E’ uno strano luogo la Palestina: un centinaio di soldati palestinesi fanno la guardia ad Abu Mazen venuto a presenziare il Natale armeno e, qualche chilometro più in là, i soldati dell’esercito israeliano fanno quel che vogliono del loro popolo. Il racconto amaro di una visita culturale resa impossibile a Betlemme, dove però si possono cercare le squisite fragole di Gaza, che offre lo spunto per un moto d’indignazione e alcune considerazioni. Serve a qualcosa uno schieramento che protegge il presidente e non può proteggere il popolo? Un paradosso che deriva da uno dei frutti avvelenati di quegli accordi di Oslo cari ai sostenitori di una “pace” tanto ingiusta quanto regolarmente calpestata dalle forze di occupazione

di Patrizia Cecconi
A parte le fragole e la tempesta di sabbia, tutto il resto è routine, ma ieri sera (18 gennaio, ndr) c’era qualcosa di più.
Mentre mi dirigevo in macchina a Betlemme per assistere alle ultime celebrazioni del Natale armeno, m’ha colpito il numero altissimo di soldati palestinesi disseminati lungo le vie di accesso alla cittadina. Ho chiesto al mio accompagnatore come mai e mi ha risposto mostrandomi la direzione in cui si trova uno dei palazzi del presidente Abu Mazen nel cuore di Betlemme e spiegandomi che tutti quei soldati erano là per la sua sicurezza. E’ uno strano luogo la Palestina: un centinaio di soldati palestinesi fanno la guardia ad Abu Mazen venuto a presenziare il Natale armeno e qualche chilometro più il là i soldati dell’esercito israeliano fanno quel che vogliono del popolo palestinese, il quale prova a difendersi da solo!
Comunque cerchiamo di parcheggiare la macchina. Ma non è possibile: la sicurezza palestinese, con gentilezza ma con assoluta determinazione ce lo impedisce. Il mio amico spiega che sono un’osservatrice di fenomeni culturali e che vorrei assistere al rituale sacro, ma non c’è niente da fare, non si parcheggia e non si passa. Il vento carico di sabbia che ha oscurato il sole nel pomeriggio è fortissimo e il freddo è quello tipico dei canti natalizi imparati da bambina, per cui lasciare la macchina a due chilometri e tentare di entrare a piedi diventa una piccola impresa che potrei pagare con una grossa influenza e il lavoro che dovrei fare non mi consente di ammalarmi. Rinunciamo.

Il mio amico è inferocito e le sue parole mi colpiscono. Mi colpiscono non per la rabbia con cui le pronuncia, ma per l’amara verità che contengono. Mentre io provo a spiegargli che in tutti i paesi del mondo l’arrivo del presidente comporta disagi dovuti alla sua sicurezza, lui mi risponde: “Noi siamo un paese occupato, un paese schiacciato dalla militarizzazione e non abbiamo proprio bisogno di altri militari a rovinare quel po’ di armonia che una festa porta con sé”, poi aggiunge “mentre questi stanno qui vestiti da soldati a impedire l’accesso a Betlemme, lo sai cosa succede a Dheishe camp o ad Aida Camp o nei vari villaggi qui intorno? I soldati veri, quelli dell’esercito occupante, invadono arrestano uccidono… e dove sono questi soldati, quelli che dovrebbero proteggerci? Sono qui a fare i manichini del presidente!”. E’ un fiume in piena e io non ho parole per fermarlo, mi cita un numero indefinito di situazioni in cui la polizia palestinese avrebbe potuto e, secondo lui, dovuto intervenire a difesa del suo popolo e non l’ha fatto o, addirittura, ha eseguito ordini che sembravano dettati da Israele. Ma lui in fondo lo sa che i soldati palestinesi non possono fare molto e mi dice, con un misto di realismo e di ironia: “Visto che tanto non possono proteggerci, che almeno non blocchino le nostre strade! Che ci lascino godere le nostre feste in pace.”
E’ sempre la stessa storia, sono i famigerati Accordi di Oslo che nel tempo si sono rivelati un vero tagliagola per il popolo palestinese, la causa di questi paradossi. Tutte le persone con cui parlo, compresi alcuni funzionari dell’Anp, auspicano un’uscita definitiva da questa trappola, ma la sclerotizzazione di uno pseudo-potere – fatto di briciole concesse da un potere esterno e reale – sembra inattaccabile, nonostante gli scricchiolii che tutti avvertono farsi sempre più sonori.
Mentre rinunciamo alla nostra impresa, abbandonando l’idea di assistere alle celebrazioni del Natale armeno, mi lascio sfuggire una considerazione sulla bellezza della piazza della Natività dove chiesa cristiana e moschea islamica condividono spazi, luci e rituali in perfetta armonia. A questo punto il mio amico mi racconta un aneddoto circa la figura di Omar, il califfo cui è dedicata la moschea della piazza. Il califfo Omar è un esempio di civiltà, di generosità, di tolleranza e di rispetto e la storia reale conferma quanto l’immaginario collettivo ha fatto proprio e dunque il mio amico mi racconta che un giorno, parliamo ovviamente di circa 1400 anni fa, un ambasciatore persiano andò a proporre degli accordi al califfo Omar e lo trovò addormentato sotto una palma da datteri col proprio mantello come stuoia e un sasso come cuscino. L’ambasciatore non poteva credere ai suoi occhi. Uno degli uomini più potenti del mondo dormiva così, senza una scorta armata, come un contadino qualunque! Il mio amico che ama molto concludere i suoi aneddoti con un “hai capito che significa?” non mi lascia rispondere e dà la sua risposta che, peraltro, è l’unica risposta possibile: “un presidente riconosciuto, rispettato e amato per il suo agire giusto verso il suo popolo, non ha bisogno di scorte armate perché è la sua stessa gente a proteggerlo!”.

Vorrei ribadire qualcosa, ma capisco che per quanto ami la Palestina sono, come dicono loro, “una sorella nata in un altro paese” e preferisco assorbire la lezione e tacere. Andiamo a casa a mangiare le fragole di Gaza comprate nel pomeriggio, quando ancora Betlemme non era stata blindata. Le fragole di Gaza sono un’esperienza sensoriale unica, anche quando sono di serra. Israele lo sa, e per questo impedisce che vengano esportate. L’assedio ha le sue regole!
Mentre scrivo vengo a sapere che l’esercito israeliano stanotte è entrato a Betlemme. E’ uscito poco fa portando via con sé un ragazzo palestinese come trofeo dell’incursione notturna, arrestato sulla piazza della Natività. Mi chiedo: dov’erano i militari palestinesi? Forse si erano già ritirati? O forse erano distratti. Bè, vado a fare colazione con le ultime fragole rimaste da ieri sera. Oggi è un altro giorno e la Palestina resiste. Nonostante tutto.
Non ho capito, sei “un’osservatrice di fenomeni culturali” (?) e non hai assistito a un evento del genere solo perché non si poteva parcheggiare, faceva freddo e bisognava camminare per due chilometri?
Si Alfredo, esattamente così, perché i due chilometri a piedi di notte, con il freddo terribile che faceva e con un raffreddore in corso, mi avrebbero procurato un’influenza che non posso permettermi perché ho due mesi di lavoro da fare in un posto dove non posso ammalarmi ché altrimenti sarei d’ingombro e non d’aiuto. Prendo atto che può sembrare superficiale, ma è una valutazione che ho dovuto fare e, giusta o sbagliata che sia, non è stata fatta in modo superficiale. Comunque il focus dell’articolo, e questo non credo ti sia sfuggito, non era la mia presenza alla cerimonia, ma la presenza massiccia di militari palestinesi che, purtroppo, non sono in grado di proteggere il loro popolo da coloni e militari israeliani che impazzano come vogliono.
Ok, pensavo stessi lì solo uno o due giorni.
….. e brava Patrizia, tocchi il centro, la sostanza della questione: l’autorità palestinese è il peggior nemico dei palestinesi, completamente venduta fin dagli accordi di Oslo – il “compagno” Arafat – agli interessi d’Israele. auguri, Patrizia, continua così, Roberto