Sono tempi difficili per coltivare pensiero critico. Si dà per scontato, ad esempio, che chiunque esprima valutazioni critiche, pur di tipo differente, circa la lettura della pandemia appartenga alla schiera dei complottisti. Altrettanto scontato appare che queste opinioni, che vengono ridicolizzate e criminalizzate, siano frutto di ignoranza quando non di idiozia. Intanto, si riafferma un’idea reazionaria e classista, secondo cui sarebbe possibile esercitare i propri diritti di partecipazione solo se si è laureati (sui social il mantra per mettere a tacere i punti di vista critici è: “Le posso chiedere in che cosa precisamente è laureato?”). Eppure, una ricerca sui movimenti che si sono mobilitati contro la legge Lorenzin – con cui è stato esteso il numero di vaccinazioni pediatriche obbligatorie -, non ha rivelato la presenza di atteggiamenti anti-scientifici tra i genitori che mostrano esitazione o rifiuto verso i vaccini. Anzi, gli intervistati (con titoli di studio medio-alti), per lo più sono persone che si informano su una pluralità di fonti, consultano ricerche scientifiche direttamente e in lingua originale e chiedono prima di tutto più ricerche scientifiche indipendenti. Secondo Elisa Lello, sociologa e autrice della ricerca, in realtà è necessario prendere consapevolezza dell’idea che non esiste un’unica idea di che cosa sia la salute e di quali siano le strategie più efficaci per conseguirla. Ma è necessario anche «scardinare una volta per tutte la contrapposizione – questa sì, davvero anti-scientifica – tra posizioni ufficiali e “complottismo”, da cui tutti abbiamo da perdere: pro-, free- e no-vax. E non perché il complottismo non esista, ma perché non può essere usato come arma politica per silenziare il dissenso…»

Era convinzione diffusa che, con l’esperienza della pandemia, lo scetticismo e i timori nei confronti dei vaccini si sarebbero ridotti sostanzialmente, per lasciare posto a sentimenti di attesa e speranza. Qualcosa, tuttavia, è andato storto. Mentre arrivano notizie circa percentuali importanti, nelle varie Asl dislocate sul territorio, di personale sanitario e delle Rsa che non intende sottoporsi a vaccinazione anti-covid, sappiamo, da un’indagine di EngageMinds HUB-Università Cattolica di Cremona, che, all’inizio di dicembre 2020, solo il 57 per cento degli italiani si dichiarava disposto a vaccinarsi. Anzi, il numero dei nostri concittadini disposti a sottoporsi all’inoculazione è diminuito rispetto ai primi mesi di pandemia, passando, secondo i dati Demos, dal 68 per cento di maggio 2020 al 59 per cento di ottobre, cinque mesi dopo1.
Per tentare di capire le ragioni del diffondersi di paure e scetticismo si punta il dito verso il dilagare del complottismo e di atteggiamenti riduzionisti/negazionisti e verso quei canali informativi alternativi accusati di essere i principali responsabili della diffusione delle fake news. La ricerca di Mapping Italian News (Università di Urbino) ha effettivamente calcolato che, dall’inizio alla fine del 2020, sono più che quadruplicate le interazioni collegate a contenuti negazionisti sui social network, mentre sono sestuplicati gli iscritti ai vari gruppi e pagine FB riconducibili alla stessa galassia generalmente definita complottista2.
Ciò che però suscita forse ancora più stupore è la reazione che si sta mettendo in campo di fronte a questo fenomeno complesso che si vuole indicare come “complottismo”.
Si dà per scontato, innanzitutto, che chiunque esprima valutazioni critiche, pur di tipo differente, circa la lettura dell’emergenza sanitaria in corso e le strategie di risposta elaborate appartenga a questa schiera. Altrettanto scontato appare che queste opinioni siano frutto di ignoranza quando non di idiozia. Le persone che le esprimono, cioè, non avrebbero risorse culturali sufficienti per comprendere la realtà e nella loro ingenuità finirebbero “nella buca” di narrazioni palesemente false, risibili, pericolose. Accanto a questo tema appare quello del menefreghismo, dell’egoismo spensierato, narcisistico, edonistico di chi non accetta restrizioni alla propria libertà perché si sente, individualmente, forte e invincibile, e non ha voglia di accettarle per il bene delle componenti fragili. Da qui, fiumi di inchiostro sulla deriva individualistica della nostra società, e “signora mia” ma quand’è che si sono spezzati i legami di solidarietà ed empatia e che siamo diventati così brutti, cattivi e insensibili all’altrui sofferenza e fragilità.
Ci sono forse alcuni elementi di verità in tutto questo. O quanto meno vorrei sgombrare il campo dall’equivoco che, siccome – come si sarà intuito – intendo mettere in discussione questa visione, allora con questo voglia dire che le versioni “complottiste” hanno ragione, o che, più in generale, la “verità” stia tutta necessariamente da una parte o dall’altra.
Il problema di fondo è che le visioni riassunte sopra si basano su un ampio e generalizzato “dare per scontato”. Mentre, su questi fenomeni, sappiamo ben poco. Peraltro, è un argomento scottante, nel senso che solo a sfiorarlo ci si brucia: è un attimo venire etichettati come “complottisti” se solo si prova a prendere sul serio – unico modo per comprenderlo – il fenomeno, i suoi contenuti, le ragioni del suo evidente successo globale.
Eppure, limitarsi, di fronte a un fenomeno di tali proporzioni, al biasimo, alla riprovazione e all’indignazione pubblica, ripetendo argomenti tanto abusati quanto privi di alcun riscontro empirico è una strategia non miope, ma proprio cieca. Che può andare bene per sentirci nel giusto, scaldati dall’abbraccio di chi come noi si arrabbia e si indigna e confortati dall’approvazione dei media mainstream e delle istituzioni, ma certo non per affrontare quello che sta accadendo. Quando, invece, avremmo bisogno di strumenti di comprensione e di analisi, che ci mettano all’altezza della sfida che abbiamo di fronte.
Comprendere ciò che accade
Ho avuto modo di lavorare su questi temi attraverso una ricerca sui movimenti che si sono mobilitati contro la legge Lorenzin (n.119/2017), che ha esteso il numero di vaccinazioni pediatriche obbligatorie e inasprito le sanzioni per gli inadempienti. Ho così avuto modo di analizzare i dati di una rilevazione quantitativa condotta su un campione di circa cinquecento questionari compilati da altrettanti partecipanti alla più importante manifestazione per la libertà di scelta, tenutasi a Pesaro nel luglio 2017. Poco dopo, attraverso uno studio di caso, ho raccolto anche materiale di ricerca di tipo qualitativo. Nel complesso, i risultati di quella ricerca3 e l’analisi della letteratura nazionale e soprattutto internazionale che l’ha accompagnata sono utili per capire diversi aspetti della resistenza/esitazione vaccinale, e possono dunque rappresentare una base dotata di qualche solidità per aiutarci a uscire dall’incertezza e muovere almeno qualche passo verso la comprensione di ciò che sta accadendo.
Innanzitutto, un risultato comune alle moltissime ricerche dedicate al tema riguarda la condizione socio-economica medio-alta e soprattutto il livello di istruzione: nel caso dei genitori che mostrano atteggiamenti di esitazione o rifiuto verso i vaccini (d’ora in poi VHR, Vaccine Hesitancy/Refusal4), il titolo di studio è nettamente più elevato rispetto alla media della popolazione, tanto che alcuni autori parlano addirittura di famiglie in situazioni di “privilegio” socio-culturale5. Il campione della mia indagine rivela una composizione socio-professionale mista con prevalenza dei ceti medi; al suo interno, il 43,9 per cento possiede una laurea o titolo superiore, a cui si aggiunge una quota pressoché identica (43,6 per cento) di diplomati, mentre nella popolazione italiana con più di quindici anni la percentuale di laureati si ferma al 14 per cento, e quella dei diplomati al 30 per cento (dati Istat.it relativi al 2017).
Si tratta di un punto importante, perché ci allontana sia dalle diagnosi che vorrebbero accomunare queste proteste alla rabbia populista derivante da situazioni di esclusione sociale, sia dall’interpretazione di VHR come risultato di ignoranza e mancata comprensione del metodo scientifico.
Non è, insomma, l’ignoranza a causare lo scetticismo e le resistenze nei confronti dei vaccini.
C’è chi, dopo aver passato in rassegna la «spiccata chiusura cognitiva», le «tendenze paranoidi» e la «mentalità dogmatica e tribale» di chi critica i vaccini (sebbene spesso ad essere oggetto di critica non sono i vaccini in sé, bensì determinati aspetti della legge e delle politiche vaccinali), cerca una via di uscita di fronte all’apparente paradosso per cui queste critiche vengono espresse da persone più istruite della media ricorrendo a complesse spiegazioni che affondano le proprie radici nella teoria della razionalità limitata di Kahneman6, per cui l’abbondanza informativa non porta necessariamente verso scelte ottimali7. Inoltre, si sottolinea come i più istruiti passino mediamente più tempo a cercare informazioni, aumentando così il rischio di incorrere in notizie inaffidabili. Si tratta di ipotesi e congetture che tuttavia continuano a non spiegare per quali motivi proprio le persone con un maggiore bagaglio culturale dovrebbero essere addirittura le più sprovvedute, tanto da diventare i bersagli principali della disinformazione, né perché dovrebbero essere più predisposte verso una forma mentis chiusa, dogmatica e paranoide.
Tanto più che la ricerca che ho condotto, anche in questo caso in accordo con diverse altre indagini internazionali, non rivela la presenza di atteggiamenti anti-scientifici tra i genitori VHR. Anzi, gli intervistati, facendo leva su un bagaglio culturale tendenzialmente ampio, sono persone che si sono informate facendo ricorso ad una pluralità di fonti, mettendo a confronto pareri discordanti, consultando ricerche scientifiche direttamente e in lingua originale; sono cittadini ben consapevoli dell’insidia delle fake news, riguardo alle quali rivelano però anche un approccio critico e attento ai rapporti di potere che ne informano la definizione. Soprattutto, mostrano una fiducia unanime nella scienza e chiedono più ricerche scientifiche indipendenti: la scienza è vista precisamente come l’attore cruciale da mettere in gioco per giungere alla chiusura della controversia. Il problema riguarda semmai la richiesta di apertura della black box, cioè una domanda forte di trasparenza circa i condizionamenti di tipo politico ed economico nelle attività di regolazione nonché nella selezione delle linee di indagine. Come scrive la filosofa Maya Goldenberg8, proteste ed esitazioni non hanno a che fare con l’anti-scienza: esprimono piuttosto una domanda di partecipazione nel definire l’agenda di ricerca.
Se i complottisti amano la scienza
Già questi due risultati fanno cadere il castello della via italiana alla trattazione mediatica della questione.
Per anni abbiamo sentito ripetere come il problema derivasse dall’“atavica sfiducia degli italiani nella scienza”: eravamo decisamente fuori pista. Ma, a pensarci bene, l’assunto dell’ignoranza come base di VHR è anche alla base del famoso mantra per cui “la scienza non è democratica”, cioè della convinzione che gli uomini e le donne di scienza non si possano “abbassare” a discutere con chi, non avendo competenze, criticherebbe senza alcuna cognizione di causa.
La comunicazione istituzionale ha surrettiziamente recuperato modelli di rapporto tra scienza e società che la comunità scientifica aveva superato da decenni: un notevole balzo all’indietro, fino ai tempi del “rapporto Bodmer” (del 1985) e alla sua concezione paternalista di un pubblico ignorante, incapace di capire i benefici della scienza, e soprattutto incapace di esprimere alcun punto di vista degno di essere ascoltato e men che meno di essere preso in considerazione.

Eppure, il dibattito scientifico si è notevolmente allontanato da quelle concezioni, attraverso l’elaborazione di modelli differenti, come il PES (Public Engagement with science), oggi promosso da importanti istituzioni scientifiche e organizzazioni internazionali9, che, avendo ormai acquisito come critiche e resistenze non abbiano molto a che fare con presunti atteggiamenti anti-scientifici, e avendo d’altra parte riconosciuto il pubblico come non solo competente ma come portatore di interessi e punti di vista che non possono essere trascurati, auspica la creazione di percorsi e strumenti di confronto paritario tra scienziati e pubblico generale, nella convinzione che entrambi gli interlocutori possano trarne vantaggio.
E così, oggi, ci troviamo alle prese con la portata regressiva e autoritaria delle vere e proprie fake news che sono state diffuse.
Non solo, partendo da premesse sbagliate, sono state elaborate strategie comunicative scarsamente efficaci, che non hanno centrato il bersaglio.
Ancora più grave è che l’esclusione tramite ridicolizzazione (e criminalizzazione) delle critiche, insieme all’adozione di politiche di obbligatorietà e inasprimento delle sanzioni, hanno esasperato sentimenti di esclusione e sfiducia nelle istituzioni e innalzato muri di incomunicabilità all’interno della società tra fazioni opposte, inducendole entrambe verso la radicalizzazione nelle proprie posizioni10. Fenomeni di cui solitamente si attribuisce la colpa ai social e agli algoritmi che tendono a creare “bolle” in cui gli individui trovano ripetutamente contenuti coerenti con le proprie precedenti convinzioni11. Il che è probabilmente vero, ma, forse, prima ancora dei meccanismi di funzionamento della rete, occorrerebbe chiedersi quanto siano, a monte, le strategie comunicative istituzionali a innescare questi processi. E i meccanismi di funzionamento del web, semmai, a consolidarle.
Le posso chiedere in che cosa precisamente è laureato?
In questa luce, le avventure giornalistiche volte a suscitare indignazione circa la radicalizzazione dei cosiddetti “no-vax” costituiscono un esempio di giornalismo scadente e superficiale, incapace com’è di promuovere un ragionamento sulle dinamiche che hanno portato non solo una, ma entrambe le fazioni, a chiudersi sulle proprie indiscutibili verità essendo diventato impraticabile – per scelta dall’alto, però – il terreno del confronto.
Ma c’è di più. Tra i frutti (avvelenati) del mantra “la scienza non è democratica” annoveriamo anche la convinzione, che ormai ha largamente fatto presa sull’opinione pubblica, secondo cui non si può esprimere un’opinione su un tema a meno che non si sia (almeno) laureati, e per giunta nella disciplina ad esso più vicina. Ho notato che, in qualunque confronto sui social network mi capiti di seguire, specie su temi riguardanti la salute, più presto che tardi emerge qualcuna/o che cerca di mettere a tacere punti di vista anche blandamente eterodossi o critici, seppure espressi in maniera educata, argomentata ed appropriata, con la domanda di rito: “le posso chiedere in che cosa precisamente è laureato/a?”.
Abbiamo accolto in modo pressoché acritico un’idea reazionaria e classista, secondo cui sarebbe possibile esercitare i propri diritti di cittadinanza e di partecipazione solo se si è laureati – o se si ha la fortuna di esserlo, in un Paese a mobilità sociale ridotta come l’Italia – basata per di più su presupposti sconfessati dalla ricerca scientifica ormai decenni fa.
Tutto questo, quando la ricerca ci dice tutt’altro. Ci dice che non esistono i “complottisti” che cercano informazioni solo sui canali “complottisti” così, per partito preso. Esistono piuttosto persone del tutto normali, che, per motivi diversi, intendono approfondire determinate questioni tecnico-scientifiche che hanno effettivamente un impatto sulla propria vita, e non trovano una copertura adeguata, accurata e pluralista sui giornali o in Tv. E allora cercano altrove12. Del resto, anche l’associazione tra verità e fonti mainstream da una parte contro fake news e Internet dall’altra, è analogamente da mettere in discussione, come ci invitano a fare le ricerche che hanno messo in luce come sul web, proprio a proposito di vaccini, fosse presente un’informazione più corretta e accurata sotto il profilo scientifico, mentre i canali tradizionali si limitavano a fare da megafono a posizioni perentoriamente rassicuranti senza dare risposte a dubbi e domande dei cittadini13.
Interessante l’osservazione di Golbenberg14 secondo cui l’informazione istituzionale sui vaccini viene considerata, dai genitori VHR, come una too broad brush nel suo insistere sulla bassa probabilità di sviluppare reazioni avverse gravi a livello della popolazione, senza però dedicare attenzione alle variabili soggettive che possono determinare una maggiore probabilità di incorrervi, su cui invece si catalizza l’attenzione dei genitori. Quando i movimenti free vax chiedono di investire in questo filone di indagini avanzano quella domanda di partecipazione, che nulla ha a che fare con l’anti-scientificità. Lo stesso quando chiedono che si facciano comparazioni sullo stato di salute generale e sulle probabilità di sviluppare diversi tipi di patologie nel medio-lungo periodo tra bambini in regola con le vaccinazioni e bambini non vaccinati, o che si prendano in considerazione i risultati di alcune ricerche esistenti di questo tipo15.
Finché si trattava “solo” dei bambini, è stato possibile, anche se deleterio da tutti i punti di vista, far passare legittime domande di partecipazione – che in fondo coinvolgevano una minoranza – per atteggiamenti anti-scientifici. Ora che la vaccinazione contro il covid-19 riguarda l’intera popolazione, e che peraltro di fronte a nuove tecnologie e a una riduzione dei tempi di sperimentazione si registrano maggiori divisioni anche tra gli esperti, non è pensabile replicare la stessa strategia.
Non esiste un’unica idea di che cosa sia la salute
Per arginare il complottismo, è necessario che venga avviato un dibattito aperto, approfondito e pluralista negli ambiti istituzionali e sui mezzi di comunicazione di massa, in assenza del quale le persone continueranno a cercare informazioni altrove. A forza di dare addosso al “complottista” non si fa altro che spingere ancora più persone verso quella galassia della “disinformazione” che, a parole, si sostiene di voler combattere. Non meno importante è però anche riconoscere, al di là delle dinamiche comunicative e informative, i mutamenti strutturali da cui prendono forma scetticismo e atteggiamenti di contrarietà. “Prendere sul serio” i free-vax ci dice infatti molte cose circa la nostra società e il nostro rapporto con la medicina.
Nella mia ricerca sui movimenti free-vax, sostengo la necessità di abbandonare le lenti della devianza e del populismo per riconoscere una razionalità nella loro azione. Questa si collega all’emergere di un conflitto di natura epistemica intorno ai concetti di salute, malattia e medicina. In questo punto prende forma la questione, complessa e non banalizzabile, del rapporto tra VHR e familiarità con le tradizioni mediche alternative e olistiche. In sintesi, è necessario prendere consapevolezza dell’idea che non esiste un’unica idea di che cosa sia la salute e di quali siano le strategie più efficaci per conseguirla. Ci sono epistemologie concorrenti rispetto alla medicina biochimica occidentale che si basano su un’idea dell’organismo, e più in generale del rapporto tra uomo, ambiente e società, differente, e che di conseguenza perseguono un’idea diversa di salute, basata essenzialmente su prevenzione primaria, alimentazione, stili di vita; ma anche su auto-realizzazione, socialità e spiritualità. Non tutti i genitori VHR che ho intervistato fruiscono effettivamente di cure alternative, però quasi tutti condividono un approccio critico – con diverse intensità – su alcuni aspetti, interpretati come degenerativi, della medicina convenzionale: l’abuso di farmaci che sopperisce ad errori nello stile di vita, l’esproprio di competenze personali e diffuse su come stare in salute, la concezione meccanicistica e materialista dell’uomo, l’eccessiva specializzazione e concentrazione sui sintomi e non sulle cause, la trascuratezza delle relazioni tra la parte e il tutto, la spersonalizzazione del rapporto medico-paziente, solo per citarne alcuni.
In questo senso, la delegittimazione e l’esclusione (il “complottismo” usato come arma politica) di punti di vista critici possono essere interpretati come il tentativo di trovare una via di uscita (solo) apparentemente rapida e risolutiva di fronte a problemi e “nodi irrisolti” di un processo di riforma della biomedicina da molti anni invocato, ma ancora non avviato, che nasce dall’ardua coesistenza tra medicina biochimica occidentale e post-modernismo16.
Una via d’uscita che consiste essenzialmente nell’elusione, e che intraprende una direzione regressiva (chiusura del discorso prima ancora di averlo iniziato attraverso la delegittimazione della critica) anziché una progressiva, che si sarebbe potuta strutturare in un più difficile, ma ambizioso e lungimirante, percorso di apertura e coinvolgimento delle critiche e della domanda di partecipazione.
Il risultato è un autoritarismo privo di autorevolezza, che oggi lascia vedere tutta la fragilità dei piedi d’argilla su cui appoggia.
Oggi, ancor più di fronte alla mancanza di trasparenza nei contratti con le case farmaceutiche per i vaccini anti-covid e alle incongruenze in diverse scelte di gestione della pandemia, è ancora più necessario invertire drasticamente la tendenza.
È necessario scardinare una volta per tutte la contrapposizione – questa sì, davvero anti-scientifica – tra posizioni ufficiali e “complottismo”, da cui tutti abbiamo da perdere: pro-, free- e no-vax. E non perché il complottismo non esista, ma perché non può essere usato come arma politica per silenziare il dissenso. È ora di trovare il coraggio di trattare finalmente i cittadini come adulti, esigendo un dibattito davvero pluralista, approfondito ed esaustivo sui media e coinvolgendoli in percorsi partecipativi e di confronto in cui le tesi inattendibili possano venire rigettate in maniera condivisa e attraverso la partecipazione si pongano le basi di una ri-legittimazione delle istituzioni stesse.
Note
1 Demos & pi. Atlante politico n. 90, ottobre 2020, http://www.demos.it/a01775.php
2 Cfr. Giacomo Salvini, La seconda pandemia: il boom negazionista, su “Il Fatto Quotidiano”, 21/11/2020.
3 Presentati in Elisa Lello, Populismo anti-scientifico o nodi irrisolti della biomedicina? Prospettive a confronto intorno al movimento free vax, Rassegna Italiana di Sociologia, n. 3/2020, pp. 479-507.
4 Adottando criteri e terminologia di Attwell, K., Smith, D.T. (2017) Parenting as politics: social identity theory and vaccine hesitant communities, in «International Journal of Health Governance», 22, 3, pp. 183-98.
5 Per esempio: Gesser-Edelsburg, A., Shir-Raz, Y., Green, M.S. (2016) Why do parents who usually vaccinate their children hesitate or refuse? General good vs. individual risk, in «Journal of Risk Research», 19, 4, pp. 405-24; Smith, P.J., Chu, S.Y., Barker, L.E. (2004) Children who have received no vaccines: who are they and where do they live?, in «Pediatrics», 114, 1, pp. 187-95.; Wei, F., Mullooly, J.P., Goodman, M., McCarty, M.C., Hanson, A.M., Crane, B.,
Nordin, J.D. (2009) Identification and characteristics of vaccine refusers, in «BMC Pediatrics», 9, 18, pp. 1-9.; Anello, P., Cestari, L., Baldovin, T., Simonato, L., Frasca, G., Caranci, N., Pascucci, M.G., Valent, F., Canova, C. (2017) Socioeconomic factors influencing childhood vaccination in two northern Italian regions, in «Vaccine», 35, 36, pp. 4673-80; Grignolio, A. (2016) Chi ha paura dei vaccini?, Torino, Codice Edizioni; Reich, J.A. (2014) Neoliberal Mothering and Vaccine Refusal: Imagined Gated Communities and the Privilege of Choice, in «Gender and Society»,
28, pp. 679-704.
6 Kahneman, D. (2012) Pensieri lenti e veloci, Miliano, Mondadori.
7 Cfr. Grignolio (2016), cit.
8 Goldenberg, M. (2016) Public Misunderstanding of Science? Reframing the Problem of Vaccine Hesitancy, in «Perspectives on Science», 24, 5, pp. 552-81.
9 Coniglione, F., eds. (2010) Through the Mirrors of Science. New Challenges for Knowledge-based Societies, Ontos Verlag, Heusenstamm.
10 Cfr. Nyhan, B., Reifler, J., Richey, S. e Freed, G.L. (2014) Effective messages in vaccine promotion: a randomized trial, in «Pediatrics», 133, 4, 835-42; Atwell e Smith (2017) cit.
11 Pariser, E. (2011) The Filter Bubble: What The Internet Is Hiding From You, New York: The Penguin Press.
12 Come mostrano anche Quintero Johnson, J., Sionean, C., Scott, A.M. (2011) Exploring the presentation of news information about the HPV vaccine: a content analysis of a representative sample of US newspaper articles, in «Health Communication », 26, 6, pp. 491-501.
13 Bodemer, N., Müller, S.M., Okan, Y., Garcia-Retamero, R., Neumeyer-Gromen, A. (2012) Do the media provide transparent health information? A cross-cultural comparison of public information about the HPV vaccine, in «Vaccine», 30, 25, pp. 3747-56.
14 2016, cit.
15 Cfr. Lyons-Weiler, J., Thomas, P. (2020) Relative Incidence of Office Visits and Cumulative Rates of Billed Diagnoses Along the Axis of Vaccination, in «International Journal of Environmental Research and Public Health» 22;17(22):8674, e Hooker, B.S., Miller, N.Z. (2020) Analysis of health outcomes in vaccinated and unvaccinated children: Developmental delays, asthma, ear infections and gastrointestinal disorders, in «SAGE Open Medicine», 27;8:2050312120925344.
16 Cfr. Cavicchi, I. (2010) Medicina e società: snodi cruciali, Bari, Dedalo.
Elisa Lello è ricercatrice presso l’Università di Urbino Carlo Bo
Articolo interessante, bibliografia convincente, complimenti.
Offro qualche considerazione critica :
1) la crescita culturale della global civic society esige luoghi e momenti di dibattito approfondito che mancano drammaticamente, a maggior ragione se in fase pandemica ci si deve inventare webinar, dimenticando che il dialogo in presenza, il teatro, sarebbe la più convincente scuola per un long life learning di cui innanzi tutto gli adulti avrebbero giovamento;
2) del tutto a prescindere da classe sociale e livello di istruzione, le capacità di ascolto e comprensione logica e umana esigono prudenza, nel definire pluralistico il frequente dialogo (monologo) fra sordi che caratterizza per certi versi i media: l’esplosione di conoscenze accessibili convivono con algoritmi e fake news, e il rischio è di perdersi spesso in inutili incontri, o peggio in violenti scontri verbali, perfino tra esperti, in medicina come in qualsiasi ambito; la disponibilità a cambiare opinione è una delle attitudini umane più rare ad incontrarsi ovunque, e per questo credo si debba distinguere tra pluralismo e democrazia, ripensando alla democrazia come a un valore da ridisegnare, che richiede il merito di parecchio impegno cognitivo, non scontato. A maggior ragione se uscire da una pandemia richiede di essere prova nonostante le incertezze, di ogni tipo, che la scienza innanzitutto mette sempre in campo per progredire;
3 la medicina scientifica occidentale che non è una scienza ma prassi etica fondata sulle migliori evidenze disponibili l presente, ospita al proprio interno dissensi su questioni cruciali, da decenni, cioè da che diviene adulta con la Evidence based medicine, e del resto da quando nacque in antichità.
Tuttavia, esercitare la professione non consente oggi se non esercizi di comprensione e consigli mirati ai singoli, mentre più che mai oggi la percezione, gestione e analisi dei rischi, sociali e ambientali, dovrebbe essere il cuore di una educazione sanitaria e civile tra molti, più efficiente, che (salvo rare eccezioni) non vedo in giro, nemmeno come progetto di incontro.
Almeno in Italia.
Resto interessato a suggerire partecipare a progetti e a imparare al riguardo, nel caso. Grazie.
Un medico ospedaliero
Grazie ad entrambi, dott.ssa Lello e medico ospedaliero…leggervi è stato proprio come essere già nell’ottica non della contrapposizione demagogica ma dell’ascolto reciproco attivo e partecipativo! Dal canto mio posso solo aggiungere da cittadina semplice che da anni la mia percezione del grado di “eticità” della medicina occidentale è via via sparita…solo ogni tanto la riscopro in alcuni medici (pochi) che sento attenti e valorialmente convinti che la prima cura del paziente consiste nell’ascoltarlo! Grazie
Ottimo articolo. Io sono stato più volte zittito in malo modo “perchè non sono virologo” ma essendo laureato in Scienze Pedaogiche e della Comunicazione Sociale ho una mia opinione pessima su quella che chiamo “narrazione pandemica”. Quella secondo la quale tu sei malato fino a prova contraria, e devi dimostrare allo stato di essere sano. Nell’inferno restoacasista di Marzo-Aprile quando i droni di Conte inseguivano i runner e le coppiette, io criticai con radicalità l’osceno concetto di “distanziamento sociale”. Qualcuno della redazione mi rispose che era una “necessità prossemica imposta dalla pandemia”. Ne siete sempre cosi convinti, mentre crescono legioni di delatori condominiali, segnalatori di feste private, cacciatori di assembramenti, sceriffi da balcone? Siete ancora convinti che il Distanziamento Sociale, la Pezza, Il Tampone Preventivo siano di sinistra? A me sembra solo un incubo distopico. Ma forse sono un complottista. La scienza hard, per un sociologo, è un costrutto socioculturale umano. Se le paternali degne di Don Matteo da Spoleto dei vari Pregliasco e Galli le avessero fatte i preti in certi ambienti si sarebbe gridato allo scandalo
La ringrazio per questo articolo che tocca i vari aspetti, certo ulteriormente approfondibili, di una questione normalmente liquidata in modo acritico e sterile. Cordialmente, barbara panelli
https://researt.net/2021/02/19/scienza-e-coscienza/
Grazie a Elisa Lello e a TUTTI coloro che hanno commentato il suo importante scritto che ha stimolato in me molte riflessioni e ruchiamato un punto doloroso ma liberatorio dei miei oltre venti anni di costruttore di macchine per il processo farmeceutico che mi fa interrogare se qualche sociologo si è mai occupato o si occuperà di studiare il fenomeno dell'<> come fatto ipnotico e, nello specifico, come è possibile che idee sbagliate diffuse da pochi referenti non disinteressati possano diventare il “credo” di centinaia di persone “qualificate” ovvero “laureate”, cioè dottori per lo più in biologia, divenuti direttori di stabilimenti importanti, come anche di ingegneri divenuti responsabili dei relativi uffici tecnici. Avrei molto da raccontare a un tale sociologo. Le riflessioni in me suscitate non hanno spazio sufficiente in un commento a un articolo per cui penso che le tradurrò in un testo più articolato. Mi piacerebbe anche dialogare ulteriormente con la apprezzata autrice e i suoi/le sue commentatori/commentatrici. Una sola obiezione che anticipo, a fronte di un consenso complessivo per lo scritto. L’autrice ha una idea ‘illuministica’ sulla possibilità di riportare alla razionalità il mondo della scienza come quello delle istituzioni, bacate nel profondo come Illich aveva ben capito. L’attuale spaccatura profonda nel mondo della scienza di fronte al Covid ci obbliga a riflettere su “quale” scienza merita questo nome. Ma prima di proseguire questo mio discorso amaro, non essendo un sociologo devo completare la comprensione di questo testo con la lettura dei vari riferimenti indicati dall’autrice, alla quale rivolgo un grazie sentito.
Aldo Zanchetta
Grazie dott.ssa Lello per questo articolo. Sono laureato in Antropologia con una tesi sul rapporto fra discipline scientifiche e società (soprattutto sulle retoriche interne alle discipline intese a presentarsi come “interpreti autorizzate” della realtà) e devo dire che dopo un periodo di forte sconforto non soltanto sulla possibilità di intervenire in un dibattito disciplinare, ma anche solo di esprimere opinioni in contesti informali, la lettura del suo articolo mi ha rincuorato, sia perchè ritengo che abbia toccato temi che meritano una riflessione approfondita, sia per lo stile delicato e non fazioso con cui ha esposto gli argomenti. Leggerò con attenzione il maggior numero possibile delle fonti da lei citate in bibliografia.