme ai mentori e ai maestri delle arti e ai luoghi diffusi dove viverla, per una vera rivoluzione pedagogica, preludio ad una sottile, ostinata e contraria rivoluzione collettiva di natura economica e sociale.
maria gianotti dice
condivido pienamente la descrizione degli orrori della scuola, insegno per mestiere da molti anni, e ho cercato, con molti fallimenti e qualche meravigliosa epifania, di scardinare il funzionamento di un’istituzione orrida e mortificante. Quello che però succede adesso con la DAD è immensamente peggiore, tempi rigidamente normati, immobilità assoluta, l’onnipresente sguardo della videocamera….Stiamo costringendo adolescenti in un gabbia ancora più stretta e vuota…