di Bartolo Mancuso*
Ecco la mia tesi. Gli spazi sociali occupati sono la garanzia di un offerta culturale a Roma, in una città alla ricerca di identità.
Vivo a Roma da dieci anni. La mia memoria diretta è limitata per questo oltre che per la mia età. Ho 35 anni. Dico quello che ho capito.
I cittadini a Roma posso usufruire di cultura a correnti alternate. È la grande ricchezza e vivacità che esiste in questa città deve stare in balia degli umori della politica.
Negli anni ’60 e ’70 Roma era una città dal punta di vista culturale, sorniona, forse soffocata dal peso dei millenni, che conobbe una scossa con l’estate romana di Nicolini (la prima fu nel ’77, con Nicolini assessore alla cultura, ndr). Come ricorda Sandro Medici in un suo bello scritto “Roma bella m’appare”, per la prima volta un’amministrazione locale si preoccupa di promuove una atmosfera culturale.
È poi arrivarono gli anni ‘ 80.
Negli anni ’90 e primi anni 2000 le amministrazioni di centro-sinistra ridanno fiato alla questione. Veltroni punta molto sulla cultura, inventa la notte bianca, i grandi concerti ecc.
Dal mondo dell’ autogestione sono venute tante giuste critiche a quella politica fatta di grandi eventi e precarietà lavorativa. Ma qui mi preme sottolineare un altro aspetto.
Nel 2008 Veltroni si stufa di fare il sindaco, vuole fare carriera nazionale, e arriva Alemanno. Di nuovo la ruota gira, assistiamo ad un buco nero di cinque anni, di nuovo le strade della Cultura e del governo di Roma si divaricano.
Adesso c’è Marino. Vedremo, speriamo.
Ed ecco il punto.
Alla incertezza della politica si contrappone dalle fine degli anni ’80 la garanzia e la costante degli spazi sociali occupati e autogestiti, che ininterrottamente producono cultura, socialità, linguaggi. La cultura fatta dal basso è un diritto fondamentale che resiste allo spoil sistem.
La classe politica tentenna. Noi abbiamo scelto e la città può contare su di noi.
La classe politica è alle prese con spending review, fiscal compact e costi della politica che non si tagliano mai. I privati quando fanno la cultura, non la fanno per le tasche della gente normale. E in questo quadro o diritti si creano dal basso o niente.
E adesso arrivo alla pubblicità. Scup è giovane ma ci stiamo impegnando ad essere un altro tassello di questo “servizio pubblico garantito” che è l’offerta culturale degli spazi occupati romani.
E lo facciamo le quello che siamo. Sport e cultura popolare.
Sport: intanto la nostra palestra rimane aperta con dieci corsi attivi. E poi sport all’aperto Basket e Tango. Si il tango è sport, per noi sport è benessere. Quindi più sport di così? Grazie al criminale tango, che gira per tanti spazi e veicola una grande cosa. Poi musica e, siamo onorati di presentare, il nostro cineforum organizzato assieme al Cinema America occupato. Solo due anni fa, i cittadini di Trastevere e San Giovanni, facevano i conti con due posti chiusi preda della speculazione. Ora hanno due spazi che aumentano il benessere di questi quartieri. Posti sotto sgombero, ricordartelo.
Chiude il Cinema a piazza Vittorio e apriamo noi. Spazi aperti che offrono servizi.
Siete tutti invitati.
Per scaricare il programma delle iniziative a Scup vedi qui
Bartolo Mancuso è nato a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) e vive da diversi anni a Roma. Avvocato, ma soprattutto operatore sociale, ha molte battaglie con il movimento per il diritto all’abitare romano Action alla spalle. Dice che con Seattle e Genova si è “scoperto dentro un sogno collettivo”. Bartolo vive con Erminia e Delia, la loro figlia, in una occupazione. Il 12 maggio del 2012, insieme a un gruppo di istruttori sportivi e operatori dei servizi culturali ha partecipato alla occupazione di uno stabile abbandonato nel quartiere di San Giovanni. Da allora Scup (che sta per “Sport e cultura popolare”) è una delle più vivaci e inedite occupazioni della città. Scrive ogni tanto su un blog dell’huffingtonpost.it, ma collabora soprattutto con Comune-info e Dinamopress.
Ciao Bartolo, sei proprio sicuro che Roma negli anni 60 e 70 fosse una città sorniona? Se così fosse stato, credimi, non ci sarebbe stata l’estate romana. Renato Nicolini riuscì ad inventarla, e in questo fu grande, basandosi proprio sulle “sperimentazioni” e il molto che nei venti anni precedenti era accaduto. Per giunta senza aspettare che fossero le istituzioni a farlo. Anzi contro. Non c’è forse dietro l’esperienza teatrale e dei festival nicoliniani la stagione delle cantine, il lavoro di Gian Maria Volontè e Giacomo Piperno, Carmelo Bene, Perilli e Aglioti, Carla Gravina Simone Carella, Carlo Cecchi, il gran teatro, Silvio Agosti. Non c’era stata forse la stagione dei Novelli, dei Perilli, dei Sacripanti, le grandi mostre tra cui quella indimenticabile su Michelangelo e ancora: le lezioni di Brandi, Garroni, Quaroni, Ferrarotti, e Palma Bucarelli?
E poi…. c’eravamo noi, quelli che stavamo diventando grandi incontrando prima: le lotte del 63 (in cui proprio Renato si formò) e il 1968/1969. Glisso sulla politica, ma ti ricordo, per la musica, il Folkstudio, lo Zanzibar, un tale Francesco DeGregori… Anche per questo il libretto di Sandro che citi non mi piace perché lui a Roma c’era e non capisco come abbia fatto a scordarsi di tutto questo del fatto che e a Roma c’era, ancora, la meravigliosa Cinecittà. E c’erano i poeti: Bertolucci, Caproni, Penna, Zeichen e l’immensa Elsa Morante.
Tutto questo, e molto altro, costruì uno straordinario immaginario che tutto è stato meno che elemento di sospensione e noia anche perché, ancora scusa, c’erano le meravigliose visioni di Franco Angeli, Mario Schifano, Tano Festa e TanoD’amico, Lotta continua, Potere Operaio, il manifesto e dopo i centri sociali (dove per inciso ci siamo conosciuti)… Insomma a Roma il deserto non c’è mai stato. C’è stato invece, come è avvenuto con Alemanno e perché no? con Veltroni, il tentativo di non riconoscere queste forme di autorganizzazione culturale e di sopprimerle. Ti chiedi che farà ora Marino? staremo a vedere , hai ragione; ma credimi il Palazzo, il Valle, Scup, solo per dire i primi che mi vengono in mente, mi pare che ci offrano un ottimo punto di osservazione.
Caro Antonello,
anzitutto grazie per aver risposto in maniera stimolante alla mia riflessione. Effettivamente, no, non sono per niente sicuro che la Roma dei ’60 e ’70 fosse sorniona. Mi sembra di aver colto questo tratto in alcuni racconti di compagni che hanno vissuto per quel periodo. Ma la tua obiezione è molto calzante. Nicolini ha favorito la cultura, non l’ha creata. Mi piace molto quello che dici, anzi mi conforta. E’ una conferma che anche nel passato il meglio veniva “dal basso”. Ho la sensazione che questa città che mi ha adottato, si faccia troppo raccontare da chi la vede dai balconi, da chi la vuole disegnare a propria somiglianza, la voglia per forza una “città di breve periodo”.
Dopodiché, credo che proprio confronti come questo che stiamo avendo siano molto fecondi per costurire il senso di questa “città sospesa”.
Grazie ancora.