di Caterina Amicucci
#chaohidroaysen e #patagoniasinrepersas sono stati gli hashtag che hanno segnato sin dalle prime ore della mattina, la giornata del 10 giugno in Cile. Il comitato del governo Bachelet formato dai ministri della Salute, dell’Energia, delle attività mineraria e dell’agricoltura presieduto dal ministro dell’Ambiente Paolo Badenier, hanno votato all’unanimità la revoca della licenza ambientale di Hidroaysen, il megaprogetto idroelettrico che prevedava la costruzione di cinque dighe sui fiumi Baker e Pascua nella Patagonia Cilena e una linea di trasmissione di 2.500 chilometri per portare l’elettricità alle miniere del nord del paese. Proprio quella valutazione di impatto ambientale la cui approvazione aveva scatenato, nel 2011, le dure proteste di piazza che a Santiago erano poi sfociate nel movimento studentesco.
La riunione del comitato, prevista già un anno e mezzo fa, era stata rimandata a data da destinarsi durante la campagna elettorale dell’anno scorso. Nonostante il governo Pinera volesse a tutti costi andare avanti non aveva avuto il coraggio dare una scossa al progetto consocendo l’ostilità della larga maggioranza dell’opinione pubblica cilena. La campagna vota sin represas aveva costretto Michelle Bachelet a prendere una posizione pubblica seppur timida e cauta.
Già nei giorni scorsi la probabilità che questo fosse l’esito della riunione del comitato chiamato a valutare i 35 ricorsi presentati dalle comunità locali e dagli oppositori del progetto era considerata molto alta. Ma nessuno osava crederci, soprattutto quelli della campagna Patagonia Sin Represas che da Santiago a Villa O’Higgins (alla fine della carretera austral) da anni si battono per fermare il progetto. Il comitato ha riscontrato l’assenza di un piano reinsediamento delle famiglie che vivono nell’area di quello che doveva essere il futuro bacino e di una quantificazione adeguata dell’impatto ambientale. “I progetti che non considerano tutti gli impatti che generano e che non presentano misure di mitigazione, riparazione e compensazione devono essere respinto” ha concluso il ministro Badenier.
Esattamente quello che per diversi anni la campagna italiana Patagonia senza Dighe ha cercato di far comprendere ad Enel, titolare del 51 per cento del progetto dal 2009, quando ha completato l’acquisizione di Endesa. Ma Enel in questi anni si è costantemente trincerata dietro ad un laconico “facciamo quello che ci chiede il governo cileno”. Ed è evidente che il governo Cileno non desidera più questo progetto e che la decisione del comitato dei ministri, dietro la patina di tecnicismo confezionata per i media, nasconda una mossa fortemente politica che potrebbe preludere alla revisione del “Codigo de Agua”, la legge varata da Pinochet che ha regalato i diritti di sfruttamento idroelettrico ad Endesa ed ha creato un vero e proprio mercato privato dell’acqua. Staremo quindi a vedere se la solerzia di Enel si applica esclusivamente ai governi iperliberisti nei prossimi trenta giorni, termine entro il quale la multinazionale italiana e il socio cileno Colbùn hanno diritto a impugnare la decisione del governo.
Intanto però a Santiago e in Patagonia è festa grande per quello che è il più importante successo dellla società civile degli ultimi anni. Un successo che travalica i confini nazionali, sia per la mobilitazione internazionale generata dalla campagna Patagonia Sin Repres sia perché come un attivista tempo fa a Coyaique ha detto “Se non riusciamo a salvare la Patagonia non abbiamo speranze di salvare il mondo”.
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Pier Luigi Caffese dice
Se l’Enel progetta male come in Cile va a casa.Poi L’Enel italiana brinda perchè non ama l’acqua ma il gas.