di Emilia De Rienzo*
Il referendum No Triv non ha raggiunto il quorum. Faccio quattro piccole considerazioni, così come mi vengono senza nessuna pretesa di dire nulla di importante. Ogni giorno perdiamo non una battaglia, ma tante, tantissime. Per qualcuno abbiamo tentato di smuovere le acque, di cercare di battere un governo che fa gli interessi di qualcuno e va contro quelli di tanti altri. Per molti altri problemi siamo fermi, impotenti? O indifferenti. O semplicemente li lasciamo accadere.
Ma quello che dobbiamo evitare è di lasciarci abbracciare dalla delusione, dalla disillusione, dal fare analisi avventate senza aver conosciuto a fondo la realtà. Da molto tempo i referendum non hanno raggiunto il quorum e forse non ci siamo interrogati abbastanza sul perché. Ho letto tanti commenti: gli italiani sono ignavi, gli italiani non sanno lottare per il bene comune e mi fermo qui. Ma di quali italiani stiamo parlando? Sappiamo davvero i motivi per cui la gente non va a votare? Siamo così in grado sempre di giudicare?
Io ho provato a chiacchierare con tante persone, anche quelle che non avevo mai visto prima. L’ho fatto così senza giudicare e ho sentito tante versioni del sì o del no o dell’astensione. Quello che dominava era la confusione, la non chiarezza, la sfiducia e tanto altro. Forse dobbiamo guardare con più rispetto chi agisce diversamente da noi, forse non dobbiamo confonderli con quelli che proclamano le loro idee e cercano con mezzi subdoli di manipolare l’opinione pubblica. Forse dovremmo cambiare modo di far politica. Del resto se in Italia non esiste una sinistra vera con tanta gente che dissente dal Partito democratico, dovrebbe, quello sì farci pensare.
Comunque non vincere un referendum non vuol dire non aver fatto nulla. Non si vince mai e non si perde mai, se si è coscienti di essere in cammino, se si continua a lottare, a parlare con la gente, a non mollare. Tredici milioni di persone che votano Si in un referendum non sono poche, soprattutto in un paese dove sta aumentando da tanto tempo la disaffezione al voto.
Oggi sono poche le persone a saper districarsi nei discorsi politici ed economici, la gran parte della popolazione è tagliata fuori, perché non c’è nessuno che cerchi una strada per raggiungerli là dove vivono, non c’è nessuno che affronti anche i problemi della loro vita quotidiana, che lotti per la disoccupazione, per il precariato, per la casa e la scuola. Vivono ai margini. Basta dire che anche i giornali di sinistra o la maggioranza dei siti web che si dichiarano tali hanno un linguaggio che solo uno laureato riesce a comprendere veramente. Basta dire che in certi quartieri non arriva mai quasi nessuno a lavorare per creare aggregazione e quant’altro.
Sono pochi quelli che hanno fatto una mobilitazione seria, continuativa, cercando di raggiungere le persone, di parlare, di convincere anche chi era refrattario.
C’è bisogno di un lavoro capillare, continuo, che sappia raggiungere la gente, quella comune, quella che tutti i giorni parte alla mattina presto per lavorare, che non arriva alla fine del mese, che non ha o ha perso il lavoro. È quella gente che bisogna recuperare alla politica. Questo per me è il nodo del problema. Se ci sono stati tredici milioni di persone che hanno votato vuol dire che qualcuno questo lavoro l’ha fatto, e di questo dobbiamo essere contenti.
Oggi tanta gente non sa quale sarà il suo domani, né tanto meno quello dei suoi figli. Forse per questo non si interessa più a nulla. Forse tanta gente non ha più idee né opinioni perché gli è precluso ogni sogno di avere anche solo nel futuro una vita migliore almeno per i propri figli.
Per questo mi sembrano un po’ affrettati i giudizi sugli italiani “in genere”.
Sono piccole considerazioni a caldo, forse senza valore, ma quello che mi sembra vero è che i problemi sono molto più complessi di quanto li vorremmo e le risposte a volte difettano di troppa semplificazione.
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