Da una parte ci sono la crisi per il numero in caduta dei praticanti e per la riduzione delle vocazioni, ma anche il macigno, non solo numerico, degli abusi sessuali e del silenzio che li ha accompagnati. Lo scenario di fondo del sinodo ancora in corsa nella Chiesa cattolica è quanto mai agitato e complesso: di certo alcune posizioni di una parte della chiesa, fatte emergere da papa Francesco – in materia ad esempio di migrazioni, guerra e ecologia – non erano previste, ma pesano anche quelle riguardanti la libertà delle donne.
In questo contesto la lettura di L’implosione di una religione (sottotitolo Verso la crisi dei dogmi, dei sacramenti e del sacerdozio nella Chiesa cattolica), edito da Gabrielli e scritto da Bruno Mori, offre un punto di vista particolare e di grande interesse. Il prete italiano, vissuto per molti anni anche in Canada, fa parte di quel pezzo di chiesa che da tempo è impegnato, nei piani bassi della società e della chiesa, a liberare il cristianesimo dai condizionamenti dell’istituzione ecclesiastica. Il libro, che non ha pretese accademiche, è stato scritto in realtà vent’anni fa ed è il risultato di un tentativo di verbalizzare un disagio e un desiderio profondo, poter essere cristiano in modo diverso.
Mori mette al centro il fatto che la storia del cristianesimo troppo spesso in Occidente è stata orientata dalla ricerca del potere. Il cuore della “buona notizia” evangelica, la possibilità di creare relazioni di fratellanza, è stata occultata, anche all’interno della chiesa, tanto che la violenza è diventata parte integrante della sua storia. “È attraverso la violenza che l’Istituzione ecclesiastica è riuscita a mantenere nei secoli la ‘sana ortodossia’ della sue dottrine, soffocando alla radice qualsiasi movimento di critica…”.
Il testo parte dai modi e dalle ragioni con cui il primitivo messaggio di Gesù di Nazaret è stato distorto, racconta delle trasformazioni emerse quando il cristianesimo è diventato religione dell’Impero romano per arrivare a come in tempi più recenti e ancora oggi la ricerca del potere ha continuato a provocare danni e a fare della chiesa una struttura gerarchica.
Nell’ultimo capitolo, Mori immagina ciò cui la comunità dei credenti potrebbe sembrare domani. Una comunità in cui “il valore dell’uomo di Nazaret è dato non da ciò che resta del suo corpo, ma da ciò che resta per noi del suo spirito”, in cui il Dio del nazareno “è un Dio che si trova a suo agio solo con i piccoli, i deboli, gli ignoranti, gli oppressi…”. Il suo “regno”? Un “luogo” bizzarro e sostanzialmente zapatista nel quale i valori sono capovolti, “dove chi comanda deve comportarsi come chi serve…”.
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