E se provassimo a riconquistare gli spazi, a restituire peso alle relazioni, a sviluppare pensiero critico, ma anche a raccontare i nostri immaginari di crisi e a condividere pensieri ed emozioni? E se riuscissimo a farlo non solo con assemblee (all’aperto) o con dirette web, ma con passeggiate di scoperta e scambio, mostre diffuse e interattive, scritture e rappresentazioni di storie collettive, esercizi e giochi di filosofia preparati con cura? Lo straordinario percorso di ricostruzione di comunità, promosso in territori feriti dai terremoti, mette in luce strade possibili anche per il tempo lungo della pandemia. Non si tratta di migliorare la fase 2 imposta dall’alto, ma di immaginare e creare, qui e adesso, mondi diversi

PROPOSTE EDUCATIVE: DOPO UN’ALTRA EMERGENZA
Questa emergenza globale è senza dubbio una situazione inedita, ma qualcosa in comune con altre emergenze che abbiamo vissuto ce l’ha.
Mi occupo da anni di educazione al rischio sismico e ho vissuto molte emergenze e post-emergenze: ho lavorato dopo diversi terremoti importanti, con progetti educativi finalizzati a elaborare la crisi vissuta, ma anche a ricostruire luoghi e comunità e a costruire futuro (leggi anche Il tempo lungo del terremoto).
In questa crisi, nel momento del passaggio da una emergenza conclamata a una fase a metà fra emergenza e nuova normalità, mi pare valga la pena di mettere in luce strade possibili, raccontando alcune esperienze fatte che potrebbero essere spunto per attività utili anche adesso. In ogni paragrafo quindi, proporrò un obiettivo educativo (e non solo) importante e un’esperienza-spunto.

1. Riconquistare gli spazi
Fino a non troppo tempo fa, dopo un terremoto si faceva una processione: ringraziando per la fine della disgrazia, ci si ritrovava e si ritrovava il proprio territorio, si osservavano le sue ferite e si recuperava insieme una confidenza oltre la paura. Nei nostri tempi, dopo un terremoto, non ci sono riti collettivi altrettanto forti e condivisi. Ma il rapporto con il proprio spazio deve essere recuperato.
A L’Aquila, otto anni dopo il sisma, quando ci siamo resi conto che le persone ancora non osavano andare a spasso per la città, abbiamo attivato un processo di esplorazione e narrazione collettiva in cui cittadini di ogni età hanno avuto modo di raccontarsi la loro città. Per fare questo abbiamo organizzato delle passeggiate di scoperta e scambio.
Abbiamo lavorato con classi di scuola primaria su mappe della città, sui luoghi del cuore e della fantasia, sulla ricerca di memorie. Poi siamo andati in strada con i bambini, con i loro genitori, con gli insegnati, per creare occasioni di incontro. Le passeggiate sono state strutturate in momenti di cammino e osservazione e soste di gioco e racconto/ricordo/confronto con persone che avevano qualcosa di speciale da condividere.
Portare i bambini in città, tra i vicoli, alla ricerca di familiarità, di quotidiano, ha significato rompere con la frattura del terremoto, rimarginare il distacco passato/presente; genitori e nonni si sono messi in gioco, aiutando i piccoli ad entrare in contatto con la città, la sua bellezza e le sue storie. Gli insegnanti hanno partecipato e supportato il processo. Passeggiare insieme al centro è stato un modo per coltivare il senso della comunità che è fatta di spazi e delle persone che ci stanno dentro, ci vivono e ci si riconoscono.
In questa emergenza il rapporto col territorio non è stato interrotto dalla distruzione del nostro ambiente (anzi, in realtà il territorio è rimasto sano, anche più sano di prima). Ma il mondo si è momentaneamente allontanato da noi: il nostro universo si è chiuso in casa e l’esterno è diventato spazio di pericolo.
Sarà necessario recuperare un rapporto di fiducia col nostro ambiente allargato/aperto di vita. Inoltre stare all’aperto, in spazi sufficientemente ampi da mantenere adeguate distanze, potrebbe essere un modo per ridurre il rischio: il nostro stare insieme e le attività (scolastiche) farebbero bene a spostarsi il più possibile all’aperto.
2. Restituire peso alle relazioni
Le crisi e le emergenze stravolgono le relazioni. Costringono a vicinanze e distanze diverse dal solito e spesso molto pesanti. In questa specifica crisi la vicinanza fisica all’altro è un pericolo. Parallelamente la distanza fisica è diventata parte di una responsabilità e una cura collettiva. Le crisi, oltre le distanze fisiche, tendono ad avvicinarci profondamente, nella condivisione del dolore, della paura e nella solidarietà e la collaborazione.
È importante trovare modi per stare vicini, condividere: quando abbiamo visto accadere cose buone in emergenza e in fase di ricostruzione, dopo terremoti importanti, è sempre stato perché comunità di persone riflettevano e agivano insieme per riconquistare il loro territorio, la loro vita. La dimensione della comunità in emergenza (e dopo) è potentissima.

Al primo anniversario del terremoto dell’Emilia abbiamo proposto alle scuole di alcuni paesi colpiti di realizzare una mostra diffusa (nelle vie, le piazze, i negozi e gli uffici, delle città coinvolte) su pensieri e desideri dei bambini a proposito di terremoto e ricostruzione. Il progetto si è sviluppato nelle scuole, per arrivare in strada, nei luoghi frequentati da tutti, in modo che l’intera cittadinanza potesse “incontrare”, magari per caso, le proposte dei bambini.
Abbiamo coinvolto bambini e ragazzi in un percorso di conoscenza del terremoto, di riflessione sul territorio, di elaborazione di una ricostruzione fantastica e vitale: sono state progettate e costruite macchine contro il terremoto, case dei desideri, nuovi oggetti per popolare le strade e le piazze delle città coinvolte. Siamo partiti dai bambini per arrivare a tutti: insegnanti, genitori, ragazzi più grandi, negozianti, amministrazioni e cittadini che hanno riconosciuto la necessità di dare spazio alla fantasia.
In piena ricostruzione, quando solidità e concretezza sembrano gli unici valori che contano, abbiamo fatto sperimentare e comprendere a molti adulti l’importanza vitale della fantasia, del rispetto dell’”identità”, del bisogno di bellezza. I bambini hanno raccolto, con la disponibilità a inventare soluzioni e proposte fantastiche, il bisogno inespresso degli adulti di elaborare quest’esperienza; chiedendo agli adulti il loro aiuto hanno dato loro una chiave con cui i grandi hanno riconosciuto il loro diritto alle emozioni. E poi si sono ritrovati tutti in strada.
Finché non potremmo stare fisicamente accanto, come stare vicini senza contatto?
È importante cercare tutte le strade possibili per creare insieme cose: storie, opere di fantasia, arte, giochi, rappresentazioni di mondi. Usando gli strumenti di condivisione usabili (quelli più ovvi da usare, stando a distanza, sono quelli tecnologici, ma non sono i soli) e cercando la condivisione reale e praticabile: scambiandoci oggetti, passandoci di mano quel che costruiamo, raccogliendo insieme esperienze narrate nelle forme che preferiamo, materiali e immateriali.
Per fare comunità e per trovare una strada percorribile e giusta, poi, partire dai bambini è sempre un buon sistema.
3. Sviluppare pensiero critico: dubbio e verità complessa
Nelle crisi, in particolare nell’ansia e nella concitazione delle fasi di emergenza, la comunicazione è centrale. A chi vive un’emergenza servono informazioni chiare e affidabili; se non ne arrivano da fonti istituzionali le persone cercano in giro e danno spazio a bufale e contrasti.
E noi, come sappiamo cercare e valutare informazioni e comunicazioni? Come riusciamo a trovare i nostri punti di vista? Soprattutto in situazioni di crisi, abbiamo bisogno di capire quel che accade: siamo in territorio sconosciuto. Questa situazione estrema, incerta, complessa, ci spinge a cercare continuamente strumenti per orientarci su quel che accade e su noi stessi in rapporto a quel che accade. La complessità della situazione, i diversi modi per leggerla, ci portano a cambiare idea, a volte drasticamente, molte volte semplicemente “aggiustando il tiro”. Questo può essere una cosa buona, un esercizio utile: imparare a mettere in discussione, a cercare verità possibili, a conciliare punti di vista diversi, senza schieramenti, ma con ascolto, ricerca, dubbi.
C’è un piccolo esercizio-gioco filosofico che facciamo spesso (con bambini e adulti), rielaborando il metodo di uno scrittore francese (Oscar Brenifier).
Si tratta di porre una domanda (una domanda reale, a cui si possa rispondere con SI o NO, motivando brevemente) e raccogliere risposte sintetiche; quindi, su ciascuna delle risposte raccolte, rilanciare con un “SI, PERÒ…”, invitando le persone a cercare dei nuovi punti di vista che permettano, senza negare la risposta data, di mettere in luce un’altra verità. Faccio un esempio. Se io oggi chiedessi “dobbiamo seguire alla lettera le disposizioni governative, anche se non ci piacciono e non le condividiamo pienamente?”, molti risponderebbero “SI, perché solo così possiamo ridurre il rischio di ammalarci”; potrei quindi invitare a pensare un’obiezione a questa risposta – una frase che inizi con SI, PERÒ… – che, senza negare l’importanza di rispettare le regole per la sicurezza di tutti, possa far emergere altre cose importanti, o aspetti oscuri della risposta precedente.
In questa situazione, ma anche come allenamento per il futuro e per le nostre riflessioni e comunicazioni quotidiane (sui social, ad esempio), provare a sviluppare dubbi e a tenere insieme punti di vista diversi può esserci molto utile.
4. Raccontarci il nostro immaginario sulla crisi
In situazione di crisi ed emergenza ognuno di noi si costruisce un’immagine della realtà, fatta di cose in cui crede e cose in cui non crede, di cose che vede (a volte diverse da quelle che sente), di cose che gli fanno paura e cose che lo tranquillizzano. Questa immagine non è sempre facile da raccontare e condividere.
Eppure la condivisione di queste nostre immagini ci potrebbe aiutare non solo a elaborare insieme e più facilmente l’accaduto, ma anche a pensare strategie di difesa/prevenzione e futuri possibili.
Per far pensare i bambini di area vesuviana e flegrea al rischio vulcanico, partendo da loro, abbiamo svolto in diverse classi (di primaria e secondaria) laboratori dedicati a una sorta di indagine sulla percezione del rischio vulcanico attraverso la costruzione di una breve storia – raccontata e disegnata – a partire da una griglia predeterminata: con una/un protagonista in un contesto in cui è presente un vulcano, poi la comparsa di alcuni segnali provenienti dal vulcano, quindi l’eruzione e infine il dopo eruzione. L’analisi delle storie ci ha consentito di capire come sono percepiti i vulcani, come è percepita la loro pericolosità, come i bambini immaginano possa svilupparsi una situazione di allarme, e quali conseguenze questa situazione potrebbe avere sulle loro vite.
Abbiamo scoperto molte cose, stupefacenti e illuminanti per noi. Ma soprattutto ci siamo messi in condizione di lavorare con bambini e ragazzi su vulcano e territorio, tenendo conto dei loro immaginari; abbiamo dato a bambini e ragazzi modo di raccontare il loro ambiente, incluse paure/preoccupazioni ed elementi di fiducia. Con l’ultima scena della storia, poi, abbiamo messo i narratori in condizione di immaginare il futuro dopo la crisi, con paure, speranze e desideri.
Inventare e rappresentare storie, magari a partire da uno spunto o da uno schema prestabilito, permette di esprimere il proprio immaginario riguardo una situazione data e di condividere immaginari, cercando insieme di capire come funzionano le cose e come ci piacerebbe che andassero a finire.
5. Condividere pensieri ed emozioni: io sono un esperto
In situazioni di crisi, quando ci sentiamo e veniamo raccontati come vittime di una disgrazia, pare quasi che non ci resti altro da fare che aspettare: lasciare agli esperti la soluzione della crisi e ritirarci in noi stessi, senza disturbare. Questo però rischia di immobilizzarci e impedirci di fare cose utili, per la comunità oltre che per noi, e anche di impedirci di ascoltare le nostre emozioni e i nostri pensieri, di comunicarli e di condividerli.
In realtà, in ogni crisi che viviamo, anche noi siamo esperti: facciamo esperienza di cose importanti per noi ed è bene che ci sentiamo in diritto di esprimerci e agire.

A un anno di distanza dal terremoto dell’Aquila abbiamo lavorato con tanti ragazzini di scuola media, per far raccontare loro, attraverso una mostra interattiva (che hanno progettato e costruito), emozioni, vissuti e riflessioni sul “loro” terremoto.
Dopo alcuni incontri di progettazione e costruzione, le classi hanno prodotto un una mostra, con elementi nati dall’esperienza e dalla fantasia dei ragazzi coinvolti: exhibit scientifici (per capire il fenomeno in maniera semplice ma corretta), exhibit dedicati a raccontare emozioni e sensazioni sull’accaduto e sul momento presente (la fase di spaesamento dell’inizio della ricostruzione), exhibit per dare consigli e per condividere. Quindi i ragazzi stessi hanno iniziato a guidare i loro compagni di scuola e la cittadinanza nella visita alla mostra realizzata, innescando un circolo virtuoso di educazione fra pari e dal basso.
I ragazzi sono diventati gli esperti, i testimoni, che avevano qualcosa da dire e da insegnare: questo cambiamento di ruolo e di prospettiva è stato decisivo per elaborare l’accaduto e addirittura per ricavarne forza e sicurezza.
Per uscire da questa emergenza sarà indispensabile provare a dare una forma e un senso a quanto è accaduto e sta accadendo: comprendere, da tutti i punti di vista, ascoltare e raccontare esperienza (mettendo a confronto gli esperti in senso medico, tecnico, politico e noi stessi, come persone che hanno un’esperienza speciale e profonda).

6. Rappresentare e progettare il futuro
In una crisi è facile convincere/convincerci che c’è una sola strada possibile. Abbiamo tutti, soprattutto in una situazione di stravolgimento, incertezza, paura, il comprensibile desiderio “che tutto torni al più presto come prima”. Abbiamo visto, dopo tutti i terremoti, la maggioranza delle persone parlare di ricostruzione come se fosse ovvio che ricostruire significava riportare le cose a com’erano prima del terremoto. Ma la ricostruzione non è per forza questo. Nel caso del terremoto ci sono cose semplici ed evidenti da considerare: se qualcosa si è distrutto vuol dire che non era costruito in maniera opportuna, quindi sicuramente non dovrà tornare esattamente com’era prima. Ricostruire può voler dire ripensare e cercare una strada nuova, che risponda meglio di quella di prima ai nostri bisogni e a i nostri desideri. In un certo senso è un’opportunità. Se invece ci raccontiamo che c’è una sola strada e che la strada è tornare a come stavamo prima (che poi sarà sempre un passo indietro, perché nel frattempo qualcosa lo avremo perso per sempre), siamo destinati a uscire dalla crisi e dalla ricostruzione frustrati, insoddisfatti.
Dopo un anno circa dal terremoto del Centro Italia, abbiamo lavorato con i ragazzi delle superiori di Ascoli, ragionando sulla loro idea di ricostruzione. All’inizio del percorso quasi tutti i ragazzi pensavano la ricostruzione come ritorno indietro: immaginare ricostruzioni diverse li ha spinti a pensare il loro stesso futuro nel futuro della loro comunità e del loro territorio, sentendosi più forti e più liberi di scegliere.
I ragazzi ascolani hanno lavorato su scenari di ricostruzione per imparare ad immaginare la ricchezza delle possibilità e la complessità delle scelte, partendo dai loro desideri per il futuro.
Se raccontiamo come sarà il mondo dopo una crisi, possiamo reinventarlo e programmare la sua ricostruzione; la narrazione può essere un notevole strumento di progettazione. Lavorando su bisogni e desideri e dando loro voce e forma.
Nella fase della ricostruzione si definisce la capacità delle persone di assorbire, elaborare e integrare l’esperienza del terremoto nella propria vita. Dopo il trauma ci si inizia a confrontare quotidianamente con il cambiamento avvenuto e si riorganizza il proprio vissuto, il rapporto con il proprio territorio e con gli altri, sulla base di questa nuova e fortissima esperienza.
Se il processo di elaborazione e ritorno alla normalità funziona “bene”, se la ricostruzione tiene conto delle persone, dei bambini, dei desideri, dei bisogni, un terremoto – o una qualunque altra crisi – lascerà un certo tipo di tracce, altrimenti ne lascerà altre, molto più pesanti.
Sarebbe bello se adesso provassimo tutti a immaginare e raccontare non solo la fase 2, ma il mondo dopo tutte le fasi di questa crisi, per avere uno scenario che davvero ci piace davanti agli occhi e per ricostruire sulla base di quello.
Flaminia Brasini con Delia Modonesi, attraverso ConUnGioco onlus, da molti anni si occupa di educazione per la riduzione del rischio e gira l’Italia in lungo e in largo.
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