di Gianluca Gabrielli*
Come era organizzato lo scenario in cui, dall’autunno del 1938, prese forma il razzismo di Stato nella scuola italiana?
Entriamo nell’aula. Sulla parete dietro la cattedra posta sulla predella che assicurava il rapporto gerarchico tra docenti e allievi, campeggiavano i tre simboli del potere nell’Italia fascista: il ritratto del duce accanto al ritratto del re e al crocifisso. Negli angoli in alto a destra e a sinistra erano appesi gli altoparlanti della radio, installati negli ultimi anni, da cui venivano trasmessi agli studenti – tra le lezioni del curricolo e i discorsi del duce – i proclami razzisti dei gerarchi e le massime per la difesa della “razza”. Sulle pareti laterali in molti casi campeggiavano le decorazioni con i simboli del fascismo, come i fasci littori e le onnipresenti frasi di Mussolini. Sempre sulle pareti – erano passati solo due anni dalla conquista dell’Etiopia – non poteva mancare la carta geografica dell’impero africano, luogo di origine dei nuovi sudditi appartenenti alla “razza negra” o ad incroci definiti “meticci”, bersaglio principale del razzismo coloniale perché secondo la teoria razzista presentavano degenerate le già infime qualità della “razza negra”.
I banchi degli alunni erano disposti a coppie ed erano rivolti verso la cattedra e i simboli dell’autorità che si stagliavano dietro di essa. In alcune città era probabile che uno o due banchi risultassero vuoti, effetto dell’applicazione immediata della cacciata degli studenti ebrei fin dall’inizio dell’anno scolastico 1938-39. Anche alcune cattedre sarebbero state vuote, se l’assenza dei docenti ebrei espulsi non fosse stata immediatamente rimpiazzata con altri docenti definiti “ariani” prima dell’apertura dell’anno scolastico.
Sui banchi
Sui banchi degli studenti e sulla cattedra nel giro di poco tempo comparvero i testi di riferimento del razzismo fascista. Prima di tutto il Secondo libro della razza, interamente dedicato alla dottrina razziale e scritto come un breviario per catechizzare i giovani e le giovani italiane. Qui i giovani e le giovano potevano leggere che “il meticcio, ossia il figlio di due individui dei quali uno di colore, è un essere moralmente e fisicamente inferiore, facile vittima di gravi malattie e inclinato ai vizi più riprovevoli”. Anche i nuovi libri i testo aggiornati contenevano pagine dedicate ai principi del razzismo e dell’antisemitismo, da quelli delle scuole elementari (letture, sussidiari) alle antologie letterarie, storiche e geografiche delle scuole secondarie. Così ad esempio le bambine e i bambini di dieci anni sulle pagine del sussidiario di quinta classe oltre a trovare scritto che “la razza bianca è la più civile, quella cioè capace delle più grandi idee”, concetto che veniva insegnato da quasi un secolo, potevano apprendere ex novo che “le leggi del fascismo vietano che i cittadini di razza italiana contraggano matrimonio con individui di razza di colore e con gli ebrei; ma oltreché dalle leggi ciò deve essere proibito dal nostro amor proprio”.
https://comune-info.net/2018/11/imparare-a-saltare-i-muri-xenofobia/
Sulle copertine delle nuove edizioni dei libri di testo nell’estate del 1939 spuntarono significative etichette preparate dagli editori che garantivano l’avvenuta “bonifica” dei testi dagli scritti di autori ebrei, emblema di una epurazione culturale pesantissima che cercò di sottrarre minuziosamente dagli occhi degli studenti ogni traccia di quella che venne definita “contaminazione ebraica” della cultura nazionale.
Nelle pareti
Negli anni anche le pareti cambiarono, vennero sostituite le molte carte geografiche dovute ad esempio Roberto Almagià, importante geografo di origine ebraica. Forse in alcune scuole erano ancora visibili nei corridoi o nell’aula di scienze i busti in gesso o materie plastiche raffiguranti le “razze umane”, ausilio didattico in vendita fin dall’ultimo decennio dell’Ottocento in tutta Europa per istruire sulle caratteristiche somatiche differenti delle varie popolazioni e alludere alla loro gerarchia intellettuale e morale. I cartelloni murali che illustravano le cinque “razze” secondo la tradizione antropologica ottocentesca, lasciarono in alcuni casi il posto ai nuovi manifesti che emendavano le vecchie classificazioni in tre o cinque “razze” con le nuove codificazioni che introducevano la caricatura grottesca della “razza ebraica” e sdoppiavano la “razza bianca” in “ariano italiano” e “ariano tedesco”.
Professori, fumetti e biblioteche
I professori furono invitati a rivedere i loro curricoli destinati alla gioventù italiana, ora spinta con forza crescente a considerarsi rappresentante della “razza” superiore. Così in quelle aule risuonarono fino al 1943 e al 1945 le parole di una scienza che insegnava l’irriducibile diversità biologica degli uomini africani, le lezioni di religione che spiegavano la superiore civiltà del cristianesimo, quelle di lettere che vantavano l’eccellenza del genio italico, quelle di diritto incaricate di illustrare le normative in difesa del prestigio della “razza bianca”, quelle di igiene finalizzate a formare madri coscienziose capaci di crescere eugeneticamente i figli della “razza eletta” e quelle di storia che culminavano con la fondazione dell’impero, la guerra dei popoli ariani e la minaccia dell’ebraismo internazionale.
Nella biblioteca della scuola si aggiunsero gli abbonamenti a riviste come “La difesa della razza”, consigliata vivamente dal ministro Bottai ai presidi fin dal mese di agosto 1938, e “Razza e civiltà”: due bollettini di propaganda dell’odio incaricati di tenere aggiornate le istituzioni scolastiche sul cammino della riforma “razziale” fascista.
Anche sotto il banco cominciò a circolare il nuovo fuoco della “razza”. I giornalini, che da anni erano divenuti i principali catalizzatori della distrazione scolastica, si caricarono di vignette antisemite e antiafricane; antisemita era la famosa caricatura dell’ebreo di De Seta costruita con i numeri, o la vicenda del furbissimo Assalonne Mordivò che cercava di derubare il piccolo italiano salvato dall’intervento di un giovane balilla. Antiafricane erano le mille declinazioni fumettistiche dei “negri”: primitivi, malvagi, cannibali, sciocchi e ottusi, o ancora sottomessi, fedeli, infantili, succubi, asserviti.
Il brano riprende l’introduzione alla sezione sulla scuola della mostra 1938. Il mito della “razza” e le leggi antiebraiche, organizzata dal Centro Furio Jesi a cura di Mauro Raspanti, aperta dal 20 dicembre 2018 al 25 gennaio 2019 presso il Centro civico di via Faenza 3, Bologna (lun., mer. e ven. ore 9-13; mar. e gio. ore 9-17,30).
*Gianluca Gabrielli è storico e insegnante di scuola primaria. Il suo ultimo libro è Educati alla guerra. Nazionalizzazione e militarizzazione dell’infanzia nella prima metà del Novecento (Ombre corte, 2016), dal quale è tratta l’omonima mostra. Ha aderito alla campagna Un mondo nuovo comincia da qui. Altri suoi articoli sono leggibili qui.
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