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di Chris Carlsson*
Lo è ancora, non è vero? Lo è, in alcuni posti, un po’ meno in altri. In America Latina, dal Cile al Brasile alla Colombia, Panama, Perù, Equador e Messico, va forte. Ne ho avuto coscienza durante i due mesi recentemente trascorsi in Cile al Forum Mundial de Bicicleta 5 (#FMB5). Tra presentazioni di ogni sorta sul tema, dalla progettazione delle strade e l’accessibilità, al fondamentale impulso femminista che spinge molte donne ad utilizzare la bicicletta come vero e proprio mezzo di emancipazione personale (come le loro antenate del XIX secolo), fino alle innumerevoli presentazioni di pianificazione urbana e città vivibili, mi è apparso improvvisamente chiaro che stiamo vivendo un particolare periodo della storia. Tra il 1990 e il 2020, ci troviamo in una fase di transizione da un sistema di mobilità incentrata sull’automobile a un approccio multi-modale al trasporto urbano che mette in primo piano la bicicletta e il camminare, coadiuvato dai mezzi pubblici.
A dir la verità, vi sono ancora forti spinte politiche ed economiche che cercano di contrastare enormemente questa transizione, visto anche il ruolo centrale dell’industria automobilistica e del petrolio in molte economie industrializzate. Ma milioni di cittadini nel mondo si stanno letteralmente “votando” a questo, andando in bicicletta e cambiando il proprio comportamento quotidiano. Questa tendenza non viene da una decisione politica decisa dall’alto da qualche burocrate, ma è piuttosto un bisogno che scaturisce direttamente dalle persone che vivono in città per far fronte alla ridicola irrazionalità dell’insanabile congestione del traffico, all’orribile inquinamento atmosferico, agli incidenti catastrofici, ai quartieri devastati da una pianificazione pensata per creare spazio per far correre le macchine o per parcheggiarle, al continuo indebitamento per pagare i costi dell’auto, ecc. Mentre ovunque nel mondo veniva spazzata via la solidarietà sociale dalle orribili conseguenze del capitalismo neoliberista e dall’austerity, un nuovo tipo di solidarietà tra coloro che abbracciavano la filosofia della bicicletta ha aiutato molti a trovare una notevole connessione con i loro fratelli e sorelle ciclisti.
La “cultura della solidarietà dei ciclisti” è un fenomeno principalmente della media e alta borghesia. I poveri hanno continuato ad andare in bicicletta per tutto il XX secolo senza farne una questione politica o culturale. Ma quando la cultura della bicicletta ha iniziato a prender piede a partire dalla scorsa generazione, si è andata radicando tra coloro che forse più di altri erano separati da quel tipo di solidarietà quotidiana che ha da sempre costituito la caratteristica delle comunità più povere. In posti come il Messico, non è raro sentire ancora le persone liquidare le cosiddette cittadine “arretrate” con l’epiteto di “Pueblos Bicicleteros” (Villaggio di “biciclettari”), per indicare la loro mancanza di modernità. Ma con una fantastica inversione di marcia, quelle stesse cittadine possono ora vantare di aver evitato la stupidità del modernismo del XX secolo, abbracciando direttamente una piena e moderna sensibilità del XXI secolo, basata su una coscienza condivisa ed ecologicamente sostenibile, e possono sentirsi a proprio agio con una mobilità autonoma, come una sensibile prima scelta al posto della dipendenza da auto e petrolio.
Nel corso delle due settimane trascorse in Cile, principalmente a Santiago, mi sono ritrovato immerso in una città con una cultura dinamica della bicicletta, per quanto frammentata, e tra i suoi partecipanti aleggia una potente attrazione e fascino e un coinvolgente senso di solidarietà e appartenenza. La città ospitava il Forum Mundial de Bicicleta 5 (#FMB5) che non è esattamente un forum mondiale, ma piuttosto latino-americano. Il primo appuntamento si è avuto cinque anni fa a Porto Alegre, in Brasile, dove si è tenuto anche l’anno successivo, per poi spostarsi leggermente più a nord del Brasile, a Curitiba, per il terzo appuntamento. In quell’occasione i partecipanti votarono di misura affinché il quarto incontro (2015) si tenesse a Medellin, in Colombia, e qui i partecipanti decisero che quello di quest’anno si tenesse a Santiago, Cile. Alla fine del quinto giorno a Santiago, abbiamo deciso collettivamente che l’appuntamento del 2017 si sarebbe tenuto a Città del Messico e quello del 2018 a Lima, Perù.
Al Forum di Santiago ho tenuto una presentazione e sono stato accolto con enorme rispetto ed entusiasmo, molto superiore a quanto in realtà non meritassi, per via dell’errata convinzione che io fossi il fondatore o creatore della Critical Mass (ho cercato in tutti i modi di convincerli del contrario, ma più negavo e più le persone si convincevano che fosse vero!). La cultura della bicicletta (a quanto pare) ha bisogno di eroi per sedimentarsi e io mi sono ritrovato cacciato in questo ruolo (un “accidentale ambasciatore”, come descritto nel mio saggio Shift Happens: Critical Mass at 20), insieme a Gary Fisher ed altri che erano quasi degli habituè di questo tipo di incontri. Ma il motivo della mia partecipazione a Santiago era di dare quello che dentro di me immaginavo come una sorta di “addio” alla politica della bicicletta, ma che a quel punto realizzai che probabilmente non lo era. Il mio intervento si intitolava “Se andare in bicicletta è la chiave, cosa sblocca?” e presentava la tesi che sostenevo da tempo, per cui andare in bicicletta non è di per sé un sufficiente punto di partenza.
Quando condivido questa tesi con molti dei miei fantastici amici della comunità di ciclisti latino-americani, molti di loro concordano con me. Ma penso che nessuno di noi abbia mai realmente riflettuto sulle sue implicazioni e significati. Penso che l’esperienza che ho avuto in San Francisco è un punto di riferimento importante. Circa due o tre dozzine di noi diedero vita alla Critical Mass circa una generazione fa (nel 1992) ed ebbero l’enorme piacere di vederla diffondersi in tutto il mondo come una “meme” contagiosa e che si replicava da sé, in appena pochi anni. Nel 1994 già si contavano diverse Critical Mass, ma la cosa ancor più interessante era che molti davano vita a club di ciclisti, ciclofficine, gruppi di danza con le biciclette, spettacoli circensi con le bici, corse notturne, bike caffè, e a un’infinità di fanzine, cappelli, adesivi, poster, spillette e tutta una notevole serie di espressioni creative legate al tema della bicicletta. Al volgere del XXI secolo, quella tendenza stava per scemare ed ora, nel 2016, è praticamente scomparsa.
Anche qui a San Francisco, la moda della bicicletta è scoppiata nei primi anni ’90. Abbiamo assistito a un enorme aumento quotidiano di spostamenti in bici, nel corso di questo periodo. Nel momento in cui andare in bicicletta è cominciato a diventare prassi comune per decine di migliaia di persone, quella che un tempo era una dinamica tendenza si è andata ampiamente disgregandosi. La Critical Mass ancora si raduna ogni mese, ma è da un bel po’ che penso abbia perso magia e ispirazione. In genere, al giorno d’oggi si tratta di eventi prevedibili e abbastanza noiosi, senza essere accompagnati da molte conversazioni o discussioni. La locale ciclofficina Bike Kitchen va ancora forte, anche se ubicata in un locale costoso che ha trasformato quell’intangibile essenza di un tempo, in un certo grado di normalizzazione. Dozzine di negozi di bici funzionano molto bene come micro-imprese; qua e là si aprono nuove corsie per bici ben delimitate, anche se siamo ben lungi dall’avere una rete strutturata di piste ciclabili funzionali e separate dalle strade dominate dalle auto.
Vi sono ancora delle iniziative indipendenti per l’uso della bicicletta all’interno di interessanti contesti politici. Il gruppo di attivisti Poder ha organizzato Bicis del Pueblo, che organizza dei workshop mensili sulla costruzione di bici, gruppi organizzati di ciclisti ed altro ancora, rivolti alla popolazione di lavoratori latinos, nella parte sud di San Francisco. A Los Angeles, gli Ovarian Psycos sono un gruppo di donne cicliste che ridefinisce sia gli standard di genere che quelli di emarginazione razziale, nella scena del mondo dei ciclisti. La bicicletta continua a fornire ai diversi gruppi sociali occasione per affermare la propria indipendenza, la propria opposizione alla cultura dominante e per adottare una pur parziale agenda di trasformazione urbana. Ma molti ciclisti sono stati anche aggressivamente catturati all’interno di interessi puramente monetari, volti alla preservazione ed estensione delle attuali dinamiche di potere e benessere.
Un considerevole numero di ciclisti nella Bay Area ed oltre, hanno scelto di partecipare agli incontri mensili dei “Bike Parties” che si sono rivelati essere la risposta ai raduni della Critical Mass considerati troppo anarchici e “fuori controllo”. Questi raduni prevedono che si segua il codice stradale, ci si fermi regolarmente per pause, si abbia un gruppo auto-organizzato di supervisori che accompagni i ciclisti per tutto il percorso, e deliberatamente scelgono di ignorare ogni discussione o idea politica. L’East Bay Bike Party, tuttavia, ha avuto il merito di portare migliaia di giovani ciclisti insieme per lunghe corse notturne in un’area nota per essere molto varia sul piano etnico, a differenza dei raduni della Crtical Mass con una netta prevalenza di bianchi.
Oltre alla proliferazione di corse in bici quotidiane, un’altra emergente novità è costituita dal parklet, che riutilizzano i parcheggi per auto trasformandoli in micro-spazi pubblici. Spesso vengono installati di fronte a negozi di bici e bar, aiutando a rinforzare la trasformazione culturale verso una maggiore convivialità insita in questo genere di piccole attività. Ma vi sono anche coloro che vi si oppongono, specialmente tra gli attivisti che combattono la gentrificazione e la ricollocazione delle comunità di colore, dal momento che i parklet tendono ad essere punto di ritrovo di giovani lavoratori precari bianchi che spendono un sacco di tempo al computer in aree pubbliche. Raramente i lavoratori a giornata o le domestiche hanno il tempo per sedersi e godersi un caffè in un parkelt, anche in quei quartieri in cui vi sono migliaia di impiegati, e nonostante questi parklet siano chiaramente segnalati come spazi pubblici e non aree private di proprietà delle attività adiacenti.
I venticinque anni di vita della cultura della bicicletta a San Francisco, non possono essere capiti se non si considera la più importante organizzazione della città, la San Francisco Bicycle Coalition (Sfbc). Quando la Critical Mass iniziò la sua attività nel 1992, la Sfbc era un gruppo di poco più di quindici volontari che si incontravano una volta al mese nel retro di un ristorante cinese. Circa un anno dopo, hanno fatto il salto affittando un ufficio e nominando un direttore e uno staff part time, remunerati. Dopo un attacco della polizia alla Critical Mass nel 1997, la Sfbc godette di un improvviso afflusso di nuovi soci e nel giro di un anno crebbero fino a superare per la prima volta il migliaio di soci attivi. Nel 2000, il nuovo direttore esecutivo portò avanti una strategia di crescita della base associativa, smorzando l’attivismo di base dell’organizzazione a favore di una struttura più tipicamente gerarchica. Verso la metà del 2000, la SFBC superò i 5.000 soci e nel 2010 raggiunse i 10.000. La leadership del direttore esecutivo fu ricompensata da appuntamenti con funzionari dell’SF Municipal Transportation Agency (Agenzia dei trasporti comunale di San Francisco) e del Golden Gate Bridge, Highway & Transportation District (Distretto del ponte, Golden Gate, autostrade e trasporti).
L’organizzazione ottenne aiuti finanziari e politici da fondazioni, imprese e agenzie governative e il suo budget superò la considerevole cifra di mezzo milioni di dollari l’anno. I politici ricercavano il loro consenso e appoggio durante le compagne elettorali e questo potere divenne un’importante freccia al loro arco, anche se va detto che i politici che ottenevano l’appoggio dalla Bicycle Coalition, non hanno mai poi realmente prodotto delle politiche di esauriente trasformazione alla viabilità cittadina, né un suo significativo frazionamento, per venire incontro alle esigenze dei ciclisti.
L’evoluzione dell’organizzazione nel corso degli oltre venticinque anni di vita, rivela uno squarcio nel processo di cooptazione di quello che era un movimento radicale di ciclisti, trasformatasi poi in un’organizzazione relativamente conservativa e cauta, gestita con modalità segnatamente gerarchiche affinché nulla di imprevedibile possa minare gli sforzi di normalizzazione e le tendenze mainstream. Ovviamente, questo è vero anche perché non vi sono a San Francisco altre organizzazioni di ciclisti. Per un breve peridio, tra il 1997 e i primi del 1998, un piccolo gruppo chiamato “Grip” organizzò alcuni interventi e cercò di metter su un gruppo di azione di ciclisti, impegnati nelle lotte politiche locali. Ma l’iniziativa si esaurì in meno di un anno. I ciclisti della Critical Mass hanno respinto qualsivoglia forma di organizzazione come Critical Mass perché sostanzialmente la Critical Mass è un evento, non un’organizzazione. I partecipanti hanno mostrato scarso interesse in forme di organizzazione più ufficiali aldilà di quelli che sono diventati membri della San Francisco o East Bay Bicycle Coalitions. Oggigiorno vi sono meno ciclisti abituali rispetto ai neofiti e ai curiosi, motivo in più per cui è difficile che possa emergere un’organizzazione da questo tipo di eventi.
La caratteristica allargata, partecipata e utopistica che ha segnato i primi anni della Critical Mass, ha dato modo nel tempo di sedimentarsi e riprodursi all’interno della stessa Critical Mass. Lo spazio politico fuori della Critical Mass è stato riempito dalla SFBC che ha sussunto “l’attivismo” trasformandolo in lavoro volontario per un’impresa di lobbying gerarchicamente strutturata che premeva per un’agenda “pro-bici”. Jason Henderson, nel suo eccettente libro Streetfight: The Politics of Mobility in San Francisco, afferma:
“L’agenda originaria della SFBC, strettamente allineata alla Critical Mass degli anni ’90, si basava su una forte critica alle automobili, ma la nuova SFBC si è preoccupata di sottolineare che la maggior parte dei propri soci posseggono un’auto e tuttavia scelgono di andare in bicicletta. La SFBC degli anni ’90 era caratterizzata da una leadership che muoveva critiche progressiste in merito alla geografia del capitalismo e uno stile di vita centrato su uno sfrenato iper-consumismo, ritmi di vita frenetici, competizione al posto della cooperazione e individualismo bramoso piuttosto che azione collettiva: in altre parole, una critica al neoliberismo e al conservatorismo.
Nel 2012, la nuova Sfbc è stata sponsorizzata da fondazioni di grandi imprese le cui ricchezze erano generate da investimenti capitalistici, e tra queste vi erano le più note imprese e imprenditori di San Francisco e della Silicon Valley. Tra queste, Google, Microsoft, Pacific Gas & Electric, una serie di imprese di trasporti private, consulenti di pianificazione urbana e architettonica, imprese di real estate, avvocati e singoli donatori legati alle imprese di software e social network. L’organizzazione ha mantenuto anche un’ampia base di volontari, che fornivano un totale di 16.000 ore di lavoro gratuito, e il 26 per cento di queste entrate venivano dalle quote dei singoli soci…. Inoltre, nonostante i grossi finanziamenti da grandi imprese e fondazioni, la Sfbc contava sostanzialmente sul sostegno in natura delle centinaia di piccole imprese come ristoranti, rivenditori di bici, bar, locali e altri piccoli rivenditori” (p. 133-134)
Con questo aumento di entrate e del proprio profilo, la Sfbc guadagnava dal fatto di essere un gruppo di lavoro docile per gli interessi locali, sperando nel sostegno economico dei propri benefattori. In merito a quella che doveva essere la loro vera e propria agenda, ha acconsentito a trasformare le piste ciclabili attraverso la città (perdendo così l’argomento su cui si fondava la richiesta per un’arteria nord-sud lungo la Polk Street, da spendersi con gli scontrosi residenti e i gestori di caffè amanti dell’auto). La difficoltà ad attraversare la baia in bicicletta, è stata esacerbata dalla SFBC e dalla East Bay Bike Coalitions, quando queste hanno gettato la spugna di fronte agli esperti di viabilità della Caltrans. La proposta della Caltrans è un progetto decennale del costo di 1miliardo di dollari che include una pista dal duplice uso di ciclabilità e manutenzione nell’area ovest del Bay Bridge per connettere San Francisco a metà della Baia e all’altra metà della pista ciclabile recentemente costruita a Bay Bridge. In questo compromesso, si è completamente ignorata la più facile ed economica alternativa di avere un’arteria ovest ripristinata alle sue originali sei corsie con una riservata ai ciclisti, per un budget inferiore allo 0.5 per cento del costo dell’altro progetto. La Sfbc e la Ebbc, hanno entrambi ignorato che la cruciale Rivolta della superstrada di San Francisco dei primi anni ’60 bloccò la costruzione della superstrada attraverso la City, esattamente quando il Dept. of Highways (rinominato poi Caltrans, anni dopo) voleva riconfigurare il Bay Bridge per connetterlo ad un sistema di superstrada ad alta velocità che non fu poi mai costruito.
Per cui, ai miei amici in America Latina e agli amanti della bici in America ed Europa che ancora vivono la prima età dell’oro della cultura della bicicletta nei loro rispettivi paesi, posso dire: fate attenzione a una futura integrazione e sussunzione da parte dei ricchi, dei costruttori e dai loro amici politici. Oggigiorno, andare in bicicletta è un tipo di movimento sociale, ma domani sarà solo un modo per spostarsi… a meno che non uniamo la bici ad un’agenda più estesa che cambi la logica della crescita infinita, di un mondo basato sulla mercificazione dell’uomo e della sua creatività, e della riduzione della natura a “risorsa”. Un’agenda più profonda si nasconde dietro le nostre turbinanti ruote, ma può sfuggirci abbastanza facilmente se lasciamo spazio al più ristretto buon senso di coloro che non riescono a vedere negli alberi una foresta, che non riescono a vedere che andare in bici non è altro che un passaggio verso una più ampia trasformazione di come possiamo vivere insieme.
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Mario dice
A saperlo prima di questo evento avremmo potuto proporre le nostre spille personalizzate ( http://www.spille.com ). Magari le spillette col loro messaggio sarebbero tornate utili a dare maggior visibilità all’intero evento!