Sono stato a Castelnuovo Berardenga (Siena) per la prima volta trent’anni fa o quasi. Eravamo in tre di una compagnia che resiste con piccoli cambiamenti del nome, ma ancora nel suo luogo di origine e con Francesca, la sua colonna portante: il TeatroArte del Montevaso. Quel giorno lo spettacolo era previsto per il pomeriggio, ma non stava arrivando nessuno spettatore. Poi ne è arrivato uno. Non un gruppetto, nemmeno una coppia, ma solo uno. E nemmeno italiano. Io non me lo ricordo bene, ma Matteo mi dice che era inglese.
Decidiamo che uno spettatore è il minimo indispensabile per fare teatro. Jerzy Grotowski diceva che per fare teatro basta un attore e uno spettatore. Lui c’era e noi eravamo addirittura in tre.
Lo abbiamo fatto sedere sul palco e gli abbiamo fatto lo spettacolo. Forse non è stato un evento memorabile per il teatro del novecento, ma io me lo ricordo ancora e mi fa stare bene pensare che lo abbiamo fatto.
E non per una sacralità del teatro alla quale non credo. Anzi penso che il teatro sia come un libro tascabile. Io i libri li leggo sul treno e in autobus, me li infilo nella tasca, li piego, sottolineo, ci prendo appunti. Ci segno anche indirizzi e numeri di telefono se serve e spesso ci appoggio sopra la tazzina del caffè. I libri vivono insieme a me. Vivono la mia stessa vita. Non fanno parte di nessun tempo fuori dal tempo, non stanno in nessun tabernacolo. Così penso il teatro.
Se lo spettatore riesce a trovare nel teatro qualcosa di prodigioso non è perché lo trova dentro al teatro, ma perché il prodigio sta tutto nel mondo e lui se n’è portato un pezzo da casa. Il teatro glielo indica e basta, glielo ricorda. Glielo fa tirare fuori.
«Portavo a spasso un cieco dalla nascita e raccontando a un cieco tutto quello che vedevo io, riuscivo a vedere tutto meglio». Questo, mi pare, scriveva Luigi di Ruscio, grande poeta.
Quel giorno di quasi trent’anni fa valeva la pena fare lo spettacolo davanti a uno spettatore. Anche se era straniero e chissà quante parole capiva.
Domenica scorsa sono tornato a Castelnuovo Berardenga. Il teatro era pieno e a pensarci bene il mio spettacolo non è tanto diverso da quello di trenta anni fa. Siamo ancora in tre. Io, Gianluca che suona e Andrea dietro al mixer. In tre che guidano il furgone, montano e smontano la scena.
Tre ciechi che raccontano quello che vedono cercando di «vedere tutto meglio».
Ascanio Celestini in queste settimane è in tournée teatrale per la sua ultima opera Rumba. L’asino e il bue del presepe di San Francesco nel parcheggio del supermercato
Paolo dice
???