Eliminare il caporalato e le mafie che se ne servono, lo sfruttamento schiavistico del lavoro dei migranti nelle campagne e i ghetti in cui sono costretti a vivere non è affare da poco e non si riuscirà a farlo dall’oggi al domani. Con il lookdown e la minaccia sui raccolti che ha comportato si è forse aperto un nuovo varco per fare un salto di qualità e rafforzare le ragioni di chi lotta da tempo contro una condizione che non è affatto naturale né ineliminabile ma troppi grandi interessi vogliono da sempre far credere tale. La regolarizzazione proposta dal governo all’approvazione del parlamento – parziale, temporanea, piena di falle e più interessata alle sorti dell’economia nazionale che ai diritti di chi lavora – può comunque consentire un avanzamento reale nel contrasto almeno degli aspetti più indecenti della situazione. Il Piano triennale approvato in febbraio dopo lunga concertazione tra istituzioni nazionali e locali, rappresentanti dei lavoratori e datori di lavoro del settore agricolo e alimentare e alcune organizzazioni del terzo settore non prevede solo interventi emergenziali ma, come nel caso del progetto Su.Pr.Eme – un’azione sistemica in cinque regioni del Sud Italia – consentirebbe perfino di sperimentare pratiche e modelli innovativi perfino nelle soluzioni abitative. Dovremmo riuscire a capire presto se tutto questo segnerà un vero cambiamento di rotta, non solo nel recidere senza compromessi e in modo definitivo i legami con lo sfruttamento senza limiti e nell’emersione di un bel po’ del lavoro nero più abietto che c’è in Italia, ma nel riconoscimento vero della dignità delle persone come ricchezza non solo economica da parte delle società dei territori in cui si svolge. Dipenderà dalla volontà politica e non solo da quella espressa nelle norme e nei regolamenti delle istituzioni. Anche la molto elogiata solidarietà che ha commosso e fatto inorgoglire tanti italiani al momento dell’affacciarsi ai balconi nella fase più tremenda della diffusione del virus ha un’occasione imperdibile per riconoscersi e farsi ascoltare (redazione di Comune)
Dal dossier Fare comunità. La pandemia e i migranti
Articoli di Andrea Staid, Annamaria Rivera, Daniele Moschetti, Roberta Ferruti, Caterina Amicucci, Chiara Marchetti, Manuela Vinay, Gianfranco Schiavone, Fulvio Vassallo, Sara Maar, Mauro Armanino, collettivo Malgré Tout
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Il decreto legge 119/2018 ha istituito il ”Tavolo operativo per la definizione di una nuova strategia di contrasto al caporalato e allo sfruttamento lavorativo in agricoltura”, presieduto dal Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali e composto da rappresentanti dei Ministeri dell’Interno, della Giustizia, delle Politiche agricole alimentari forestali e del turismo e delle Infrastrutture e dei Trasporti, oltre che da Anpal, Ispettorato nazionale del Lavoro, Inps, Comando Carabinieri per la tutela del Lavoro, Guardia di Finanza, e rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome di Trento e Bolzano e dell’Anci. Lo scorso 20 febbraio è stato approvato dal Tavolo il “Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato (2020-2022)”. Si tratta di una strategia nazionale messa a punto attraverso un lavoro di concertazione durato più di un anno tra istituzioni nazionali e locali, rappresentanti dei lavoratori e datori di lavoro del settore agricolo e alimentare ed alcune organizzazioni del terzo settore.
Il Piano prevede interventi emergenziali e interventi di sistema di lungo periodo, su 4 assi strategici: prevenzione, vigilanza e contrasto, protezione e assistenza, reintegrazione socio-lavorativa e indica dieci azioni prioritarie tra le quali soluzioni abitative dignitose per i lavoratori migranti stagionali, l’istituzione di una rete del lavoro agricolo di qualità con relativa certificazione dei prodotti e l’attivazione di sistemi di trasporto il cui monopolio è uno dei tratti cruciali del fenomeno del caporalato.
La Direzione Generale Immigrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha messo a disposizione un portfolio di interventi di circa 88 milioni di euro per l’implementazione del piano con particolare riferimento a cittadini dei Peasi Terzi. Le risorse assegnate provengono da dotazioni del Programma Operativo Nazionale “inclusione” co-finanziato dal Fondo Sociale Europeo, dal Fondo Asilo e Migrazioni (FAMI) e dal Fondo nazionale per le politiche migratorie.
Tra gli interventi in esecuzione assume particolare rilievo il progetto Su.Pr.Eme. Si tratta di un’azione sistemica in cinque regioni del Sud Italia (Puglia, Campania, Sicilia, Basilicata, Calabria) finanziata dalla Commissione Europea con i fondi di emergenza del FAMI e finalizzata ad intervenire con urgenza sulle condizioni di vita e sfruttamento dei lavoratori migranti in agricoltura. Il progetto, guidato dal Ministero e coordinato dalla Regione Puglia, vede anche la partecipazione dell’Organizzazione Internazionale Migrazioni e dell’ Ispettorato Nazionale del Lavoro per quanto riguarda il rafforzamento dell’attività ispettiva finalizzata all’emersione del lavoro nero e del Consorzio Nova quale partner tecnico.
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Negli ultimi due mesi il progetto si è focalizzato soprattutto sugli interventi sanitari già previsti che sono stati orientati allo screening e al monitoraggio sanitario per la prevenzione del contagio da Covid-19, attraverso l’attivazione di unità mediche mobili in collaborazione con ONG ed enti del Terzo Settore presenti sui diversi territori quali Medu, Intersos, Cuamm, Solidaunia, Coopisa.
Ma il progetto offre soprattuto un’importante opportunità per superare in tempi brevi l’indegno sistema dei ghetti e delle baraccopoli in quanto prevede azioni di riorganizzazione dell’accoglienza dei lavoratori stagionali basate sul recupero di edifici demaniali da adibire a foresterie, il sostegno a percorsi individuali di autonomia abitativa e progetti pilota di agricoltura sociale residenziale.
In Puglia è già entrata in funzione la foresteria di “Casa Sankara” e durante l’emergenza Covid-19 duecentosessanta migranti vi sono stati trasferiti d’urgenza. Si tratta di un’azienda agricola di proprietà regionale in località Fortore in Agro di San Severo che è stata assegnata all’associazione Ghetto Out per la gestione dell’accoglienza dei lavoratori stagionali e dei servizi alla persona presso spazi attrezzati appositamente allestiti e per la promozione di attività agricole sostenibili e socialmente responsabili.
In Calabria è stato da poco lanciato un avviso pubblico dell’ammontare di 3,5 milioni di Euro finalizzato alla raccolta di proposte sviluppate in co-progettazione tra i Comuni della Piana di Gioia Tauro e di Sibari e gli enti del Terzo settore del territorio per un piano integrato di interventi che includa il recupero e la rifunzionalizzazione in chiave di housing sociale di edifici demaniali o beni confiscati, la promozione di sistemi diffusi di accoglienza, l’erogazione di incentivi per il sostegno all’abitare, l’attivazione di servizi di trasporto e di altre iniziative di carattere socio-sanitario. Un bando che offre la possibilità non solo di superare i ghetti e le baraccopoli ma di farlo sperimentando sistemi innovativi di accoglienza.
Come anche i dieci progetti pilota di agricoltura sociale da sviluppare su terre di proprietà demaniale previsti da Su.Pr.Eme, sulla scorta dell’esperienza già attivata in Puglia, consentirebbero di creare dei modelli socio-economici da replicare ed esportare.
Senza dubbio il Piano Triennale ed i relativi interventi finanziati offrono un’importante opportunità per superare una situazione che non è degna di un paese civile, non limitandosi solo a migliorare le condizioni di vita dei migranti impiegati in agricoltura ma anche sperimentando pratiche e modelli innovativi. Ora è compito di tutti gli attori coinvolti attivare le collaborazioni ed i processi necessari a rendere concreto questo impegno.
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