Per un coordinamento di gruppi e singoli, attenti a quel che accade a bambini e ragazzi nella scuola e nei quartieri, come E tu da che parte stai?, nato a Milano nella primavera del 2019 ma con riferimenti in molte regioni, che ha un punto interrogativo nel proprio nome fare domande, va da sé, resta una priorità. A settembre, con la riapertura delle scuole ha proposto due questionari: non basta raccontare e gridare, abbiamo bisogno anche di indagare, coltivare dubbi, ricercare cause e spiegazioni. I risultati dei questionari, per quanto non scientifici, mostrano diverse cose: ad esempio il diffuso interesse per una scuola che sia più propositiva nella vita sociale dei più giovani e nella comunità più ampia nella quale vivono. È questo il tempo delle domande. È questo il tempo di reinventare la relazione tra scuola e territorio

Una scuola spaventata ma tenace, confusa e non sempre felice ma con tutta l’intenzione di esplorare e di sperimentare, affannata nel cercare soluzioni in un periodo in cui alle croniche difficoltà degli ultimi decenni si è aggiunto il peso, a volte schiacciante, di una pandemia planetaria e, insieme, con la ferma certezza della propria centralità come istituzione fondamentale.
Questo è, per riassumerlo in poche frasi, il quadro che emerge dall’analisi dei primi risultati dei due questionari – quantitativo e qualitativo – che sono stati restituiti al gruppo di osservazione dopo la proposta lanciata ai primi di settembre dal coordinamento di gruppi e movimenti e singoli E tu da che parte stai?, nato a Milano nella primavera del 2019, che ha riferimenti e contatti attivi in molte parti d’Italia (leggi anche Tornare a scuola non basta).
Lanciando l’hashtag #Finalmentescuola il coordinamento ha proposto di festeggiare in maniera evidente e documentata la riapertura delle scuole a metà settembre e si è contemporaneamente proposto, proprio con lo strumento dei questionari, di monitorare gli elementi di criticità e quelli di proposta presenti nelle scuole italiane.
Come riferiscono i due coordinatori del progetto questionari Livio Grillo e Roberta Sala, la quantità di risposte pervenute nel primo mese di indagine (158 per il questionario quantitativo e 139 per il questionario qualitativo) non rappresentano ancora un campione sufficiente per definire in termini scientifici i dati statistici e la loro interpretazione, ma sono comunque indicativi di una tendenza che, anche ad un riscontro empirico, sembra essere generalizzata.
Ecco, quindi, che a domande molto specifiche sulla situazione reale riscontrata all’atto dell’apertura il 52,5 % degli intervistati risponde che manca il personale ATA, il 48,7% che non ci sono gli educatori, il 67,1 % che i docenti di sostegno non erano presenti fin dai primi giorni di apertura. Verrebbe da dire, anche considerando solo queste prime risposte, che la scuola italiana rischia di dare sempre di più una immagine di sé come scuola privata, intendendo l’aggettivo nel suo significato di “mancante di…”: privata di personale, di spazi, di risorse, di attrezzature. Una scuola alla quale, a volte, sembra che manchi il fiato e non solo (e ben prima) per l’insorgere della pandemia da Covid-19.
Si riscontrano difficoltà nelle mense nel 50,6% delle risposte pervenute. Il 77,2% risponde che gli orari nel proprio istituto sono stati scaglionati, anche per far fronte ad una evidentissima questione critica come quella del trasporto pubblico. E, dato ancor più preoccupante, il 48,1% certifica una riduzione del tempo scuola, che si concretizza per l’80,5% nella riduzione del monte ore, con orologi che nel 37,5% dei casi si fermano ai cinquanta minuti e nel 16,7% addirittura ai quarantacinque minuti. La scuola ridotta alla durata di un tempo di una partita di calcio non può che essere, risulta evidente, che una scuola insufficiente a far fronte alla domanda di istruzione, di apprendimento, di cultura complessiva.
Quando poi si entra, nelle domande di tipo qualitativo, sul piano della didattica, si intravedono sia le difficoltà da parte di un numero non esiguo delle persone implicate nel processo educativo di sganciarsi dalla concezione di una scuola come fortino assediato, sia, in apparente contraddizione ma con l’evidenza di una situazione davvero molto in movimento, la curiosità e la intenzione di sperimentare forme diverse.
Quando, ad esempio, si chiede nel questionario se sia stata presa in esame la possibilità di utilizzo di spazi all’aperto, molti rispondono affermativamente, ma intendendo per spazi all’aperto quelli esterni all’aula ma comunque all’interno dei confini dell’istituto di propria competenza. Così come il 59,3% dichiara di non aver preso nessun contatto con agenzie educative extrascolastiche (gruppi; associazioni etc.) presenti sul territorio, ma, insieme, il 56,8% risponde di essere disponibilissimo, e a volte già attivo, nel pensare a forme didattiche diverse dalla tradizionale lezione frontale, con esempi che vanno dall’apprendimento cooperativo alla didattica laboratoriale o dalla didattica digitale integrata alle tecniche emotivo-relazionali.
Ciò che emerge, anche nel dibattito promosso e favorito da E tu da che parte stai?, è un fortissimo interesse – sia dei docenti che dei genitori – per una scuola che sia sempre più presente in forma attiva e propositiva nella vita sociale dei bambini, dei ragazzi e della più ampia comunità nella quale essi vivono. Interesse che, i dati del questionario stanno ad indicarlo in maniera molto esplicita, si trova davanti a ostacoli come una congenita pigrizia istituzionale, una altrettanto cronica (e intenzionale) scarsità di risorse e investimenti, una ancora del tutto insufficiente sensibilità pratica.
Informazioni e dati sono presenti sul sito www.etudachepartestai.it nel quale è possibile trovare il manifesto di convocazione del movimento, gli aggiornamenti sulle iniziative in corso e le proposte operative che vengono raccolte ed elaborate.
Utilissime le lezioni a distanza, i tavolini separati, ma altrettanto necessaria se non di più oserei dire una più diffusa socialità e partecipazione al sapere e del saper.