di Saverio Tommasi
Questa notte un uomo più piccolo di me, che abitava a cinquecento metri da casa mia ma arrivato dall’altra parte del mondo, è morto nel rogo dell’ex Aiazzone, il capannone di un gruppo imprenditoriale italiano ricco fallito male, ma che probabilmente ricco è rimasto.
L’uomo si chiamava Alì Muse, e con altri somali dormiva in camere con le pareti di cartone. Alì Muse si era salvato dalle fiamme, ma era tornato indietro a prendere i documenti per il ricongiungimento familiare, perché a quei documenti sono stati impiccati, questi uomini. Documenti che arrivano a caso, in ritardo, come fosse un piacere che si fa ad alcuni, distrattamente, e non un diritto.
Io li so tutti i nomi dei colpevoli, coloro che hanno creato il clima, chi li ha illusi, trasferiti, deportati con promesse, tolto loro la corrente elettrica, umiliati e presi in giro. Per anni. Io li so tutti i nomi dei colpevoli, chi stava seduto comodo e sulla loro pelle faceva le campagne elettorali, e sono i nomi delle amministrazioni comunali a Firenze. E sono i nomi di tutte le destre che le hanno puntellate, spinte e sostenute.
Vaffanculo, senza neanche passare dal via. Alì Muse l’avete ucciso voi. Alì Muse è stato ucciso da chi antepone la legalità alla giustizia, e ieri, ad Amsterdam, avrebbe denunciato Anna Frank, quella bambina dalla penna birichina che viveva in clandestinità.
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redazione di Comune dice
Acea, ad esempio
Scrivono quelli di Medu (Medici per i Diritti Umani): “Già a gennaio 2016, in seguito al taglio della corrente da parte dell’azienda Acea e al successivo tentativo di sgombero dell’edificio, Medu aveva denunciato pubblicamente le gravi problematiche strutturali ed igienico-sanitarie dello stabile, evidenziando le pessime condizioni di vita degli abitanti e richiedendo al Comune di Sesto Fiorentino l’immediata convocazione di un tavolo con le associazioni e i movimenti che operano a supporto degli abitanti dell’ Ex Aiazzone, per individuare delle soluzioni abitative adeguate.
All’interno dello stabile erano presenti circa 70 persone…
Che si possa morire in una condizione di così grave precarietà e degrado, non stupisce. A.M. non è stato vittima solo delle fiamme, ma alla sua morte hanno contribuito un percorso di accoglienza ed integrazione incapace di generare inclusione sociale, la mancanza di reti sociali e familiari, l’impossibilità di accedere a diritti fondamentali, come quello all’abitazione, la passività delle istituzioni… Un’ennesima, odiosa, morte annunciata e prevedibile …”