Una delle alternative più importanti all’aziendalizzazione della scuola si chiama scuola aperta e partecipata. Se i cortili diventano piazze, rinasce prima di tutto un’idea di comunità che riprende in mano se stessa per trovare soluzioni alla vita di ogni giorno
Per rispondere al bisogno di comunità con cui costruire mondi nuovi spesso si pensa alla scuola dove è possibile cominciare a creare piccole comunità, le classi, e apprendere insieme. In realtà la scuola può anche imparare ad aprire i suoi cancelli per essere una comunità più ampia e inclusiva, in cui anche genitori, insegnanti e realtà territoriali, insieme a bambini e ragazzi, possono tessere relazioni sociali. Scrive Gustavo Esteva:
“Tutti sono impegnati, corrono da un posto all’altro. Nessuno sembra avere più la pazienza di condividere con la nuova generazione la saggezza accumulata in una cultura… Invece che di educazione, ciò di cui abbiamo veramente bisogno sono le condizioni per una vita degna; abbiamo bisogno di una comunità” (Senza insegnanti. Descolarizzare il mondo, Asterios).
Da alcuni anni, le scuole aperte e partecipate, insieme ai primi percorsi di educazione diffusa (leggi il Manifesto dell’educazione diffusa), hanno iniziato a muoversi in questo scenario dimostrando che è possibile percorre sentieri inediti senza delegare ad altri il cambiamento dei territori.
Molte di queste esperienze, da Milano (dove dal 2014 è nato perfino l’Ufficio Scuole Aperte del Comune, a cui si deve il primo vademecum su come costruire una scuola aperta) a Roma passando per diverse altre città di tutte le regioni, hanno cominciato con un nucleo di genitori che negli orari extrascolastici restava nella scuola per far giocare insieme i propri figli. La proiezione di qualche film, l’organizzazione di alcune attività sportive e di giochi in cortile, la condivisione dei compiti, sono stati gli inevitabili passi successivi. Nel caso della scuola Di Donato/Manin, nel quartiere romano multietnico dell’Esquilino, è nata un’associazione dei genitori che, in accordo con la scuola, ormai più di quindici anni fa ha preso in consegna il cortile e i seminterrati in disuso (dati in convenzione gratuita per gli orari extrascolastici, ai percorsi normativi che riguardano le scuole aperte e partecipate sono dedicati diversi articoli di labsus.org), trasformandoli nella piazza più bella e più vissuta del quartiere.
La scuola partecipata è una evoluzione, importante quanto necessaria, della scuola aperta nel momento in cui allarga le sue frontiere tradizionali di gestione, coinvolgendo nei processi decisionali non soltanto gli insegnanti, i lavoratori della scuola e gli studenti, ma anche i genitori, a volte anche i nonni, sicuramente il territorio.
Contro e oltre l’aziendalizzazione della scuola
Fare della scuola un luogo ricco di relazioni sociali e gestito in modo condiviso da tanti, pur tra responsabilità diverse, sembra anche una strada alternativa ai processi di aziendalizzazione della scuola e di messa in discussione della figura del preside-manager, due dei tanti volti del dominio del denaro. Spiega Gianluca Cantisani, tra i fondatori dell’Associazione genitori Di Donato: «Le scuole sono a un bivio: trasformarsi in aziende alla ricerca ossessiva di finanziamenti per migliorare l’offerta formativa, con il rischio di vendersi l’anima, oppure diventare scuole aperte e partecipate, cioè luoghi nei quali prende forma il capitale sociale costituito anche dai genitori e dal territorio. La seconda è la strada più difficile, ma molte scuole dimostrano che è possibile. Dieci anni fa la scuola aperta e partecipata era una buona pratica, oggi è una strada necessaria, anche perché le istituzioni, a cominciare dal ministero dell’istruzione, non sono in grado di cambiare l’ordine delle cose, meno ancora di governare processi di trasformazione culturale complessi. Invece, chi ha il potere di cambiare le cose, tra inevitabili limiti e contraddizioni, sono i genitori perché operativi, autonomi, legati alla vita quotidiana dei territori e spinti da forti motivazioni. Come in molti altri casi, il cambiamento in profondità può partire da loro, cioè dai cittadini, in qualche modo prima o poi saranno seguite dalle istituzioni…».
Con il progetto Scappare, acronimo di Scuole aperte e partecipate in rete, nel marzo 2019 è partito un percorso comune di tre istituti comprensivi romani (Daniele Manin, Parco della Vittoria e Fratelli Bandiera, dove per diversi anni ha insegnato un grande maestro come Alberto Manzi) che condividono l’esperienza dell’alleanza educativa con le rispettive associazioni dei genitori, ma anche con altre dieci associazioni romane, due municipi del Comune di Roma (il I° e il II°) e l’Università La Sapienza. La sfida è mettere su una rete territoriale per rafforzare i legami sociali che nascono intorno alle scuole e per rivitalizzare gli spazi scolastici come luoghi di incontro non solo in orario scolastico dove proporre doposcuola, attività legale all’insegnamento delle lingue, allo sport, alla musica, al teatro ma anche i preziosi, e sempre più rari in città, momenti non strutturati come il gioco libero in cortile o in giardino. Secondo Silvia Stefanovichj, attuale presidente dell’Associazione genitori Di Donato e coordinatrice del progetto Scappare, “la vera ricchezza è la rete, il valore relazionale di una crescita comunitaria, da noi alla Di Donato il cuore di tutto è il nostro cortile…” (La scuola che apre il cuore alla città). Un cortile che può diventare ogni giorno una piazza per tutti e tutte e contribuire alla trasformazione dal basso di un intero quartiere.
Le tre scuole coinvolte hanno storie ed esigenze differenti, ma si sono trovate a voler rilanciare insieme nella comunità educante l’anima partecipativa e inclusiva della scuola. Per l’Associazione genitori Di Donato, la sfida è permettere più ricambio e coinvolgimento dei genitori nella vita della scuola e innovare le attività extrascolastiche con un’impronta sempre più interculturale. Per le associazioni delle altre due scuole, di più recente costituzione, la prima esigenza è invece aprire gli spazi alle famiglie riempiendoli di significati e attività, con la progettazione partecipata da genitori e insegnanti e con le associazioni del territorio.
La cultura è relazione
Scappare (progetto selezionato dall’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile) mette insieme iniziative sulla prevenzione del disagio (attraverso un gruppo di lavoro che include Franco Lorenzoni, maestro e fondatore in Umbria di Casa-laboratorio di Cenci, punto di riferimento per scuole, insegnanti ed educatori), iniziative interculturali e relativo campo-scuola (con attività legate al corpo, al movimento, al canto…) e interventi di mediazione linguistico-culturale, attività sportive per ragazzi disabili e non, naturalmente corsi di teatro e musica, ma anche percorsi di educazione alla “cittadinanza digitale” (per favorire un uso critico degli strumenti informatici e prevenire disagi e fenomeni di cyberbullismo) e, in collaborazione con la redazione di Comune, la creazione di diverse redazioni e l’apertura di alcuni blog con ragazzi e ragazze di undici e dodici anni con cui raccontare il quartiere che cambia.
Si tratta, dunque, di aprire le scuole ai territori e di coltivare la partecipazione per costruire nuove relazioni sociali ma anche di ribaltare un’idea astratta della cultura. “La cultura è sempre relazione. Un libro, ad esempio, esiste ed è importante se c’è qualcuno che lo legge, che entra in una relazione – dice Franco Lorenzoni – Se lo leggiamo in tanti e se abbiamo la possibilità di scambiarci le idee sui contenuti abbiamo al tempo stesso la possibilità di conoscere quell’oggetto culturale, ovviamente il discorso vale anche per un film o un’opera d’arte, ma anche di avvicinarci agli altri che incontrano quell’oggetto culturale. La cultura può sempre diventare tramite per costruire relazioni: questo è quello che può fare la scuola. Per questo, personalmente, sono contrario a tutte le separazioni, ad esempio, da una parte le iniziative con cui stare bene a scuola, le cosiddette attività relazionali, e dall’altra la parte hard, cioè l’imparare l’italiano, la matematica, le lingue, la storia, la geografia… Non è così: si impara bene qualsiasi cosa quando c’è prima di tutto una comunità che ricerca, nella quale tutti impariamo dagli altri anche perché abbiamo tutti intelligenze diverse e idee differenti. Ed è importante arricchirsi del fatto che gli altri guardano la realtà con altri occhi”.
Il percorso Scappare include anche la creazione di luoghi di confronto sulle iniziative avviate (con laboratori per genitori e per docenti), ma anche una banca dati delle esperienze didattiche inclusive e appuntamenti per rafforzare la rete tra le venticinque scuole aperte e partecipate e i trentacinque comitati/associazioni di genitori di Roma (Le nostre scuole aperte al mondo). Si tratta, secondo i promotori della rete, di fare cose insieme senza ripetere schemi stanchi e inutili che finiscono per svuotare la partecipazione invece di favorirla, come dimostra la storia di numerose reti sociali. Fare rete, ad esempio, significa fare risonanza tra i molti modi con cui si ricostruisce un tessuto sociale aggredito da competizioni e razzismi di ogni tipo: nella periferia est di Roma, ad esempio, come ricorda Franco Lorenzoni, nella scuola che porta il nome e prova a mantenere vivo lo straordinario impegno sociale di Simonetta Salacone, un gruppo di genitori insieme ad alcuni insegnanti lo scorso maggio hanno dato vita a una concreta azione di solidarietà sociale presidiando a turno l’appartamento assegnato alla mamma rom di una bambina che frequenta la scuola e che, a causa dell’odiosa protesta di Casa Pound, rischiava di essere espulsa dalla casa popolare che le era stata assegnata.
Un’idea di comunità
Nel sito del progetto Scappare, tra l’altro, si legge: “La scuola, attraverso alleanze educative con le altre istituzioni, con le realtà sociali e culturali nell’ambito di strategie di intervento integrate e multidimensionali, si pone come quell’’embrionale comunità di vita‘ (Dewey) capace di garantire l’affermazione di un concetto pieno di cittadinanza e la valorizzazione delle differenze culturali”.
Intanto, analogamente ad alcune importanti discussioni globali in corso che riguardano i beni comuni e più in generale il concetto di “comune”, anche nel caso delle scuole aperte e partecipate la discriminante non è il titolo formale (essere o meno proprietari o gestori della scuola-bene comune) ma il sostanziale “uso sociale” della scuola partecipata. Aggiunge Cantisani: “Non si tratta solo di impegnarsi con le scuole nella gestione di alcuni spazi per avere aule dipinte o per fare un orto, ma di investire tempo, condividere idee e saperi per stare bene insieme con i figli e con la comunità territoriale. Questo secondo approccio mette in discussione molte più cose, si fa scuola, mettendo in comune capacità, beni e tempo, per sentirsi parte di un territorio. La scuola aperta e partecipata, con tutte le sue sfumature possibili, è prima di tutto un’idea di comunità che riprende in mano se stessa per trovare soluzioni alla vita di ogni giorno”.
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Pubblicato anche sul Rapporto Diritti globali 2019
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Paola dice
La comunità educante, la scuola quale punto di riferimento di un territorio è anche uno dei mezzi attraverso i quali si può cercare di sconfiggere la dispersione scolastica. La scuola inoltre nel definire la propria mission deve partire dai bisogni del territorio affinché possa costruire con l’apporto di tutti gli attori della scuola degli studenti dei genitori delle associazioni e degli enti locali una vera e propria comunità educante così come viene esplicitamente affermato sia negli ultimi dispositivi legislativi che nel nuovo contratto ccnl 16 18
Goffredo di Palma dice
Condivido al 99,9%, perchè il bivio citato in merito alla aziendalizzazione della scuola non penso sia tale. Non si tratta di Bene contro il Male a mio parere, bensì di consentire un continuum nell’esperienza di vita di un individuo favorito dalla contaminazione tra gli ambiti che i giovani e i meno giovani frequentano, apprendimento, gioco, sport, musica, ecc….e lavoro. Sono le alleanze che cita Dewey che facilitano la partecipazione attiva.