
.
di Fabrizia Jezzi*
Con l’attuale Riforma della scuola l’orologio della storia si è invertito e siamo tornati al lontano 1923, al Regio Decreto del Regno d’Italia a firma Benito Mussolini e re Vittorio Emanuele II in cui si afferma: “Tutto il personale di ruolo e non, sarà a chiamata diretta del preside.” Gazzetta Ufficiale n. 129.
Nessuna novità, nessun cambiamento: solo la restaurazione di un vecchio e odioso regime, indegno di uomini civili ed evoluti, rivestito di un finto modernismo che di progressista e innovativo ha solo la vernice e nemmeno splendente.
La chiamata diretta non introduce né riconosce alcun merito, a una sbandierata “meritocrazia” (dal greco xratos: potere), termine di per sé aberrante, perché chi è davvero meritevole a tutto è interessato, fuorché ad acquisire potere sugli altri, corrisponde con immediata evidenza l’avanzata del grande niente: la mediocrazia, il potere ai mediocri, esteso a tutti i livelli. Capita così che in alto ci stiano i mediocri, non i migliori. In questo sistema piramidale gerarchico feudale i migliori sono i servi della gleba, quelli calpestati da tutti, al vertice stanno gli esecutori materiali delle normative emanate dai poteri forti che stanno occupando in modo sistematico e capillare tutti gli spazi istituzionali e mediatici con il preciso mandato di distruggere lo Stato sociale, l’istruzione pubblica e la Costituzione, unico baluardo in difesa dei cittadini. A scalare, dopo il dirigente, si colloca il cosiddetto staff dirigenziale, che spesso ha ancora più potere, un potere quasi di “vita e di morte” (decide chi è gradito e chi è sgradito, chi rimane e chi viene espulso) del dirigente stesso sui propri colleghi docenti sottoposti: vassalli, valvassori, spie e delatori, qualcuno si trasforma in un vero e proprio aguzzino e persecutore, munito di metaforiche fruste in grado di recare sensibili danni reputazionali.
In questo ben orchestrato sistema di tortura, le vittime, tanto vere quanto inconsapevoli, oltre ai docenti, sono gli studenti e le loro famiglie. Tutti i numerosi provvedimenti per demolire la scuola pubblica e il personale docente hanno in comune l’abbassamento della qualità dell’istruzione a disposizione dei cittadini e delle generazioni future. Nella realtà dei fatti l’attacco alla Scuola della Costituzione è frontale, sistematico, violento e brutale.
In Messico si uccidono gli insegnanti che si oppongono alla riforma neoliberista della scuola pubblica, qui non si uccidono perché sono già “morti”, esausti, sfiniti dalle precedenti riforme che hanno tagliato pesantemente gli investimenti sull’istruzione e la ricerca e hanno ridotto la scuola primaria da scuola di eccellenza, a scuola povera e in difficoltà, soppresso sperimentazioni e compresenze. Si uccide in tanti modi diversi: con la soppressione della certezza del diritto, con la precarizzazione del lavoro, con l’impossibilità di chiedere il trasferimento se non alla cieca, con le deportazioni di massa soprattutto di donne su cui spesso pesa la cura dei figli e delle persone anziane, non essendo le famiglie sostenute da servizi diffusi e gratuiti, con la sottrazione della pensione acquisita con il proprio onesto lavoro, con la mancanza di ascolto, con la censura dell’informazione, con le truffe e gli inganni semantici, con la distorsione dei dati, con la propaganda governativa, con la decurtazione illegittima dello stipendio, con la riduzione del salario, con le campagne di ostracismo mediatico finalizzate alla perdita di prestigio sociale e autorevolezza. Si uccide e si muore permettendo che, con l’azzeramento delle graduatorie pubbliche e trasparenti volute dalla Costituzione per la Pubblica amministrazione, una mentalità clientelare e mafiosa, fatta di scambi di favori e raccomandati, si infiltri ovunque nella società, perfino nella scuola dove si educano e si formano i nostri figli.
Si uccide e si muore quando si viene tacitati, quando si tace per timore, quando per opportunismo si viene indotti a vendere la propria coscienza, quando manifestare solidarietà per un collega, immediatamente, ti destina nel ghetto degli indesiderati. Si uccide e si muore quando non ci si può ribellare alle ingiustizie, quando si viene mortificati nella dignità, non riconosciuti nel proprio meritevole e onorevole lavoro, siamo morti quando non siamo più liberi.
Si uccide e si muore quando si rimane soli, quando una categoria di lavoratori viene scagliata contro un’altra e tutte confliggono tra loro, quando le colpe del sistema vengono fatte pagare a chi non ne ha alcuna responsabilità.
Si uccide e si muore quando chi denuncia, informa e prende posizione, viene definito cattivo e senza cuore perché non collabora passivamente alle normative che vengono dall’alto.
La scuola, luogo di vita, si sta velocemente trasformando in un luogo di morte, dove le uniche cose ritenute vive sono i mezzi digitali, per altro assai mal funzionanti. La dematerializzazione ha dematerializzato tutto, alunni, insegnanti, custodi, scuole che cadono a pezzi, laboratori fatiscenti, diritti sottratti, lesi e calpestati, persone umiliate e mortificate. Gli alunni, chi sono? E chi se ne ricorda più? Sono numeri, voti e performance. La pedagogia scomparsa. La relazione pure. La comunicazione non serve. Restano gli ambiti territoriali, ovverossia infernali, dove si è pescati per conoscenza personale dal Dirigente. Resta l’arrivismo di alcuni, il menefreghismo di tanti, l’ignoranza dei più perchè sapere è soffrire, sapere è decidere da che parte stare, restano le prove standardizzate dell’Invalsicomio, il Comitato di valutazione, ovverossia il Comitato di svalutazione della quasi totalità dei docenti degli Istituti scolastici che, riconoscendo di avere percentuali tanto alte di insegnanti immeritevoli, dovrebbero da subito chiudere: nessun alunno si merita un insegnante non meritevole. Ecco quello che resta, ciò che quelli che stanno in alto sono pagati per far restare: un mucchio di macerie, una scuola brutta e cattiva, fondata sull’ambizione personale, sulla competizione, l’antagonismo e la conflittualità, la scuola della rabbia, dell’invidia, degli urli del più forte e dell’ostilità permanente.
Ma dentro questo grande cimitero di anime spente e opache, di zombie e di burattini, di arroganti e prepotenti, esibizionisti e narcisisti, servi e delatori, obbedienti esecutori di leggi inique e mal fatte, tappabuchi di falle non rimediabili, occultatori della verità di una scuola che va inesorabilmente a fondo, furbetti sempre disponibili a salire sul carro del cosiddetto vincitore, ci sono uomini e donne vive, indomite, irriducibili, indisponibili al tradimento della Scuola della Costituzione. Sono i maestros, le maestre e i maestri, che continuano a parlare, a scrivere, che prendono posizione anche se da soli, che lottano civilmente, che manifestano coraggio e amore per quella scuola che ha posto a suo fondamento la libertà. Questa scuola conquistata in decenni di durissime lotte parlamentari, non va riformata, va attuata e realizzata pienamente. È la nostra scuola. La scuola dove ogni bambino non è un numero o una prestazione, è un valore incommensurabile, è un semino da coltivare, di cui prendersi cura tessendo sapienti rapporti con la famiglia, una piantina da sostenere nella crescita, un fiore e un frutto da ammirare. Nella nostra scuola ogni alunno è una poesia che dispiega la sua magia, forti e fragili creature che ci vengono affidate per tante ore perchè possiamo onorare il senso altissimo del nostro essere insegnanti, educatori, maestri. Questa è la scuola dove sono tutti meritevoli, prima di tutto di esistere, di apprendere, di ricevere cura e amore, è la scuola dove insegnanti liberi educano ragazzi liberi, dove si cresce e ci si educa insieme, (Paolo Freire) è la scuola circolare, non piramidale, dove nessuno è più o meno degli altri.
È la scuola dove si impara che “l’obbedienza non è più una virtù” (don Milani) se si tratta di obbedire a leggi inique e sbagliate, tutti i più grandi crimini sono avvenuti perché la gente ha obbedito e non è stata capace di dire no. Questa è la scuola dove ognuno è uno, nè 10 nè metà, è la scuola buona, bella e fatta bene, quella in cui gli insegnanti collaborano tra di loro, creano sinergie sempre nuove e vengono onorati perchè sono coloro che si occupano del bene più prezioso che abbiamo, le giovani generazioni, il nostro futuro. È questa la nostra esperienza di scuola: creativa e innovativa, una scuola solare, felice per alunni e insegnanti insieme.
Da sotto le macerie la voce della Scuola della Costituzione si leva alta, è un canto dolcissimo e potente, è la musica di tutte le musiche del mondo, è una voce ferma e decisa, una parola che nessuno potrà mai ridurre al silenzio perché tornerà a parlare e a parlare sempre più forte finché la sua luce sarà talmente intensa che quelli che stanno sopra non staranno più in alcun luogo, dove, non ci interessa, e il nome di nessuno di loro si meriterà di essere ricordato mai più.
Lascia un commento