Trovare belle mappe in bianco e nero, ingrandirle con qualche software free, incollare, colorare. E poi utilizzare mappe e planisferi, ad esempio, per divertirsi con le ricchezze linguistiche dei territori, per giocare con Alpi e Appennini in 3D da ricostruire con vinavil e tanta pazienza oppure per incollare targhette di magliette, giocattoli e frutta e scoprire distruzioni dell’ambiente e diseguaglianze economiche. Ci sono molte mani e tanto pensiero oltre le mappe fornite già pronte dagli editori e i soldi per la scuola destinati solo all’ossessione per le tecnologie. Un racconto e una mostra

Gigamappe è il titolo del lavoro che la nostra classe ha presentato all’edizione di quest’anno di DiDì, la mostra curata dall’Mce di Bologna di lavori didattici che sarà aperta al Centro civico di via Marco Polo 51, da venerdì 4 a domenica 6 ottobre. Inaugurazione venerdì 4 alle ore 17. Un appuntamento di confronto e scambio di idee per una didattica alternativa.
Gigamappe
Ogni strumento didattico da parete, cartellone, mappa concettuale o schematizzazione fornito già pronto dagli editori contraddice se stesso, poiché la sua potenziale utilità diviene effettiva solo quando viene costruito dagli stessi bambini e bambine, prodotto, pensato come concetto e realizzato come azione del corpo e della mente: fornito già pronto non serve a nessuno.
D’altronde questo non giustifica la cronica carenza dalla nostra scuola delle carte geografiche. Non ho mai capito perché arrivano finanziamenti per acquistare tecnologie costosissime e sofisticate e mancano regolarmente gli spiccioli per le carte; temo che all’interesse lucrativo dei produttori e dei decisori degli acquisti si aggiunga in sinergia una vera passione compulsiva dell’insegnante sedicente tecnologico, frustrato dai bassi stipendi e dalle difficili condizioni di lavoro che proietta nell’high tech la speranza di una panacea pedagogica. Bisognerebbe approfondire.
D’altronde a volte questo combinato disposto di inutilità dei cartelloni delle case editrici e di irreperibilità delle carte geografiche di qualità può rivelarsi generatore di idee: aguzza l’ingegno e invita ad imboccare strade improbabili ricche di possibilità inaspettate.
Giga-geografia
Così ci è capitato di fare con le gigamappe. Un rivolo di tecnologia di quelli sovente trascurati perché gratuiti è inaspettatamente venuto in soccorso della nostra fame di sussidi didattici da parete. Le carte geografiche alternative/tematiche di cui chiedevamo per anni vanamente l’acquisto o che con grande difficoltà provavamo a disegnare attraverso il sistema delle coordinate cartesiane, ora possiamo produrle con semplici software free che permettono di ingrandire immagini e di stamparle su 40, 50 o 80 fogli, fino a costruire dei manifesti enormi riproducenti qualsiasi cosa. Sia chiaro: devi trovare belle mappe in bianco e nero a grossa risoluzione, e poi devi organizzare la classe per l’incollaggio secondo le coordinate cartesiane su collage di fogli di carta da pacchi giustapposti: solitamente quando lo fai in una seconda e lasci una parziale autonomia ai bambini è difficile che alla resa dei conti non vengano fuori tre o quattro caselle incollate capovolte, due o tre caselle fuori posto, il poster finale leggermente stortino… Ma la resa è già buona e gli errori rimediabili. Già in quarta questi errori umani (errori-bambini) si riducono e la prima fase di incollaggio può passare in autogestione ad un gruppo. Ma il divertimento cresce in seguito, nella fase successiva, quando la gigamappa (noi siamo arrivati a 3 metri per 2) deve essere colorata in attività che possono impiegare anche 6-8 bambini in contemporanea, sdraiati a terra nei corridoi.
Ma cosa ci si può fare con una gigamappa? L’orizzonte dell’uso didattico, evidentemente, ad oggi, non è stato ancora studiato a fondo dai luminari delle competenze né dai filosofi della pedagogia, nemmeno – pare – dagli scienziati dell’invalsi. Le gigamappe sono ancora pratica artigianale delle scuole con poche carte geografiche, una specie di start-up-no-copywrite. Dobbiamo quindi accontentarci di qualche riflessione estemporanea. è in questa prospettiva che di seguito racconto la nostra esperienza.

Giga-Italia
Quest’anno la nostra quarta primaria ha lavorato sul planisfero e sull’Italia. Per l’Italia abbiamo costruito prima di tutto la grande mappa politica con la divisione regionale, e nel retro la mappa vuota. Questa idea di fare due mappe sullo stesso cartellone è stata un madornale errore; forse l’idea ci è venuta sul calco delle carte in commercio, ma con le gigamappe poi si rivela faticosissimo staccarle dalla parete, girarle e riappenderle, soprattutto in aule con spazi ristretti: quindi nonostante il sacrosanto principio “less paper more trees” secondo noi non conviene usare il lato B.
La colorazione della mappa politica è stata rapida: i confini regionali erano segnati, tempera attualmente ne abbiamo in quantità, quindi ci è bastato decidere come colorare il mare e le nazioni confinanti e il gioco era fatto. Più arduo il percorso di colorazione del versante fisico, perché abbiamo deciso di colorarlo man mano che lo venivamo studiando; tutto bene fino alle montagne, quando abbiamo avuto la cattiva idea di riprodurre Appennini e Alpi in 3D con carta pesta che però da bagnata risultava pesantissima; quindi per tutto il tempo dell’asciugatura (una settimana) non sapevamo dove appoggiare questa Italia colossale che in verticale sulla parete non avrebbe retto il peso. Solo il gran cuore delle nostre collaboratrici scolastiche ci ha permesso di sopravvivere a quella settimana di spostamenti continui cercando zone di asciugatura nei ritagli di spazio non utilizzati della nostra scuoletta. Consiglio: per i 3D non usare cartapesta ma semplice carta accartocciata e vinavil, struttura più leggera, asciutta in un giorno.
Tornando al versante dell’Italia amministrativa, poiché il numero dei bambini della classe coincideva più o meno con il numero delle regioni abbiamo deciso di assegnarne una ad ognuno, sia per distribuire il lavoro di colorazione, sia per rafforzare il gioco di identificazione, con una immagine del volto fotocopiata e incollata più o meno entro i confini amministrativi. Ovviamente l’attribuzione della regione ha seguito il criterio della scelta libera, e quando più scelte coincidevano si è lavorato di negoziazione. Ormai infatti in classe quarta la suddivisione negoziata funziona, è improbabile che rimangano bronci finali e raramente c’è bisogno di ricorrere al sorteggio: per i bambini ogni regione ha il suo fascino (anche San Marino), anche prima di conoscerla.
Poi la grande mappa è rimasta appesa al muro per alcuni mesi, quasi inutile, come se fosse solo il ricordo di un lavoro che sembrava in gran parte concluso. Ci è invece tornata inaspettatamente utilissima quando abbiamo iniziato ad indagare in scienze sulle piante spontanee per costruire un erbario, perché quasi casualmente ci siamo accorti che nelle varie regioni le piante avevano decine di nomi locali diversi, e spesso molto divertenti. Il tarassaco in Lombardia lo chiamano anche Buff e Caterinett, in Liguria sono Lampionetti, in Emilia Pissacan, in Sardegna Zangune riestu, in Puglia Macogliola… Così abbiamo stampato i nomi locali di alcune piante spontanee (le più famose: il tarassaco su carta gialla, la gramigna su verde e il papavero su rosso); poi un giorno li abbiamo distribuiti in maniera casuale ai bambini che li hanno ritagliati e se li sono redistribuiti sulla base dell’abbinamento regione-bambino e successivamente li hanno incollati sulla nostra grande mappa murale distesa a terra. Alla fine lo strato iniziale di quella carta d’Italia era diventato quasi irriconoscibile, pressoché completamente coperto dalle piccole scritte colorate. Poco male: nomenclatura, forma e dislocazione delle regioni ormai erano apprese; sopra le regioni ancora si intravedevano i volti dei bambini e intorno ad esse erano spuntate queste striscioline lessicali vegetali che ci hanno insegnato la ricchezza linguistica della nazione in cui viviamo.
Giga-plan
Con il planisfero abbiamo seguito strade diverse. In terza avevamo prodotto quello fisico, che ancora usiamo appendere quando ci è utile una visione d’insieme. Quest’anno è stata la volta del gigaplanisfero politico. Come sempre abbiamo proceduto con il lavoro individuale sull’immagine piccolo formato, poi la stampa moltiplicata (70 A4), incollaggio, colorazione seguendo (più o meno) i confini nazionali. Quindi abbiamo deciso di usarlo per un classico lavoro sulla globalizzazione: comprendere come la divisione internazionale della produzione di merci (e della ricchezza) ci rende interdipendenti con tutto il mondo. Così per un paio di settimane tutti i bambini e le bambine sono andati a caccia di targhette “made in”, hanno imparato a leggerle, le hanno ritagliate dalle canotte e dalle mutande, dalla frutta e dalle confezioni dei giocattoli, ricopiate dai telefonini e dai televisori, e appena il planisfero politico è stato pronto (assemblato e colorato) abbiamo iniziato il lavoro di incollaggio. A turno, sempre con il gigaplan a terra, ognuno sceglieva una targhetta, atlante alla mano individuava la nazione e incollava (memo: qui il vinavil è fondamentale, con tante targhette in plastica e stoffa). Dopo pochi turni siamo stati costretti a spostare sui mari le targhette di alcune nazioni iperproduttrici e iperpresenti nella nostra identità di italiani: la Cina, il Bangladesh, il Vietnam, la Cambogia, il Pakistan, l’India, la Malaysia… oltre all’Italia. Indossiamo Cina, calziamo Bangladesh, mangiamo banane ecuadoregne e brasiliane, cacao ivoriano e ghanese, sorseggiando miscele arabiche di caffé indiano e guatemalteco… Dietro ogni etichetta tanti lavoratori e lavoratrici, tante storie, tante regioni del pianeta che solamente da un paio di generazioni sono uscite dal giogo formale del colonialismo occidentale, divenendo la fabbrica diffusa del mondo contemporaneo. Altro che italiani: siamo terrestri, lo siamo sempre di più. è utile impararlo fin dalla scuola primaria, scavalcando gli ostacoli di un curricolo ridicolmente provinciale: siamo creature di un pianeta che si salverà solo se queste nuove generazioni sapranno crescere consapevoli delle due contraddizioni capitali: la distruzione dell’ambiente e la diseguaglianza economica. A questo serve il gigaplanisfero.
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*Gianluca Gabrielli è storico e insegnante di scuola primaria. Il suo ultimo libro è Educati alla guerra. Nazionalizzazione e militarizzazione dell’infanzia nella prima metà del Novecento (Ombre corte, 2016), dal quale è tratta l’omonima mostra. Altri suoi articoli sono leggibili qui. Ha aderito alla campagna di sostegno di Comune “Ricominciamo da tre.”
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