Mentre un racconto a fumetti dell’illustratrice Rita Petruccioli – dedicato a cinque spazi culturali e sociali che in Italia propongono punti di vista dell’universo femminista sul territorio – finisce tra i padiglioni della Biennale di Venezia, la Rete dei lavoratori e della lavoratrici dello spettacolo dal vivo e della cultura, tessuta a Roma dopo il primo lockdown, raccoglie su AmMappa! il racconto di trentacinque realtà sociali e culturali romane, offrendo così un’idea precisa del peso e della complessità di quel pensiero laterale sul territorio sempre più presente nei piani bassi della città

“Siamo molto orgogliose e felici di essere alla Biennale di Venezia nel Padiglione Italia Resilient Communities_Venezia grazie ad ActionAid Italia e soprattutto alla nostra grande amica e compagna Rita Petruccioli”. È l’annuncio che arriva dalla pagina Fb di LuchaySiesta, spazio di autodeterminazione delle donne che da più di undici anni lavora contro ogni discriminazione di genere.
Sisterhood in the Neighborhood. Detoxing Public Space From Patriarchy è il racconto a fumetti dell’illustratrice Rita Petruccioli esposto alla Biennale; narra di cinque realtà italiane che propongono visioni alternative del potere, delle relazioni e delle comunità, costruendo spazi di partecipazione, inclusione e cittadinanza attiva e costituendo un’alternativa femminista sul territorio.
Dimostrando così che il linguaggio artistico, trasversale, sfugge alle maglie della politica del potere e da Cinecittà porta LuchaySiesta a una kermesse planetaria, riconosciuta nel senso più stretto, ovvero accettata – e apprezzata – in tutta la sua legittimità. Sorprendente quanto la parabola di questo spazio dentro quelle maglie: una palazzina dell’Atac occupata che undici anni dopo l’azienda in dissesto decide di mettere sul mercato per raccontarsi di recuperare una gestione dissennata, e in men che non si dica le donne sono fuori. Sono fuori le operatrici, fuori le donne accolte coi loro bambini per essere al sicuro, fuori psicologhe e avvocate mentre stanno lavorando per costruire con loro un percorso di fuoriuscita dalla violenza. E fuori le insegnanti, le artigiane, lì per insegnare loro un mestiere nel laboratorio di sartoria, o in cucina, o l’italiano se sono straniere. Lavoro e cultura, le chance di autonomia che affiancano quel percorso. E fuori le formatrici, che le aiutano a riconoscere se stesse liberando la loro espressività con il teatro, la musica, il canto nei laboratori tenuti settimanalmente.
Un impegno incessante che non conosce orari, come succede quando in gioco ci sono passione e amore generosità accompagnati dalla convinzione che sia imprescindibile tradurre nelle proprie pratiche un diverso sistema di vita. Che perciò non conosce resa, di fronte alla logica cinica del facile profitto e di fronte alla latitanza del Comune, – sorprendentemente rappresentato da una donna – sordo a qualsiasi richiamo e nonostante la crescente penuria di centri antiviolenza pubblici. Alle cifre inarrivabili che Atac propone per comprare quello spazio rispondono inventando riffe, album di figurine, aste che neanche Sotheby’s, ma niente, la logica del profitto non si batte sullo stesso piano, lo può solo un cambio di paradigma.
Lo sanno bene le compagne di LuchaySiesta, come lo sanno le tante e i tanti che fanno vivere i tanti spazi occupati a Roma. Perché questa storia, seppure con diverse specificità, è la storia di tutti gli spazi romani.

La Rete de_ lavorat_ dello spettacolo dal vivo e della cultura, tessuta a Roma dal primo lockdown per far convergere percorsi diversi in obiettivi comuni, ha perciò realizzato un’“AmMappa!” di quegli spazi per farsi un’idea precisa del peso di quel pensiero laterale nel territorio della città. E l’ha presentata ufficialmente giusto nel corso di un’altra occupazione, quella del Globe Theatre, in apertura di un’agorà cittadina lanciata per dare voce prima di tutto a chi in quegli spazi produce cultura, welfare, mutuo-aiuto, benessere, in una parola: alternativa.
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E sono tanti: trentacinque quelli finora censiti, sparsi in tutti i municipi, di cui quattordici occupati, di proprietà pubbliche e private, con storie diverse e quindi un iter diverso per arrivare ad una possibile assegnazione. Cosa che purtroppo è anche contraddetta con la forza: il Cinema Palazzo e L’Ex Lavanderia, il Padiglione 31 del S. Maria della Pietà, sono gli ultimi spazi sgomberati e ora letteralmente presidiati dalle forze dell’ordine. Ma anche in questi casi non si parla di resa: tutta la cultura prodotta, la dimensione di comunità costruita, le idee di cui sono stati incubatori, le residenze, gli spettacoli teatrali realizzati, le elaborazioni musicali, le arti visive prodotte, le installazioni, per non parlare anche qui dell’aiuto messo in moto in particolare durante la pandemia, in collaborazione con Nonna Roma, per la distribuzione di pacchi alimentari, vestiti, materiale scolastico e device per bambine e bambini in difficoltà con la dad.
Proprietà diverse, diverso il filo da torcere, ma stessi percorsi e stessi obiettivi. Cosa che vale anche per chi è a rischio sgombero, come ScUP, in via della Stazione Tuscolana, tra le altre cose anche l’offerta di una palestra popolare, e poi Esc e Angelo Mai, da San Lorenzo a Caracalla, ancora nella corsa a ostacoli dell’assegnazione definitiva, altri due spazi di produzione culturale e artistica, luoghi di socialità ed elaborazione comune, che hanno dato vita anche a servizi capaci di segnare nuovi percorsi. Le CLAP, camere del lavoro autonomo e precario, nuova forma sindacale capace di rispondere al mondo del lavoro precarizzato contro lo storico ritardo dei sindacati confederali, sono nate ad Esc dove hanno uno sportello, e ancora “Escamotage”, offerta dello spazio per studiare a chi non sa dove andare, e anche qui la spesa sospesa e lo sportello solidale.
Perché è inutile dire, dovunque si spalanchi uno spazio si spalanca la mente, si ricongiunge a corpo e cuore, e la creatività diventa esponenziale, e si fa artistica, solidale, e indomabile. Questo accade in tutti gli spazi finora censiti dall’AmMappa!, in tutti i municipi romani. Il III: Astra e LabPuzzle al Tufello e Brancaleone a Montesacro; il IV: Spazio Donna e Centro popolare a Testa Alta a San Basilio, Csa La Torre, zona Viale Kant; il V: Pigneto, Fivizzano27, luogo di residenza per artiste e artisti gestito in forma mutualistica, la libreria Tuba, Fanfulla Sparwasser, Forte Prenestino, Casale Garibaldi all’Alessandrino; il VII: Tuscolano-San Giovanni, 30formiche pianeta sonoro e SpinTime; l’VIII: Tormarancia, Ass. Parco della Torre, Ostiense, Acrobax e Scuola Volontè e Garbatella, Casetta Rossa, Csoa La Strada con la Scuola Popolare Pietro Bruno e Roma Art Factory; l’XI, Trullo, Ex Scuola Baccelli e Csa Macchia Rossa; il XIV: Ex Lavanderia, Pentalpha. Ma AmMappa! comprende anche i teatri pubblici che tentano strade diverse nella gestione economica e sociale. Il Teatro del Lido ne è uno storico esempio, a cominciare proprio dal fatto che è nato come un’occupazione e che ha combattuto una battaglia di anni, sgomberi inclusi, per arrivare all’assegnazione e alla gestione partecipata che ha oggi, con trenta associazioni del territorio nella gestione della programmazione. Ma anche il Teatro India, raro esempio di distribuzione di FUS e fondi Covid alle compagnie per le residenze durante il lockdown, a differenza della maggior parte dei teatri nazionali in tutto il paese che l’hanno intascato rimanendo chiusi, senza garantire neanche il lavoro ai propri dipendenti (vedi il puntuale articolo di Anna Bandettini L’insostenibile leggerezza dei fondi Covid ai teatri).
Per questo fra i tavoli nati durante l’occupazione del Globe ce n’è uno dedicato: perché gli spazi pubblici sono un bene comune che solo percorsi condivisi e partecipati come quelli raccontati sanno presidiare e alimentare, e per questo la piattaforma presentata a Franceschini e Orlando fra i punti mette l’assegnazione degli spazi e la redistribuzione dei fondi pubblici nell’ottica del definitivo riconoscimento di questi spazi. Una questione cruciale tanto quanto glissata dal governo: nel ddl a firma della maggioranza depositato il 15 marzo scorso, “Disposizioni sul riconoscimento della figura professionale dell’artista e sul settore creativo”, altrimenti detto “Statuto delle Arti”. Un testo che ignora completamente il tema degli spazi e la redistribuzione dei fondi, prima di tutti il FUS. Se aggiungiamo che i fondi previsti per la cultura nell’ambito del piano nazionale di ripresa e resilienza (PnRR) con lo scorporo del turismo si sono ridotti da 8,3 miliardi a 5,6 scendendo allo 0,2 per cento del Pil, quando ne produce il 17 per cento, muovendo 250 miliardi (fonte “Il sole 24 ore”) si capisce quanta poca intenzione ci sia di affrontare il problema alla radice.
Ma il fronte governativo non è il solo a dover essere affrontato, anche enti di prossimità come Regione e Comune devono fare i conti con un territorio da loro amministrato ma tenuto vivo da chi lo abita. La Regione Lazio dà segnali di disponibilità in questa direzione con il percorso aperto proprio con LuchaySiesta, mentre continua ad essere sorda davanti alla questione posta dai cittadini anche con una pdl regionale di iniziativa popolare mai discussa dal 2014, sulla trasformazione in polo culturale del S. Maria della Pietà, tanto da lasciare che si arrivasse allo sgombero dell’Ex-Lavanderia lo scorso febbraio. E il Comune fa il paio, trincerato dietro un’idea di legalità che non fa i conti con la legittimità di chi inventa un sistema di cultura e welfare proprio colmando la sua latitanza e inventandoselo con niente, dove niente è il denaro, perché il tempo, l’impegno e la condivisione sono la vera ricchezza.
Eppure nel 2015 con l’iniziativa “DeLiberiamo Roma” era stata presentata fra le altre una delibera comunale di iniziativa popolare per l’uso sociale del patrimonio immobiliare abbandonato. Un ottimo modo per l’amministrazione comunale di offrire e ricevere ricchezza: impedirne il degrado permettendone una nuova vita, con un ritorno di qualità attraverso la produzione di ricchezza, condivisione, comunità. La domanda (retorica) che tutti devono farsi quindi è: come mai si preferisce consegnarsi in mano ai privati, debellare servizi pubblici per averne pochi e inefficienti, lasciare Roma nella desolazione per di più aumentando il debito, piuttosto che dar vita a quella che gli inglesi chiamano “win win situation”?
Domanda che naturalmente va girata anche al governo, dato che la logica è la stessa. Nel frattempo il “Tavolo spazi e redistribuzione fondi pubblici” della Rete, unificando questioni che riguardano tutt_, non solo le/gli artist_ – salvo alcune specificità, ha messo in fila i seguenti punti da presentare alle Istituzioni:
- Riconoscimento dei luoghi indipendenti come risorsa e ricchezza per i territori in cui sono e in cui creano comunità. Indipendenza non deve voler dire illegalità.
- Responsabilità dei teatri nazionali, dei tric (teatri di rilevante interesse culturale, ndr) e di tutte le strutture che percepiscono fondi pubblici nei confronti dei territori e delle comunità che li ospitano in termini di sostenibilità e riutilizzo di attrezzature, scenografie, costumi, ma anche messa in rete di professionalità a disposizione dei piccoli spazi, delle compagnie.
- Riutilizzo degli spazi abbandonati, confiscati a scopo culturale e sociale con progetti ragionati e finanziati da fondi pubblici.
- “Osservatorio” costi/benefici, gestito con trasparenza e ricambio, che possa monitorare la spesa pubblica con indicatori qualitativi e non solo quantitativi utilizzabili anche come parametri di accesso agli stessi fondi: occupazione, circuitazione, ricaduta sociale e culturale nei territori, benessere e consapevolezza individuale e collettiva.
Alcuni parametri:
- rispetto e contrattualizzazione delle professionalità in tutte le assunzioni con coerenza della vocazione
- innovazione, originalità del progetto artistico, eccellenza dell’offerta culturale
- connessione alla ricerca artistica
- circuitazione delle produzioni
- ricaduta sulla comunità di riferimento, consapevolezza collettiva
- considerazione del deserto di comunità in cui si inserisce uno spazio culturale
- inclusività dei linguaggi e delle visioni
- incremento dei progetti di formazione e autoformazioni
- Monitoraggio/tutoraggio/servizio di accompagnamento all’attivazione di un soggetto culturale rispettandone la specificità (compagnia, spazio, atelier,…) che serva da sostegno economico per lo sviluppo delle idee e delle progettualità.
Manca il capitolo tempo che, parafrasando Einstein, è sicuramente questione di spazio. Ma nel ridisegno di un sistema “a misura d’Uomo” come si diceva una volta, non potrà mancare, perché significa qualità della vita. Sono i fondamentali, perciò, da qui, non si torna indietro.
Anna Maria Bruni, Spazio Libero-Teatro, Rete lavorat_ Spettacolo Cultura
Questo articolo è il frutto di un corso (intitolato Raccontare la società che cambia) dedicato ai temi della comunicazione sociale, promosso a Roma dalla redazione di Comune insieme all’ong Arcs.
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