Erano invisibili, quando uscirono dalla Selva Lacandona del Chiapas. Nessuno li aveva mai notati e nessuno si era mai interessato di quel che poteva accadere alla gente indigena che viveva in quell’angolo dimenticato del mondo. Indossavano un passamontagna proprio per quella ragione: per essere visti. Eppure il loro grido di ribellione, Ya Basta!, lanciato quel primo giorno di gennaio del 1994, avrebbe valicato gli oceani e trovato risonanze nel mondo intero. Per decenni, le zapatiste e gli zapatisti sono stati una luce che non voleva essere e non è diventata un modello ma è stata un punto di riferimento essenziale per le lotte del continente americano e di molte altre geografie. Oggi, nel mezzo della tormenta del caos sistemico e delle rovinose mutazioni del clima del pianeta, tra guerre interminabili e devastazioni sociali di ogni genere, continuano a camminare domandando, a costruire tenacemente autonomia e mondi nuovi, a immaginare diversi modi di organizzare la vita in comune e di abitare la terra senza proprietà
La sollevazione dell’Ejército Zapatista de Liberación Nacional (EZLN), trent’anni fa, è riuscita a mettere l’autonomia al centro degli obiettivi di alcuni movimenti sociali in America Latina. Fino a quel momento non esisteva alcuna corrente politica e culturale orientata in quella direzione, oggi presente nella maggior parte dei paesi della regione latinoamericana. Tutt’al più vi erano posizioni autonomiste ispirate all’“operaismo” italiano che diedero poi origine all’“autonomismo” europeo. Quella corrente di pensiero, che prese forma nelle analisi dei filosofi italiani Antonio Negri e Mario Tronti, non ebbe mai un peso reale nelle lotte e nei movimenti latinoamericani, la sua influenza si concentrò nelle università e tra gli intellettuali marxisti.
L’EZLN si formò nel 1983 nelle regioni indigene del Chiapas. Per dieci anni si andò radicando nei villaggi e, dopo un’ampia consultazione con circa 500 comunità, decise di entrare in guerra, una scelta che prese forma concreta con la sollevazione del primo gennaio 1994, lo stesso giorno in cui il Messico aderiva al Trattato di libero scambio (NAFTA) in America. La guerra durò meno di due settimane perché la società civile si mobilitò esigendo la pace. Cominciò così un periodo di dialogo tra il governo e l’EZLN.
Lo zapatismo non ha solamente posto al centro del suo pensiero e della sua pratica politica la discussione sull’autonomia, questione che divenne evidente con gli Accordi di San Andrés del 1996, negoziati con il governo del Messico, ma ha mostrato il protagonismo dei popoli indigeni che sono poi i soggetti più importanti della lotta per l’autonomia.
Gli incontri internazionali hanno giocato un ruolo importante nella diffusione del pensiero dell’EZLN, così come gli innumerevoli comunicati in cui l’allora subcomandante insurgente Marcos raccontava scene di vita nelle comunità e delle militanti e dei militanti del movimento. L’Encuentro Intercontinental por la Humanidad, tenuto a La Realidad nel 1995, accolse centinaia di persone provenienti da tutto il mondo, con una grande presenza di collettivi giovanili europei di carattere libertario e autonomista.
Il fatto che lo zapatismo si rivolgesse ai gruppi più diversi della società, ma soprattutto alla gioventù urbana ribelle (gay, lesbiche, precari e disoccupati) e non utilizzasse concetti tradizionali della sinistra come quelli di “proletariato”, “lotta di classe” e “presa del potere”, era estremamente attraente per i settori che erano già stanchi del linguaggio monotono delle sinistre.
L’influenza dello zapatismo in America Latina può essere rilevata a due livelli: uno più diretto, legato ai militanti più attivi e formati nei cosiddetti nuovi movimenti sociali – come i piqueteros argentini, i settori dell’educazione popolare, i giovani critici e artisti – e, in secondo luogo, in modo più indiretto e trasversale nei movimenti dei popoli oppressi, in particolare degli indigeni e degli afrodiscendenti.
Le tracce dello zapatismo si rintracciano soprattutto nei movimenti meno istituzionalizzati. In un certo senso, una parte considerevole dei nuovi movimenti si sentirono attratti da tre questioni centrali che trovarono nello zapatismo: il rifiuto della presa del potere statale e la possibilità di crearsi poteri propri, l’autonomia e l’autogestione, e il modo di comprendere il cambiamento sociale come costruzione di un mondo nuovo piuttosto che la trasformazione del mondo esistente.
L’influenza etica e politica dello zapatismo, così come il fallimento delle rivoluzioni incentrate sulla presa del potere e sul cambiamento “dall’alto”, condussero molti attivisti alla convinzione che i cambiamenti debbano essere legati alla ricostruzione dei legami sociali che il sistema distrugge ogni giorno.
La creazione di municipi autonomi e di consigli di buon governo, recentemente smantellati dallo stesso EZLN, ha dimostrato che è possibile governare in un altro modo, senza creare o riprodurre burocrazie permanenti come hanno fatto invece le rivoluzioni vittoriose tradizionali. Attratti dalle sue particolarità, migliaia di attivisti da tutto il mondo, la stragrande maggioranza dei quali europei, sono venuti in Chiapas per conoscere in prima persona la realtà zapatista e hanno contribuito donando risorse materiali.
Sarebbe un errore credere che lo zapatismo influenzi o diriga in qualche modo tutta questa varietà di collettivi. Più di mille gruppi hanno sostenuto il la Gira por la Vida, realizzata nel 2021 in diversi paesi e regioni d’Europa, per ascoltare e consolidare relazioni di fraternità con chi lotta. Penso che la cosa più appropriata sia parlare di confluenze, perché in tutto il mondo si sono formati e crescono gruppi che rivendicano l’autonomia come pratica politica, riferendosi senza dubbio allo zapatismo, ma non in un rapporto di comando e obbedienza.
I movimenti femministi, quelli dei giovani precari e disoccupati, delle imprese autogestite che si moltiplicano nel mondo, hanno trovato nello zapatismo ispirazione per la loro determinazione a creare il nuovo, il loro rifiuto delle istituzioni statali e dei partiti di sinistra. Sebbene le cause delle ribellioni abbiano caratteristiche diverse, ovunque si avverte una profonda stanchezza nei confronti del sistema dominante e delle sue conseguenze sui giovani, come la precarietà del lavoro, la mancanza di prospettive di vita dignitosa e la persecuzione poliziesca di chi dissente.
Popoli nativi e neri
Negli ultimi decenni diversi popoli stanno rivendicando l’autonomia, oppure l’hanno costruita con i fatti. I popoli indigeni sono in prima linea in questo processo, spiccano i Mapuche del Cile e dell’Argentina, i Nasa e i Misak del Cauca colombiano. Più recentemente, i popoli amazzonici sono entrati a pieno titolo nella dinamica delle autonomie, così come alcuni palenque e quilombo neri.
Nel 1998 è stato creato il primo gruppo autonomista mapuche, la Coordinadora Arauco-Malleco (CAM), che incarnava un nuovo modo di fare politica attraverso l’azione diretta contro le imprese forestali le cui coltivazioni di pino soffocano le comunità. Oggi esistono almeno una dozzina di gruppi mapuche che affermano di essere autonomi.
I più importanti sono la CAM, la Resistencia Mapuche Lafkenche (RML), Resistencia Mapuche Malleco (RMM), la Alianza Territorial Mapuche (ATM) e Weichán Auka Mapu [Lucha del Territorio Rebelde], che hanno promosso un’ondata di recupero di terre stimata in 500 territori o proprietà. I più radicalizzati sono Weichan Auca Mapu (WAM) e Resistencia Lafkenche, oltre alla CAM, che si distinguono per azioni dirette contro l’industria forestale. Esistono anche organizzazioni di donne mapuche.
In Colombia, il Consiglio Indigeno Regionale del Cauca (CRIC) è stato creato nel 1971 nell’ambito di un processo di recupero del territorio. Oggi conta 84 riserve nel Cauca e 115 comuni a cui appartengono otto gruppi etnici. Gestiscono programmi sanitari ed educativi con il sostegno dello Stato, hanno costruito le proprie forme economiche come imprese e negozi comunitari, associazioni di produttori e un’istituzione di terzo livello, il Cecidic (Centro di educazione, formazione e ricerca per lo sviluppo integrale della comunità). Hanno creato un sistema di “giustizia comunitaria” e si governano attraverso l’elezione delle loro autorità dai consigli. La Guardia Indigena, un’entità dedita alla difesa dei territori e degli stili di vita indigeni, è la creazione autonoma più importante.
Sia i gruppi mapuche in Cile che il CRIC hanno rapporti con l’EZLN, essendo probabilmente i movimenti indigeni più vicini politicamente allo zapatismo.
Le esperienze si stanno moltiplicando. Come in Cile esistono più di una dozzina di gruppi autonomi (alcune fonti parlano di 15 gruppi), nel Cauca si sono formate la Guardia Cimarrona tra afrocolombiani e la Guardia Contadina, entrambe ispirate alla Guardia Indigena.
Probabilmente l’organizzazione autonomista con la maggiore presenza in Brasile è la Teia dos Povos, nata dieci anni fa nello stato di Bahia. Riunisce comunità e popoli indigeni, contadini senza terra e quilombolas (persone nere discendenti dai maroon), in un’alleanza di base che si sta espandendo in diversi stati e ha l’autonomia – e lo zapatismo – come riferimenti centrali.
Infine ci sono i popoli amazzonici. Nel nord del Perù sono stati creati nove governi autonomi da quando il primo, il Governo Territoriale Autonomo della Nazione Wampis, è stato formato nel 2015, come un modo per fermare l’estrattivismo petrolifero e forestale, nonché la colonizzazione. In totale controllano più di 10 milioni di ettari e in un recente incontro a Lima si è affermato che ci sono altri sei comuni che stanno avviando lo stesso processo di costruzione dell’autonomia.
Nell’Amazzonia Legale brasiliana, sono stati siglati 26 protocolli di demarcazione autonomi , che comprendono 64 villaggi indigeni in 48 territori diversi. I villaggi hanno fatto questa scelta di fronte all’inazione dei governi che sarebbero obbligati a delimitare i loro territori dalla Costituzione del 1988, ma lo fanno in pochissimi casi.
Per quanto riguarda il resto delle autonomie, basta ricordare che decine di popoli indigeni che abitano il Messico hanno seguito i principi zapatisti riunendosi nel Congresso Nazionale Indigeno (CNI), dove partecipano 32 popoli che lottano per la propria autonomia. Nel 2006, il IV Congresso del CNI ha deciso di sottoscrivere la Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona e di esercitare l’autonomia nei fatti.
Nuove direzioni per continuare ad esistere
Mentre le autonomie si espandono senza sosta nella regione latinoamericana, lo zapatismo ha deciso di dare una svolta importante al suo processo.
Dal 22 ottobre 2023, l’EZLN ha diffuso una serie di dichiarazioni in cui segnala importanti cambiamenti per affrontare la nuova fase di collasso sistemico e ambientale. Le Juntas de buen gobierno e i municipi autonomi, strutture organizzative create due decenni fa e simboli dell’autogoverno zapatista, cessano di funzionare. Invece di una trentina di municipi autonomi, ci saranno migliaia di strutture di base, di Governo Autonomo Locale (GAL) e centinaia di Collettivi di Governo Autonomo Zapatista (CGAZ) dove prima c’erano solo 12 juntas de buen gobierno.
Le decisioni che hanno preso hanno un orizzonte di 120 anni, ovvero sette generazioni. L’EZLN osserva che ci saranno guerre, inondazioni, siccità e malattie e che quindi “in mezzo al collasso dobbiamo guardare lontano”.
Hanno fatto autocritica sul funzionamento dei municipi e delle juntas, concludendo che le proposte delle autorità non andavano più verso il basso e che le opinioni della gente non arrivano più alle autorità. Dicono, in sostanza, che si era ricreata una piramide e per questo hanno deciso di abbatterla.
Forse il punto più importante è che si propongono di “essere un buon seme” di un mondo nuovo che non vedranno, di voler lasciare “in eredità la vita” alle generazioni future invece della guerra e della morte.
“Siamo già sopravvissuti alla tempesta come comunità zapatiste quali siamo. Ma ora non si tratta solo di questo, dobbiamo attraversare questa e altre tempeste che arriveranno, attraversare la notte e arrivare a una mattina, tra 120 anni, in cui una bambina comincerà a imparare che essere libera significa anche essere responsabile di quella libertà“, continua il comunicato .
Seminare senza raccogliere, senza aspettarsi di poter godere dei frutti di ciò che è stato seminato, è la più grande rottura conosciuta con il vecchio modo di fare politica e di cambiare il mondo. È un’etica politica antisistemica quella che lo zapatismo ci consegna, un dono da valorizzare in tutta la sua tremenda dimensione.
La versione in lingua originale di questo articolo è uscita su Nacla. Reporting on the Americas
La traduzione per Comune-info è di marco calabria
Alcune delle illustrazioni che compaiono sono state realizzate da Dante Aguilera Benitez (IG: el_dante_aguilera ) e Rulo ZetaKa (IG: rulozetaka ), per il Taller de Gráfica Pesada Juan Panadero (IG: tallerjuanpanadero).
Si trovano in questa cartella bit.ly/Gráfica-Libre-Zapatista, condivisa dall’organizzazione zapatista su Facebook. Le illustrazioni possono essere liberamente utilizzate per la riproduzione, la stampa e la manipolazione, ma non a scopo di lucro o di vendita.
" class="comment-author-link" rel="external nofollow">Virginio Monti dice
Vorrei ci fosse una speranza anche per noi dell’occidente capitalistico fondato sul capitale e sugli eserciti a direzione USA e Nato, ma non vedo nessuna luce. Spero di essere miope. Siamo dentro una tempesta perfetta alla fine di questa forse qualcosa risorgerà dalle macerie.
Giuseppe Giannini dice
E’ sempre interessante leggere le pagine di Raul Zibechi. In tutti questi decenni ci ha fatto conoscere ed aggiornato sullo zapatismo e i movimenti dell’America Latina.Ripensare la politica tradizionale come via di uscita da ogni forma di istituzione sistemica (gli Stati, le organizzazioni sovranazionali, i partiti, le lobby e i vari gruppi di pressione) che diventa apparato, vuol dire anche cercare una fuga dalle barbarie del capitale per rianimare e far convivere le diverse manifestazioni del vivente.
Fiorella Palomba dice
Ecco quello che ci manca: “Seminare senza raccogliere, senza aspettarsi di poter godere dei frutti di ciò che è stato seminato, è la più grande rottura conosciuta con il vecchio modo di fare politica e di cambiare il mondo. È un’etica politica antisistemica quella che lo zapatismo ci consegna, un dono da valorizzare in tutta la sua tremenda dimensione.” Esiste un futuro anche se non ci saremo più: GRANDIOSO! ?