È ancora un’eresia pensare di poter fare in modo che la soddisfazione dei bisogni vitali avvenga al di fuori dei meccanismi guidati dalla creazione di un margine che serve a ripagare un debito o a generare un profitto? La capacità di produrre quello che ci serve per vivere non potrebbe essere attivata dalle nostre necessità e dalle nostre capacità, non dai soldi che abbiamo in tasca? Tanto, poi, soldi in tasca non ne abbiamo
In questo periodo eccezionale in molti ci stiamo chiedendo come dovrebbe funzionare la nostra società per consentire a tutti una vita dignitosa. Se il libero mercato non lo permette, in quanto distribuisce i prodotti solo a chi ha i soldi in tasca, l’alternativa va cercata in un sistema di produzione che consenta a tutti di contribuire al bene comune e di ricevere il necessario per vivere, centrato sulle comunità locali e sganciato dai meccanismi del debito e dell’accumulazione.
Proverò a mettere insieme alcuni concetti per delineare a grandi linee come potrebbe funzionare una società che consenta a tutti una vita dignitosa; userò molta farina dei sacchi altrui, scusandomi per non riuscire in questo testo ad inserire tutte le citazioni che lo meriterebbero1.
Da dove partire
Nella crisi multipla che stiamo vivendo vengono portate avanti, già da parecchio tempo, diverse proposte su come potremmo migliorare la nostra società in modo da permettere a tutti una vita dignitosa e vivere in armonia con la natura, e già moltissimi stanno portando avanti passi concreti in questa direzione. Le varie proposte hanno impostazioni diverse a seconda di quale venga considerato il nocciolo del problema.
Io penso che il denaro sia allo stesso tempo l’invenzione migliore e quella peggiore dell’umanità. Da una parte è uno strumento eccezionale, fornendo un’unità di misura che ci consente di scambiare beni su tutto il globo; dall’altra è uno strumento di accumulazione perverso, che si concentra in poche mani sottraendo le risorse a chi ne ha bisogno.
Se le manovre di sostegno per l’emergenza sono finanziate dall’emissione di titoli a debito, come avviene normalmente, questo aumenta gli interessi passivi degli stati e continua ad alimentare quei meccanismi di indebitamento che portano le ricchezze da chi ne ha poche a chi ne ha molte, per non parlare del rischio di bancarotta degli stessi stati e delle speculazioni associate.
Dobbiamo fare in modo che la soddisfazione dei bisogni vitali avvenga al di fuori dei meccanismi guidati dalla creazione di un margine che serve a ripagare un debito o a generare un profitto; la capacità di produrre quello che ci serve per vivere deve essere attivata dalle nostre necessità e dalle nostre capacità, non dai soldi che abbiamo in tasca.
La tessera non solo per il pane
Questo significa mettere in piedi un sistema in cui il necessario per vivere venga riconosciuto a tutti; così come abbiamo elaborato il concetto per cui la sanità e l’istruzione debbano essere per tutti, la stesa cosa deve valere per il cibo, qualcosa da indossare e un posto per dormire. Questo si può fare attivando le nostre capacità di produrre quanto ci serve per vivere, ma al di fuori dei meccanismi di accumulazione, e facendo in modo che le risorse attivate in un territorio restino lì e non fuggano altrove.
Come potrebbe funzionare? Provo a sviluppare qualche ipotesi, ma si tratta solo di un esempio per dare un’idea; il meccanismo sarà da rivedere, provare, raffinare e correggere.
Nella proposta che vi presento ogni cittadino possiede una tessera personale, come quella del codice fiscale. Su questa tessera ogni settimana vengono accreditati dei punti; ad esempio, 100 punti a settimana. Non so come chiamare questi punti, per ora li chiamo punti e basta, suggeritemi voi un nome. Con questi punti è possibile acquistare presso i negozi della propria zona i prodotti che servono per le esigenze di base della nostra vita di tutti i giorni, dal cibo all’informazione.
Ogni settimana, la domenica, la quantità di punti accumulati sulla tessera diminuisce di una piccola quantità, diciamo ad esempio del -1%. Si tratta di un piccolo interesse negativo per rendere inutile l’accumulazione e invitare a mettere in circolazione i punti così da attivare le risorse presenti sul territorio; chi si occupa di monete complementari lo chiama “demurrage”.
I negozi che ricevono questi punti li potranno utilizzare per pagare chi lavora, i fornitori, l’affitto e magari anche le tasse locali; i fornitori che ricevono i punti li potranno a loro volta utilizzare per i loro lavoratori e fornitori, e così via; questi punti valgono solo all’interno di una certa area (ad esempio la Provincia o la Regione), i prodotti che vengono da fuori andranno scambiati in Euro.
Ogni settimana vengono immessi nel circuito nuovi punti, ed una certa quantità di punti scade per effetto dell’interesse negativo. Questo mantiene limitato il totale dei punti circolanti, che corrisponde all’investimento necessario da parte della comunità per richiedere le risorse necessarie al suo mantenimento.
Se applichiamo il nostro esempio ad un Comune di 1’000 abitanti, con 100 punti emessi per persona ed un interesse negativo del -1% ogni settimana, il sistema si stabilizza ad una massa circolante di 10 milioni di punti, che viene raggiunta gradualmente in diversi anni secondo il grafico della figura.
Piena occupazione
Se da una parte tutti i cittadini ricevono tramite i punti la capacità di ottenere quanto serve per le esigenze di base della loro vita, dall’altra a tutti i cittadini che ne hanno la possibilità chiediamo di contribuire al benvivere della collettività. Potremo stabilire, ad esempio, che per avere quanto ci serve per una vita dignitosa è necessario che tutti quelli che sono in condizioni di poter lavorare lo facciano per 20 ore alla settimana. Questo significa che, a chi ne ha la possibilità, chiediamo di lavorare almeno 20 ore alla settimana. In questa prospettiva, per semplicità, consideriamo gli studenti come fossero dei lavoratori.
Se uno ha un impiego che lo impegna almeno 20 ore a settimana, vedrà la sua retribuzione composta dai 100 punti settimanali più una parte aggiuntiva che gli verrà riconosciuta in parte come punti e in parte in Euro, a seconda della disponibilità del datore di lavoro.
Se uno non ha un impiego di almeno 20 ore, la comunità locale gli chiederà di contribuire al bene comune con una attività che lo porti ad impegnarsi per 20 ore la settimana, in cambio dei punti che gli vengono accreditati sulla carta.
Sperimentare
Lo so, tutto questo vi sembrerà un po’ strano, e farete subito un sacco di obiezioni dicendo: “ma nel caso in cui….”. Non pretendo di aver trovato la soluzione perfetta che risolve d’incanto tutti i problemi, e non si tratta di cercare una soluzione a tavolino.
La mia intenzione è mostrare come possa funzionare un nucleo di base dell’attività economica che consenta ad ognuno di contribuire e ricevere il necessario per una vita dignitosa, al di fuori dei meccanismi di debito ed accumulazione; questo nucleo deve essere guidato dalla comunità locale che si interroga su cosa produrre e cosa consumare in un territorio, per il benessere dei suoi cittadini ed in relazione paritetica con gli altri territori. Intorno a questo nucleo potremo avere le altre attività economiche, ma i nostri diritti non devono essere sottomessi alle leggi del mercato.
Tutto questo è ovviamente da costruire, insieme tra cittadini e istituzioni; per questo vedo di buon occhio le sperimentazioni di monete complementari, che secondo me dovrebbero essere indirizzate secondo questa logica.
Penso che servirebbe una sperimentazione in questa direzione portata avanti insieme tra reti territoriali ed Enti Locali. Non possiamo pensare che una trasformazione di questa portata, di cui abbiamo disperatamente bisogno, provenga solo dalle istituzioni, né solamente dai cittadini.
E se vi state chiedendo come faremo a distinguere cosa è indispensabile da cosa non lo è, non vi preoccupate; iniziamo con alcuni bisogni di base, e se poi questo meccanismo ci piace lo potremo estendere a tutti i prodotti ed i servizi che aumentano il benvivere di tutti senza oltrepassare i limiti del pianeta.
Note
[1] – Questa è la prima citazione che inserirei: Francesco Gesualdi, Centro Nuovo Modello di Sviluppo, “Sobrietà”, Feltrinelli 2005.
Andrea Franchini dice
L’idea è splendida. ma c’è un però: strade, ponti, scuole, ospedali… possono rientrare un finanziamento a punti? Ossia, per piccole comunità forse potrebbe anche funzionare ma più si allarga il territorio e più problemi economici di scambio sorgono. Poi, chi decide quanti punti vanno a chi e per cosa? E per quelli che decidono non c’è il pericolo di accaparramento sottoforma di privilegi… Mi sa che questi punti non siano altro che monete mascherate, un sistema di equiparazione di valori di beni e servizi prodotti per tutti. Alla lunga, occorrerebbe certamente una burocrazia per gestire il sistema e si sa come andrebbe a finire… Teoricamente sarebbe bello ma purtroppo è nella natura dell’uomo la tendenza all’accumulo… il potere… Comunque, per carità, se si trova una via equa e democratica in questo sistema dei punti ne sarei felicissimo. Io farei un pensierino anche a una banca/baratto dove ognuno porta quello che sa fare e ritira quello che gli serve… Auguri sinceri
Francesco dice
A mio modesto avviso, il denaro è stata un’invenzione necessaria. Come tutte le invenzioni, il problema non è essa stessa ma chi la regola e come la si utilizza: in definitiva, il problema è sempre l’essere umano. Se costruisci il sistema finanziario su criteri che si discostano dalla cultura della comunità di riferimento, questa diventerà uno strumento mal sopportato dalle persone e potrà generare rigidità, anziché fluidità del mercato. Pensiamo all’Italia e all’Euro: i criteri con cui è stata creata la moneta unica sono molto più fedeli all’etica protestante mittel-europea, che non alle abitudini di risparmio e spesa mediterranei. Il decisore pubblico italiano, quando controllava la lira, utilizzava la svalutazione per riequilibrare il peso del debito pubblico e privato rispetto ai ritmi di produzione e produttività del sistema paese. Questo in Germania e Olanda è inaccettabile. La moneta è uno strumento dell’uomo e delle comunità, a queste deve fare riferimento e il suo utilizzo va parametrato alla cultura finanziaria di quella stessa comunità. Questo per dire che non si può partire dalla fine del ragionamento, la sostituzione della moneta. Si deve partire dalla fonte: cos’è la moneta? cos’è il dono? cos’è il baratto? sono forme di scambio diverse, ma che ruolo occupano nelle nostre comunità? cosa ha un valore monetario e cosa no? l’accumulo è davvero un problema, se permette a chi è in surplus di prestare a chi è in deficit per portare avanti una nuova idea di impresa? Io credo che l’accumulo equo, il prestito equo, l’interesse equo (che ripaghi il prestito) e le commissioni passive eque (che finanzino gli stipendi dei lavoratori del settore finanziario) non siano da rigettare, anzi sono da perseguire. Dunque, lavoriamo sulle persone, modifichiamo il sistema perché sia equo, teniamo ciò che c’è di buono e cambiamo quello che non funziona, ovvero ciò che genera insopportabili diseguaglianze.