In questa intervista a Paolo Moscogiuri, autore del libro La città fragile, si parla del bisogno di ridurre la velocità delle auto in città, di codice tattile, di strade a chicana, di città a 30 km/h, di percorsi vocali e tattili, di strade scolastiche. Ma si ragiona anche di altro: ad esempio di giornalismo, di quanto sia importante studiare la storia delle città o del perché utilizzare la parola “disabile” senza specificare che stiamo parlando di persone non è molto giusto. E si parla di amicizia. Non è solo una splendida lezione su un tema, le barriere architettoniche, che riguarda la vita di ogni giorno e sul quale abbiamo tutti molto da imparare, ma si tratta prima di tutto di un’iniezione di speranza, perché a curare l’intervista sono ragazzi e ragazze di tredici anni, coinvolti in un progetto di scuola aperta e partecipata
Questa intervista è stata pubblicata anche su Scappare.it

Un certo modo di pensare la città e l’importanza assegnata alle automobili hanno ridotto ai minimi termini la conoscenza delle persone dei luoghi che vivono, la possibilità di spostarsi in modo piacevole e la capacità di trasformarli. Partendo da questo punto di vista, il tema della città è stato affrontato durante un corso di giornalismo promosso dalla redazione di Comune – per il progetto Scappare (Scuole Aperte) – con tre classi di seconda media dell’Istituto comprensivo Fratelli Bandiera di Roma.
Nelle tre classi, i ragazzi e le ragazze hanno ragionato prima di tutto su quali sono gli ostacoli per la mobilità in città (a piedi, in bici, con l’auto, con i mezzi pubblici) e lo hanno fatto divisi in piccoli gruppi, ognuno dedicato a una “gruppo” diverso: bambini/e, adolescenti, adulti, anziani/e, persone non vedenti, genitori con passeggino, persone con sedie a rotelle. In questo modo si sono confrontati sui contenuti di un paragrafo del libro La città fragile, scritto da Paolo Moscogiuri, architetto:
Il confronto si è arricchito di due approfondimenti. Il primo, a proposito di libertà di movimento, è questo video che spiega cos’è il “codice tattile“:
Il secondo, invece, è un articolo di Anna Becchi in cui si racconta come alcune città hanno cominciato a ripensarsi, ad esempio attraverso la moltiplicazione delle “strade scolastiche“:
Da quanto emerso tra i ragazzi della II-A, II-B e II-C ha preso forma un’intervista collettiva a Paolo Moscogiuri, nella quale si discute molto di barriere architettoniche, ma anche di barriere culturali e relazionali.
Com’è nato il suo interesse per il tema della “città fragile”? Ha vissuto in prima persona alcuni dei problemi affrontati del libro La città fragile. Come restituire dignità alla città e ai suoi cittadini?
Prima di rispondere voglio fare una breve riflessione sulle città in generale e su due diversi modi di pensarle, progettarle, gestirle e viverle. Nel primo modo possiamo immaginare le città come divise in tante parti o componenti separate: le strade per le auto, i marciapiedi, i monumenti, i giardini, i parcheggi, ecc.. Nel secondo invece come un “insieme” o meglio un “sistema” di fattori umani, ambientali e tecnici, non separati, ma dialoganti, cioè che si confrontano in qualche modo fra loro. Sì, vi sembrerà strano e magari confuso quanto ho descritto, ma per fare un esempio, nel primo modo, quello della “separazione”, un giardino sarà un contenitore di giochi, difficile da raggiungere, una riserva per l’infanzia, gli adolescenti e gli anziani. Nel secondo, quello del “sistema”, sarà invece uno spazio verde da scoprire e vivere che si alterna e si fonde, cioè “dialoga”, con le piazze e le strade. Io pertanto vi risponderò e vi darò alcune soluzioni secondo la modalità che considera la città un “sistema” di rispetto e di dialogo fra l’uomo, la natura e il costruito. Veniamo alla risposta della prima domanda.
Il mio interesse per l’argomento ha varie ragioni, la prima è perché sono un architetto e come tale mi occupo di città, di territorio, ma anche della casa, fino a entrare nelle vostre stanze e occuparmi di farvi stare comodi, caldi in inverno e freschi in estate. Quindi io credo che l’architetto si debba occupare principalmente del benessere della persona che vive in una casa, la quale si trova fra una una strada e uno spazio verde, che a sua volta fa parte di una città. L’altro motivo che mi ha fatto poi vedere anche i difetti della città è stato quando è nato mio figlio e per la prima volta mi sono trovato a spingere una carrozzina sulla carreggiata, perché i marciapiedi erano occupati dalle auto, poi a ripulire il giardinetto dove giocava perché sporco, e quando più grande ad accompagnarlo a scuola perché l’andarci da solo era pericoloso: le auto non si fermavano agli attraversamenti e tutte le cose non erano anche alla sua dimensione… Mi sono reso conto allora che la città era fatta solo per gli adulti, giovani e in buona salute. Tutti gli altri si devono adattare o rinunciare a uscire da soli. Quindi anche un bambino o un ragazzo è una persona “fragile”, se non protetto dai pericoli delle nostre città. Infatti le leggi che impongono ai sindaci di abbattere le barriere, non parlano solo delle persone con disabilità, ma di “chiunque”, perché almeno due volte nella vita siamo tutti più fragili: quando siamo bambini e quando anziani.
Quindi sì, ho vissuto anch’io alcuni dei problemi descritti nel libro “La città fragile”, ma ne vivo altri tutti i giorni, come tutti voi, quando aspettiamo il bus a una fermata occupata dalle auto, quando attraversiamo sulle strisce pedonali e le auto non si fermano, ma anche quando cerchiamo una strada e non troviamo le indicazioni chiare, e molto altro che andrò a descrivere di seguito.
Tutti questi impedimenti, chiamati tecnicamente “barriere architettoniche” impediscono a “chiunque”, ma ad alcuni ancora di più, di muoversi in sicurezza e in autonomia. E per restituire la dignità persa sia alla Città che ai cittadini bisogna innanzi tutto eliminare questi impedimenti, però, come ho scritto nella mia riflessione iniziale, secondo un principio che consideri il costruito, la natura e la persona, facenti parte dello stesso “insieme”. Realizzare questo non sarebbe difficile tecnicamente, ma politicamente sì, perché la città può essere anche una grande fonte di guadagni per alcuni, e questi lottano affinché tutto rimanga uguale. E qui l’architetto può fare poco da solo, ma ha bisogno dell’appoggio della maggioranza dei cittadini.
Che cos’è esattamente la “città fragile”? Si può immaginare anche una “città forte”?
Perché e cosa è una “città fragile” l’ho scritto in risposta alla prima domanda, ma forse può essere interessante conoscere perché ho intitolato così il mio libro. Dovete sapere che ho un amico che purtroppo per spostarsi deve utilizzare una sedia con le ruote, e come avrete compreso, i tanti impedimenti che trova sul percorso non gli permettono di essere autonomo, e spesso ha bisogno di aiuto. Così mentre un giorno spingevo la sua carrozzella, e la inclinavo leggermente per fargli superare un gradino, il mio amico disse: “Vedi Paolo, le persone mi definiscono handicappato o disabile, ma se nella città non ci fossero gradini da superare e auto o motorini, e oggi anche i monopattini, parcheggiati male, io non avrei bisogno di aiuto, ma potrei spostarmi come tutti. Quindi non sono io ad essere handicappato e quindi fragile, ma la città, perché handicappato vuol dire mancante di qualcosa, ma io anche se non ho la possibilità di muovere le gambe, ho però la carrozzella; quindi non mi manca nulla. È allora la città mancante di percorsi accessibili a tutti a essere fragile, non io”. Questa frase mi piacque molto anche perché fa capire bene il problema. Ne approfitto anche per farvi notare che chiamare una persona che ha qualche disabilità “handicappato”, non è solo di cattivo gusto, ma anche errato. Anche la parola “disabile” senza specificare che stiamo comunque parlando di una persona, non è molto giusto. Quindi scrivete o dite sempre “persona con disabilità”, specificando poi se questa è “motoria”, cioè delle gambe o delle braccia; “sensoriale”, cioè della vista, dell’udito o della parola, e “intellettiva” per quelle persone alle quali occorre più tempo per comprendere certe cose e che non sanno esprimersi molto chiaramente. Ma non è detto che non comprendano o che non possono fare le stesse cose di tutti gli altri. Gli occorre solo più tempo.
La “città forte”, è quindi questa. Quella dove tutti i cittadini si rispettano, e nessuno si sente superiore all’altro, tanto da emarginarlo con parole offensive o con un comportamento arrogante.
Quali sono gli ostacoli che influiscono maggiormente sulle mobilità delle persone in città?
Per quanto riguarda le persone con disabilità motoria: i gradini, la sconnessione della pavimentazione, gli ostacoli come i tavoli e le sedie di un bar che occupano tutto il marciapiede, le auto, ma anche una bici o un monopattino se ingombrano il passaggio. Poi abbiamo le strisce pedonali occupate dalle auto in sosta e purtroppo anche quelle che occupano i parcheggi dedicati alle persone con disabilità. Tutti questi ostacoli sono barriere anche per il genitore che spinge il passeggino, o per l’anziano che fa fatica a camminare.
Per quanto riguarda le persone con disabilità visiva (che attenzione non sono solo i non vedenti, ma anche quelle che vedono non troppo bene, come i nonni con la “cataratta”, che è un difetto della vecchiaia, oggi facilmente curabile), i problemi sono simili a quelli motori, con la differenza però, che un non vedente preferisce il gradino allo scivolo. Infatti il gradino è facilmente percepibile con il bastone, mentre lo scivolo no. Tant’è vero che avrete sicuramente notato che sulle scale della metropolitana, trovate il tappetino tattile. Questo vuol dire che il non vedente non ha problemi a salire e scendere le scale; basta però avvisarlo. Un altro punto di pericolo è l’attraversamento con semaforo, se questo non è anche sonoro, e fonti di disagio per quelli che vedono poco (ipovedenti) sono le indicazioni e i moduli da riempire, ma anche i siti internet, quando sono scritti con caratteri troppo piccoli e poco adatti. Esistono infatti dei caratteri fatti apposta per loro, che non confondono lettere simili. Fra questi che potete trovare anche nel vostro telefonino, c’è il “Verdana” e “Arial”, ma uno progettato appositamente, si chiama “Easy Reading” (facile lettura), e aiuta anche i ragazzi che fanno fatica a percepire bene lo scritto per un difetto chiamato “dislessia”.
Poi abbiamo le persone con disabilità uditiva, che subiscono dei disagi non sentendo gli avvisi alla stazione o all’aeroporto, e pericolo sulla strada non percependo il rumore di un auto che si avvicina.
Per tutti poi il pericolo maggiore in città è la velocità delle auto. Bambini e anziani non sanno calcolare bene il tempo di arrivo di un auto in base alla sua velocità, pertanto attraversano pensando di avere tempo, e invece così non è.
È possibile ridurre il dominio dell’auto?
Non solo è possibile, ma è l’unico modo per restituire la città a tutti. Per fare questo però è necessario rendere il servizio pubblico (metro, bus, tram) più efficiente. Per rendervi conto di questa necessità pensate solo che la maggioranza delle auto stanno circa 20 ore al giorno ferme al parcheggio, e solo 4 in circolazione. Questo vuol dire che occupano uno spazio che potrebbe essere utilizzato per parchi, scuole, piazze e luoghi di incontro, piene di alberi e verde. Si è calcolato che per parcheggiare un’auto, fra la sua superficie e gli spazi necessari alle manovre occorrono circa venticinque metri quadrati. Ora sapendo che in Italia ci sono circa quarantotto milioni di mezzi a motore, con una semplice moltiplicazione e poi trasformando i metri quadrati in chilometri quadrati, vi renderete conto quanta superficie è stata strappata alla natura. Certo spostarsi è bello e istruttivo, ma è pur vero che lo stesso si può fare in treno, o in bus, o viaggiando anche in auto, ma non da soli. Comunque dato che un certo numero di auto o altri mezzi ci saranno sempre, è necessario approntare alcuni strumenti per renderli meno invasivi. Alcuni urbanisti suggeriscono intanto di ridurre la velocità dei mezzi in città a 30 chilometri/orari, e poi di creare le cosiddette zone ambientali, dove le strade sono costruite appositamente con strettoie e curve per ridurre la velocità e ricavare spazi per panchine e arredo urbano: queste sono dette strade a “chicana”.
Quali possono essere alcune soluzioni che favoriscono l’autonomia delle persone?
Questa volta sarò breve, perché ne abbiamo già parlato rispondendo ad altre domande, ma ribadisco che per restituire l’autonomia alle persone più fragili, è necessario abbattere ogni tipo di barriera, che avrete compreso non sono solo i gradini o le scale, ma anche un cartello scritto con caratteri troppo piccoli, perché le disabilità sono tante, e addirittura la legge considera come barriera anche la mancanza di un avviso di pericolo.
Come si può invece migliorare la mobilità delle persone non vedenti?
Si può migliorare soprattutto con l’uso dei cosiddetti “codici tattili”. Questi sono dei tappetini o piastrelle inserite sulla pavimentazione dei marciapiedi, sugli attraversamenti e in tutti i luoghi dove sono necessari. Riportano in rilievo un codice fatto di righe più o meno vicine fra loro, di semisfere e altro che a seconda della loro disposizione e combinazione segnalano dei pericoli o la direzione da prendere per recarsi in alcuni luoghi. Il rilievo dei tappetini viene percepito principalmente con il bastone, ma anche con il piede. Sistemi di percorso più avanzati che si chiamano VET (Vocali E Tattili), hanno inserito nei tappetini un sistema elettronico che attraverso un bastone speciale, invia dei messaggi vocali, che il non vedente ascolta tramite una cuffia. Così se ci si avvicina alla fermata del bus, la voce dirà chiaramente di fermarsi lì perché è giunto a destinazione, oppure di fare attenzione al gradino, o che sulla sinistra o sulla destra c’è l’ingresso di un museo, di un teatro o altro.
Quali sono le città in cui sono state avviate le soluzioni più importanti?
Questo è difficile stabilirlo, perché almeno in Italia, ogni città ha fatto qualcosa, ma lavorando, come ho scritto nell’introduzione, per parti staccate e non per sistemi, questi lavori spesso sono inutili, perché a una persona con disabilità servono dei lunghi percorsi accessibili, che vanno dalla sua abitazione ai punti principali della città. Quindi avere sparsi qua e là degli scivoli o pezzi di codice tattile, serve a poco. Per superare questo spezzettamento i legislatori hanno introdotto dal lontano 1992, quando voi non eravate nemmeno nati, i cosiddetti PEBA per gli spazi pubblici, cioè i Piani per l’Eliminazione delle Barriere Architettoniche. Ma da allora in quasi nessuna città sono stati applicati. Non basta quindi voler fare, ma poi bisogna fare e bene. Fra le città europee da me visitate, quella che conosco meglio è Berlino, la capitale della Germania; qui ho visto che le persone con disabilità hanno una buona autonomia, non solo per le poche barriere ancora esistenti, ma per il rispetto che le persone hanno per loro. In alcune strade di Berlino le strisce pedonali non sono nemmeno presenti, ma se voi fate cenno di attraversare, tutti si fermano. E questo fatto risponde anche a chi mi aveva chiesto se “esiste una città forte”. Ebbene sì, Berlino per esempio lo è, perché lo sono i cittadini nei confronti delle persone più fragili.
Cosa possiamo fare noi, in quanti ragazzi, su questi temi?
Iniziando con il rispetto verso i vostri amici che hanno qualche disabilità, ma attenzione non in modo pietistico, perché loro vogliono essere e si sentono come voi, quindi trattateli come amici veri, e basta. Per prepararsi poi a diventare cittadini adulti e rispettosi non solo delle persone più fragili, ma anche della vostra città, iniziate con studiarne la sua storia, perché chi ha vissuto a Roma in epoche passate ha lasciato delle tracce e dei messaggi per voi. Basta andare a scovarli e interpretarli.
Buon lavoro a tutti, e grazie per avermi dato la possibilità con le vostre domande piene di curiosità, di lasciare in voi una traccia del mio impegno per rendere le città più accessibili a tutti.
[Intervista a cura dei ragazzi/e della II-A, II-B e II-C
della scuola secondaria di 1° grado dell’I.C. Fratelli Bandiera di Roma]
[Diversi articoli di Paolo Moscogiuri sono leggibili qui;
su web si trova anche il ciclo di videolezioni Città senza barriere]
ALLA RELAZIONE CON LA CITTÀ È DEDICATA QUESTA INCHIESTA: