La domanda nasce ogni giorno: cosa possiamo fare con i migranti e contro le diverse forme di violenza che li riguardano e ci riguardano? Ha ragione Alessandra Ballerini (come scrive su Repubblica di Genova*): ognuno, può agire in base al proprio tempo e alle proprie capacità. Tanti e tante hanno già cominciato. Abbiamo bisogno di rioccupare le piazze o le frontiere. Distribuire qualcosa di caldo sul molo di Lampedusa, coperte a Ventimiglia o scarpe lungo la rotta balcanica… Redigere esposti. Scrivere articoli e poesie. Immortalare in una fotografia o condensare in una vignetta l’orrore delle violenze e delle disuguaglianze o la bellezza di chi ci si oppone. Frapporre i nostri corpi tra i i feriti e gli oppressori. Curare i piedi e le anime dei profughi. Insegnare l’italiano. Promuovere collette per rimpatriare le salme di chi ha perso la vita a suon di botte, sfruttamento o indifferenza. Informarsi, informare e raccontare in modo diverso. Gridare e ribellarsi facendo in forme inesplorate
Arriva quasi sempre quel momento, in quasi tutti gli incontri dove siamo chiamati a parlare di violazioni dei diritti umani, nelle sue molteplici, orribili forme, in cui gli interlocutori ci e si chiedono: e noi cosa possiamo fare? Ogni volta, per quanto cerchi di studiare e predispormi, questa domanda esistenziale mi coglie di sorpresa e impreparata.
A volte la percepisco come una sfida, altre volte quasi come una sottile, elegante vendetta (mi avete riversato addosso una serie di drammi ora ditemi voi come scrollarmeli dalla coscienza, se ci riuscite), altre come una sincera richiesta di partecipazione. E comunque percepisco chiara la fortuna di incontrare e frequentare persone che hanno scelto da che parte stare e che di fronte alle ingiustizie si chiedono “io cosa posso fare?”, spesso già facendo.
Forse un tempo, quando ci si poteva e voleva riunire in presenza, queste domande, magari a labbra strette, ce le facevamo di continuo o erano comunque sottintese. E il nostro incontrarsi aveva senso anche nel tentativo di offrire delle risposte a questa incessante domanda. Cosa possiamo fare? Martedì 1 giugno in compagnia, a distanza, di una cara amica e di molte altre donne già attive nel sociale, ho stentato particolarmente a dare una risposta e mi sono incartata in una doverosa ma interminabile premessa. Non ci sono risposte, io certamente non ne ho, non ho mai avuto risposte neppure a domande decisamente meno complesse.
Ognuno, credo, dovrebbe agire in base al proprio tempo, alle proprie risorse, energie e competenze. Abbiamo tutte e tutti talenti unici e diverse possibilità.
Chi può, ci dicevamo l’altra sera, rioccupi le piazze o le frontiere. Manifesti il suo dissenso o la sua vicinanza. Distribuire tè sul molo di Lampedusa o coperte a Ventimiglia o lungo la rotta balcanica è un privilegio, un’esperienza indescrivibile. Così piena da sembrare egoistica. Redigere esposti, atti e ricorsi, spesso fino a tarda notte, firmare appelli e diffide è attività apparentemente più noiosa, ma in realtà grandemente creativa e necessaria. Scrivere articoli, trattati, poesie, canzoni e libri è una straordinaria graditissima forma di solidarietà. E così immortalare in una fotografia o condensare in una vignetta l’orrore delle violenze e delle disuguaglianze o la bellezza di chi ci si oppone. Visitare i luoghi di privazione di libertà, frapporre i propri corpi tra i i feriti e gli oppressori, denunciare le violenze e gli abusi. Curare i piedi e le anime dei profughi, insegnare l’italiano, condividere saperi. Partecipare a collette per rimpatriare le salme di chi ha perso a vita a suon di botte, sfruttamento o indifferenza. Informarsi e informare. Pretendere un giornalismo corretto. Incontrarsi e ascoltare. Cercare soluzioni insieme, perché ognuno ha la sua forma congeniale di resistenza. Lavorare di fantasia: immaginare forme di resistenza o di denuncia inesplorate.
Ricordare sempre, magari a voce alta, in qualsiasi contesto per quanto ostile, che la solidarietà è, per Costituzione, un dovere inderogabile e che “nessuno deve partecipare con atti o omissioni alla violazione e dei diritti umani e delle libertà fondamentali” (come imposto dalla Dichiarazione Onu sui difensori dei diritti umani). Non omettere mai nulla. Non tacere mai. Protestare ed esserci.
*Pubblicato con l’autorizzazione dell’autrice
Elsa Di Salvatore dice
Cosa possiamo fare per migliorare?
stefania dice
Per prima cosa possiamo ascoltarli, ascoltare le loro storie, informarci dei loro problemi, leggere cosa accade nei paesi dai quali scappano. La maggior parte del razzismo e delle proteste contro i migranti nasce da una abissale ignoranza, la gente non sa, e nella maggior parte dei casi non vuole sapere, è importante invece parlarne il più possibile, confutare le teaorie ignoranti che si ascoltano in giro.
Elsa Di Salvatore dice
Non ci sto a questa solita contro l immigrato