Immaginate di dover andare a fare una visita in ospedale, arrivate al cancello del pronto soccorso e come per miraggio, invece di incontrare un infermiere, trovate un militare di guardia con alle spalle un caccia bombardiere F35 parcheggiato. A lato una scritta gigante sul muro avverte: «Stiamo lavorando per voi. Ospedale chiuso per dare precedenza alla nostra sicurezza». Sembra un film dell’horror, magari la scena non sarà proprio questa ma ci sono buone probabilità che nelle prossime settimane troviate quella scritta, considerando che l’ormai mitica Spending review (la «razionalizzazione delle spese» imposta dal governo), si diverte a tagliare di tutto di quel che resta della spesa pubblica, a cominciare dagli ospedali, ma i 12 miliardi per acquistare gli F35 no, restano lì in bilancio. Per questo la campagna «Taglia le armi» ha deciso di presentare a Roma proprio in questo periodo le oltre settantacinque mila firme raccolte in questi mesi per fermare questa inutile spesa di guerra.
L’obiettivo è chiaro: chiedere ancora una volta al governo la cancellazione del programma di acquisto dei Joint Strike Fighter con una mobilitazione davanti palazzo Chigi per raccontare come 75.000 firme di cittadini, di 650 associazioni, il sostegno di oltre 50 enti locali (tra Regioni, Province e Comuni) dicono «No agli F35». Saranno questi i protagonisti della giornata di consegna delle firme della petizione contro i caccia che la campagna «Taglia le ali alle armi» (promossa da Rete Italiana per il Disarmo, Sbilanciamoci! e Tavola della Pace) ha deciso di organizzare giovedì 12 luglio, come momento conclusivo della seconda fase di azione prevista dalla campagna stessa. Negli ultimi mesi l’attenzione sul tema delle spese militari e del particolare spreco costituito dai caccia Joint Strike Fighter è cresciuta moltissimo anche grazie a tutte le informazioni diffuse dalle associazioni e dai gruppi che hanno sostenuto l’iniziativa «Taglia le ali alle armi».
Dai problemi tecnici ai costi sempre in aumento, dai dubbi di tutti gli altri paesi partner all’ostinata decisione di continuare l’acquisto da parte del nostro ministero della difesa, alle inesistenti «penali» sulla cancellazione dell’acquisto l’opinione pubblica ha avuto modo in questi ultimi mesi di capire meglio cosa sta dietro al progetto del caccia F-35. E comprendere come si tratti dell’ennesimo e gigantesco spreco di denaro pubblico a sostegno delle spese militari distolto invece da usi socialmente e ambientalmente più utili e necessari.
Il momento di presenza in piazza sarà preceduto da una conferenza stampa al senato (presso la sala stampa, ore 11,30) incentrata sui problemi e i costi del caccia F35 (con nuovi dati che smentiscono la posizione del ministero della difesa) e sulla mobilitazione in merito alla revisione dello strumento militare (il cosiddetto ddl Di Paola) in corso di discussione (si fa per dire) in parlamento: un provvedimento che non porterà a nessun vero risparmio ma sposterà l’impiego di risorse pubbliche verso nuovi acquisti di sistemi d’arma, come confermato dalle decisioni prese nell’ambito della Spending review. Mentre il governo ha infatti deciso di intervenire ancora una volta in maniera drastica sulla spesa sociale e sanitaria, le riduzioni per la difesa e per l’acquisto di armamenti si limitano a poche decine di milioni e definiscono una diminuzione degli effettivi delle Forze armate che si realizzerà solo dopo diversi anni. Nel contempo nelle ultime bozze del provvedimento – nonostante ipotesi iniziali – non pare vengano toccati gli investimenti per l’acquisto di armamenti: un’ipotesi di taglio di 100 milioni anno sui capitoli di spesa per le armi è stata infatti all’ultimo momento rigettata.
Insomma, forse siamo ancora in tempo per cambiare il finale di quel film dell’horror sulla sicurezza…
Non sono un tecnico ma vorrei porre l’accento su alcune questioni che potrebbero aiutare a comprendere meglio la situazione attuale.
Sviluppare un aereo nuovo comporta un impegno ventennale. Lo dimostra l’esperienza fallimentare del velivolo europeo Typoon. Questo velivolo ha richiesto troppo tempo per la progettazione, sviluppo e produzione. Oggi il Typoon è operativo in versione “base” da superiorità aerea con capacità operativa limitata. Il progetto è oramai vecchio rispetto alle attuali dottrine e rispetto agli altri velivoli in fase progettuale o già in linea (come l’F22 americano).
Quando l’Italia ha dovuto scegliere quale strada prendere per la sostituzione dei cacciabombardieri Tornado e AMX ha scelto di aderire al progetto F35 promosso dagli Stati Uniti. Si sperava infatti che il progetto avrebbe portato: a importanti economie di scala legate all’ingente numero di velivoli da realizzare, alla integrazione nel velivolo di tecnologie stealth evolute (non disponibili in Europa), ed alla certezza di vedere il progetto terminato nei tempi previsti. Questi vantaggi hanno comportato una riduzione delle aspettative in termini di crescita tecnologica delle nostre aziende che risultano coinvolte in modo limitato nella progettazione e realizzazione dei velivoli.
Alla luce della disavventura del Typoon l’Italia ha scelto di imbarcarsi in quest’impresa che effettivamente ha presentato gravi lacune. Ma come procedere in alternativa? Esistono delle alternative? L’unica alternativa praticabile sembrerebbe essere quella di sviluppare una versione del Typoon “cacciabombardiere”. Il problema è legato al fatto che il Typoon non è un cacciabombardiere stealth e quindi rischierebbe di essere una soluzione peggiore di un F35 ricevuto in ritardo e a un costo maggiore.
Credo sia questo il motivo per cui ancora rimaniamo nel progetto F35.
Sull’opportunità o meno di acquistare nuovi aerei per sostituire i Tornato e gli AMX è difficile entrare. Il problema è a monte e riguarda l’opportunità o meno di avere uno strumento militare credibile. Le vicende della storia (anche recente) non lasciano dubbi sulla necessità di avere uno strumento di difesa credibile ma trovo altrettanto valide le opinioni di chi sottolinea la grave crisi economica e sociale che attraversa il nostro paese e che giustifica pienamente la richiesta di riduzione della spesa pubblica.
Piero