“È da questa idea di lavoro (una merce non più utile alla comunità ma strumentale al sistema, ndr) che gli Ecoautonomi prendono le distanze a partire da una rottura del patto con il consumo. Lo fanno con consapevolezza, a volte; oppure per rispondere a un malessere interiore, spesso; o per senso politico della propria esistenza. Quello che emerge dalla ricerca è che lo fanno cercando di praticare percorsi di vita integrali; integrale come lo può essere il buon pane. E lo fanno per un’istanza insopprimibile di autodeterminarsi. Scelgono la libertà. Immaginatevi una freccia, di quelle che si disegnano da bambini. La punta è la motivazione e prende di mira la libertà. È quella la motivazione forte che spinge a cambiare”. Sono parole di Lucia Bertell, studiosa femminista impegnata nella progettazione partecipata e ricerca sociale sul lavoro, venuta a mancare giovedì 30 agosto a soli 54 anni. La ricordiamo con questo articolo è tratto da una relazione preparata per l’incontro a Curno, Bergamo con Cittadinanza sostenibile 16 dicembre 2016 “Lavoro Ecoautonomo. L’obbedienza non è più una virtù”.
di Lucia Bertell*
Vi ringrazio per l’invito. Quando mi è arrivata la sintesi del vostro percorso di quest’anno e le domande messe a fuoco per questo incontro di riflessione partecipata ho cominciato a sottolineare le questioni riprese dai vostri lavori precedenti. Ho cercato di capire come il mio lavoro di ricerca, quello che ha portato alla scrittura del librino Lavoro ECOautonomo, potesse essere di una qualche utilità qui.
https://comune-info.net/2016/05/si-vive-meno-quanto-si-pensi-lavoro/
Mi sono quindi calata nel compito che mi avete dato, nelle domande su cui riflettiamo insieme questa sera: A partire dalla Laudato sii, come fare a vivere nella direzione di un’ecologia integrale? Quale cambio di paradigma è praticabile? Ho affrontato queste domande con uno sguardo laico, facendole dialogare con i risultati della mia ricerca.
Parlo di una ricerca che porto avanti da alcuni anni con Antonia De Vita, Federica de Cordova, Giorgio Gosetti e, sempre più frequentemente, con Francesca Forno che voi ben conoscete. È una ricerca partita ormai diversi anni fa (2009) che, in maniera interdisciplinare, cerca di comprende i movimenti legati al variegato mondo delle Reti di economia solidale, dei Bilanci di Giustizia, dei Gruppi di acquisto solidale, dei Centri di sperimentazione autosviluppo, di Genuino clandestino, Decrescita felice, Economia di comunione, Economia dei beni comuni, Economia delle relazioni, Fuori Mercato… Cioè di coloro che, attraverso pratiche quotidiane, si muovono con modalità critiche rispetto a un sistema che sentono opprimente, ingiusto, portatore di morte. Le abbiamo chiamate Economie diverse per una precisazione linguistica che, a nostro parere, era necessaria rispetto all’espressione più conosciuta e ancora molto in uso di Altra Economia.
A un certo punto abbiamo cominciato a sentire la necessità di fare un ulteriore affondo perché cominciavano a essere molte le persone, donne e uomini, molti giovani ma anche adulti, che sceglievano di lavorare, anche cambiando radicalmente lavoro, avvicinandosi alla terra e al lavoro agricolo, oppure a lavori manuali come fare il pane, costruire e sistemare biciclette, fare spugne vegetali, il medico con le mani, la libraia indipendente, fare la casara, il mugnaio, la bancaria etica, gli educatori/attori, fare l’insegnante libertario, la cuoca vegetariana e via così. Le esperienze e le storie di vita raccolte per il libro e quelle che ho continuato a raccogliere, dapprima tra il Veneto e la Sardegna e poi in tutta Italia, sono davvero molte, e hanno dato corpo e voce a quanto sto per dirvi.
Per dirla con una espressione che voi avete fatto vostra, parlo di scelte di lavoro che vanno verso l’ecologia integrale. Per dirla con un’espressione che ha origine da queste tante storie di vita, parlo di lavoro ECOautonomo. Un lavoro che si è spostato da un ambito di sostenibilità economica per andare verso una praticabilità della vita.
CIO’ CHE NOI SIAMO
Ma prima di addentrarmi nelle vite Ecoautonome e parlare di quale cambio di paradigma mostrano, ci tengo molto a dire ciò che queste storie dicono di non essere e di non volere. Non sono persone che avviano imprese sociali o cooperative o associazioni di volontariato. Non stiamo quindi parlando del fenomeno molto conosciuto sotto il nome di terzo settore. Non scelgono forme giuridiche non profit e quando lo fanno, perché ce ne sono che lo fanno, lo fanno per una convenienza di tipo organizzativo- amministrativo e non per adesione a un modello. Scelgono le forme giuridicamente più semplici (spesso quelle di area profit) e, tra poco vi dirò, le riempiono di nuovi sensi, di nuovi significati. Quello che mostrano è una critica al terzo settore, mostrano una resistenza a farsi stampella di Stato e mercato.
Non è la forma giuridica che restituisce la loro essenza. Sottolineo questo perché a mio avviso è davvero molto importante collocare questo fenomeno legato al lavoro in un ambito di novità che è quello delle Economie diverse, e non collocarlo a sostegno valorizzante di un settore figlio sì del mutuo soccorso, della solidarietà e del cooperativismo del secolo scorso ma che è oggi entrato in crisi come e proprio perché ha cominciato a fare affari con il mercato. Dobbiamo dirci che se sono entrati in crisi, con effetti indesiderati, i rapporti tra Stato e mercato, tra primo e secondo settore, non ne è rimasto indenne neppure il terzo.
A questo proposito riprendo alcune delle questioni da voi sottolineate sui famosi cartelloni: “volontariato o attivismo?”; “quello che facciamo non è volontariato ma una scelta di vita”; “I care: la politica come senso civico, il volontariato come attivismo”; “volontariato sostenibile è un ossimoro”; “volontariato politico” e poi dite anche “importanza del linguaggio”. Credo che non solo i lavoratori/produttori ecoautonomi stiano facendo la riflessione su un posizionamento che va chiarito, ma anche voi. E questo è importante perché significa che ci sono alcune questioni che ci interrogano a partire dall’immaginario in cui costruiamo la nostra storia collettiva. In molti cominciamo a chiederci cosa non siamo più o non vogliamo più essere. Non siamo più consumatori, non siamo volontari, non siamo genericamente solidali, e così via.
IL LAVORO
E ora faccio un salto nel lavoro. Gli ecoautonomi non vogliono più essere lavoratori dell’etica strumentale. Michele La Rosa, sociologo del lavoro, con la sua costellazione ricostruisce i passaggi evolutivi dell’etica del lavoro e parla di quattro tipologie di etica del lavoro:
- un’etica totalizzante, che vede condizioni di lavoro per lo più stabili, localizzate e legate alle necessità della vita;
- un’etica del lavoro strumentale, caratterizzata da un forte legame tra reddito e consumo;
- un’etica del lavoro emancipativa, in cui è presente una ricerca di significato del lavoro;
- e un’etica del lavoro contingente, radicata al presente senza idea di futuro (2002).
Delle quattro tipologie, non necessariamente storicamente consequenziali, è l’etica strumentale quella su cui desidero qui porre un accento, perché è quella che mette in luce il lavoro come strumento per arrivare al reddito utile ad accedere al consumo. Un circolo definito da lavoro/reddito/consumo. È l’etica strumentale del lavoro che maggiormente ha cambiato la nostra identità facendo di noi persone riconosciute socialmente non più per il lavoro fatto ma in quanto consumatori (2002: 16). L’etica del lavoro strumentale lega indissolubilmente il ruolo di lavoratore a quello di consumatore, rintracciando nel reddito il suo fattore caratterizzante, ovvero la possibilità per il lavoratore di essere un consumatore e, attraverso ciò, un sostenitore del sistema sociale di tipo capitalista. Possiamo dire che il consumo è una forma di riconoscimento sociale così strettamente legata al lavoro da averne offuscata una riconoscibilità sociale più diretta.
IL LAVORO E’ SEMPRE ESISTITO
Ma è sempre stato così? Il lavoro come lo conosciamo oggi è sempre esistito? È una domanda che io stessa ho cominciato a pormi di recente, presa, come sono stata per una vita, dal senso del lavoro nordestino seppur tradotto nel senza scopo di lucro cooperativo. Non avevo l’apertura culturale a pensare altrimenti.
Anche se l’umanità ha sempre dovuto rapportarsi con la natura per sopravvivere e misurarsi con le trasformazioni delle proprie condizioni di vita, tali attività non sono sempre state raccolte sotto una sola categoria e non hanno sempre costituito la base della vita sociale.
Non sono molti gli studiosi che nei loro testi rispondono a questa domanda. Tra questi sicuramente sono interessanti le voci di Dominique Mèda, Ivan Illich, Philippe Godard, Roberto Rizza, Marshall Sahlins, studiosi che ci mostrano che al di fuori del nostro immaginario collettivo sono esistite società in cui il lavoro non era neppure un concetto comunicabile attraverso la lingua a loro contemporanea, oppure era qualcosa di servile, ma certamente non era quell’elemento strutturante il sistema sociale che è oggi.
È con Adam Smith e i suoi contemporanei che il lavoro diventa un’unità di misura, un contenitore che amalgama gli sforzi, uno strumento di equazione tra diverse merci. E il tempo ne è l’essenza. E il lavoro stesso diventa una merce non più utile alla comunità ma strumentale al sistema. Pochi secoli, ieri praticamente se pensiamo alla storia dell’umanità. È questo il momento storico in cui l’oggetto lavoro può essere riconosciuto con chiarezza da tutti, trovando una propria unitarietà concettuale.
LA SCELTA DELLA LIBERTA’
Ecco, è da questa idea di lavoro che gli Ecoautonomi prendono le distanze a partire da una rottura del patto con il consumo. Lo fanno con consapevolezza, a volte; oppure per rispondere a un malessere interiore, spesso; o per senso politico della propria esistenza. Quello che emerge dalla ricerca è che lo fanno cercando di praticare percorsi di vita integrali; integrale come lo può essere il buon pane. E lo fanno per un’istanza insopprimibile di autodeterminarsi. Scelgono la libertà.
Immaginatevi una freccia, di quelle che si disegnano da bambini. La punta è la motivazione e prende di mira la libertà. È quella la motivazione forte che spinge a cambiare.
Cambiato stile di vita – meno consumo, meno auto, più natura, più senso di giustizia, e in questo contesto ognuno di voi ne può aggiungere sicuramente – è l’idea dell’essere integrali come il pane che chiama in causa il lavoro. E per lo più sono passaggi che richiedono tempo. Magari intanto due lavori, accordi tra compagni di vita che condividono un progetto, uno cambia l’altro no. O salti a piè pari nel nuovo con trasferimenti e salti nel buio.
Allora le storie raccontano di laureate in medicina che diventano cuoche vegetariane perché il cibo è medicina, di laureati in scienze politiche che diventano artigiani di biciclette perché due ruote è politico, di architetti e musicisti che diventano orticoltori perché basta consumo di suolo bisogna cambiare musica, di informatici che cominciano a coltivare carciofi perché lavorare all’aria aperta è meglio, di educatori che fanno i casari, di un meccanico metropolitano che torna al paese a fare il pane come lo faceva la madre, di una biologa che diventa agricoltrice perché si sente a casa nel suo campo…
Per portare uno dei tanti esempi: Silvia, avvocata, dice “io non ci sto ad accettare passivamente un sistema che ci vuole incanalare in un percorso già segnato, che ci vuole schiavi del lavoro in nome del benessere, che ci vuole insegnare come essere felici. Io le ingiustizie le vedo con i miei occhi e non intendo far finta non ci siano. Desidero reagire, impormi, proporre. Voglio essere protagonista della mia vita, sentirmi libera nel costruire la mia strada, voglio lasciare un segno del mio passaggio. (…) Ho riflettuto molto sull’organizzazione della mia vita e oggi della mia famiglia. Sono giunta alla conclusione che il modello dominante proposto non si adatta ai miei ideali. Passare tutto il giorno in un ufficio, accumulare denaro da spendere solo nelle vacanze, indebitarsi per comprare una casa non corrisponde alle mie priorità. Cerco di liberare spazio per le relazioni personali, per mia figlia, per la passione politica. Decido, assieme ad Andrea, di vivere del nostro lavoro senza sfruttare la terra o le persone, nella semplicità del cibo sano e di relazioni sincere con gli amici che condividono il progetto”.
Non lo fanno quindi per altruismo, per solidarietà, per l’ambiente. Ma facendolo per un desiderio di libertà dal sistema, di ricerca di strade di autodeterminazione, resistendo e confliggendo con il sistema attraverso pratiche quotidiane di relazione con l’umano e l’ambiente che si sottraggono al paradigma della strumentalità, aprono la possibilità di transitare verso un sistema che assomigli loro di più. L’ho chiamata “praticabilità della vita” perché non di economia mi hanno parlato ma di vita.
Non solo cambiano stile di vita attraverso la riduzione dei consumi (una delle categorie emerse è vivere semplicemente, il che ricorda un altro Francesco), non solo scelgono di consumare criticamente (secondo giustizia direbbero molti di voi qui) ma scelgono di cambiare lavoro o di fare un nuovo lavoro che si sgancia dalla centralità del denaro e della sua strumentalità al consumo, posizionando il reddito ai margini del loro fare (il denaro non scompare ma è ridimensionato e utile alle strette necessità), praticando altre forme di remuneratività materiale come io ti do il formaggio, tu mi dai la carne, o scambio lavoro, ma anche immateriale come l’impagabile riconoscimento del proprio lavoro, vivendo più semplicemente e costruendo forme di relazionalità utili al progetto comune e alla comunità intesa anche in senso zoecentrico (ovvero non antropocentrico).
LE PRATICHE ZOE PESANTI
Essere in sintonia con il vivente, che è Zoe, dice Antonia De Vita, cioè praticare nella quotidianità gesti e pensieri sistemici, che non separano l’individuo dall’insieme. Le pratiche zoepensanti vanno in direzione diversa e contraria a quella dell’uomo concentrato su se stesso e sui suoi piccoli e grandi poteri, a quella dell’homo oeconomicus. Il primo ordina i propri elementi a partire da un’appartenenza all’esistenza intera; il secondo ordina i propri fattori a partire dalla priorità dell’homo oeconomicus, poi, quando non si può farne a meno, anche del sociale e dell’ambiente. Da qui la mia critica del concetto di sostenibilità.
Come vedete i lavoratori ecoautonomi sono portatori di istanze che hanno delle affinità con quelle rilanciate da Bergoglio nell’enciclica con cui si confronta l’incontro di questa sera. Pur appartenendo a spazi di pensiero e di culture anche molto distanti. E queste affinità tra culture cominciano a essere molte. Questo è a mio parere un elemento positivo.
DOCILITA’
Ci sono, in tanto profondo buio delle esperienze, non pure, non perfette, che aprono il divenire di un altro paradigma basato sulla praticabilità della vita e non sull’economia. Sono esperienze che mostrano delle differenze che possono fare paura, mettere a disagio come mettono a disagio tutte quelle situazioni che portano delle stonature rispetto al consueto. Questo l’ho visto in molte discussioni con persone che pur avendo cambiato stile di vita nei consumi e nei rapporti interpersonali non sanno come gestire una domanda profonda che riguarda il proprio lavoro.
Ma non si tratta, mi pare di capire anche per me, di cambiare lavoro dall’oggi al domani ma di vedere che un altro paradigma è possibile, che è bello cominciare a parlare e a mettere in discussione anche il lavoro e le sue strutture.
Consueto fa il paio con mansueto. Se ci pensate. C’è una docilità in noi che ci tiene nel sistema. Perché appartenere è rassicurante. Cosa ci tiene davvero lì?
LA MUTAZIONE
Infine vorrei leggervi un passaggio da uno scritto di Alessandro Baricco
“Dovette succedere così negli anni benedetti in cui,per esempio, nacque l’illuminismo, o nei giorni in cui il mondo tutto si scoprì, d’improvviso, romantico. Non erano spostamenti di truppe, e nemmeno i figli che uccidevano i padri. Erano dei mutanti, che sostituivano un paesaggio con uno differente e lì fondavano il loro habitat. Non c’è confine, non c’è civiltà da una parte e barbari dall’altra: c’è solo l’orlo della mutazione che avanza, e corre dentro di noi”.
Studiosa e cooperatrice da molti anni impegnata nella progettazione partecipata e ricerca sociale sul lavoro, si è interrogata sui suoi mutamenti a partire da un libro pubblicato per Elèuthera dal titolo Lavoro ecoautonomo. Dalla sostenibilità alla praticabilità della vita (elèuthera, pp. 191, ). I suoi funerali si terranno lunedì 3 settembre alle 15.30 presso il Monastero del Bene Comune della Comunità degli Stimmatini. L’indirizzo è via Mezzomonte 28, località Sezano, Verona.
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