In tempi di violenza e odio, la straordinaria lezione delle Commissione per la verità e la riconciliazione con cui il Sudafrica ribaltò la logica dell’apartheid prende forma anche in altre storie, come dimostrano Adriana e Agnese, la brigatista e la figlia di Moro. “Io – dice Agnese – non voglio continuare a rendere attivo il male nella mia vita, non voglio che abbia l’ultima parola… Le mie ferite oggi sono fiorite”. Appunti di un cammino di giustizia riparativa e di un incontro memorabile, nel quale “due donne si sfiorano le mani mentre parlano”, “ora si vogliono bene e si preoccupano di come stanno…”
In un luogo che amo molto – la Fraternità di Bose di Ostuni – domenica pomeriggio 13 ottobre si è tenuto un incontro di rara intensità sul tema “La riconciliazione”. Due donne lontane, segnate diversamente dal dolore, quello inflitto e quello subìto, che poi l’uno è anche l’altro e chi lo agisce contro gli altri lo subisce, e chi continua a subirlo, continua ad infliggerlo a se stesso. Due donne diverse, nel frattempo diventate anziane, ognuna con la propria prigione da cui liberarsi, oltre la condanna, la pena, la giustizia penale, il passato che non passa, che ritorna ogni giorno a rubarti l’oggi col suo copione immutabile. Adriana e Agnese. La brigatista e la figlia di Moro. Il loro lungo percorso di giustizia riparativa.
Adriana disarmata, che dalla giustizia ideale delle sue lotte, da quell’etica della convinzione che la portava a cercare il bene senza riflettere sul male che faceva, continua a cercare la giustizia in divenire per riparare l’oggi e il domani. Che sente che deve guardare il volto di Agnese, per leggere il dolore inferto, per vedere i segni delle proprie scelte fallimentari, che deve offrirsi ai rimproveri, agli schiaffoni, al suo disprezzo. Adriana che continua a sentirsi in debito, che sente l’etica della responsabilità, non solo del passato come senso di colpa, come incapacità politica e umana a non aver impedito una morte che non voleva, ma la responsabilità per il futuro, per come aver cura ed evitare percorsi di odio e di nemicità. Che chiude il cerchio della sua vita, ritorna al punto di partenza, da quell’ideale di giustizia sociale da cui era partita e che era franato, per le scelte sbagliate, come il costone di una montagna e non aveva lasciato che macerie, a questo percorso di riparazione su cui si può camminare, portando il proprio dolore e quello degli altri. La bellezza del sentirsi in debito, che non ti toglie nulla mentre dai, solo un po’ di peso, e diventa gratitudine.
Agnese che vuole liberarsi dal buio in cui una parte di sé continua a vivere e che la ruba ai suoi affetti, che vuole liberarsi dal ruolo della vittima, dalla dittatura del passato che le fa vivere ogni giorno l’attentato, la cattura del padre, la prigionia, l’abbandono, l’uccisione. Che non vuole essere come l’insetto nella goccia di ambra, bello esteticamente, ma morto fossilizzato chiuso nelle pareti del disprezzo, del rancore, dell’odio. Agnese che vuole urlare in faccia ai brigatisti perché non le hanno dato le lettere che suo padre aveva scritto ad ognuno di loro, e perché l’hanno ucciso. Che sa che quel percorso insieme a loro la porterà lontano dal punto in cui lei è, che sarà doloroso per sé e per i suoi cari, che scopre il volto dell’altro difficile, quello pensato sempre come mostro, e scoprirlo bello e umano. Che pensava che il dolore fosse solo il suo, assoluto, e sente quanto più devastante e terribile è quello dell’altra. Rimane l’irrimediabile, ma è il passato. Rimangono le ferite, ma “io – dice Agnese – non voglio continuare a rendere attivo il male nella mia vita, non voglio che abbia l’ultima parola… Le mie ferite oggi sono fiorite”.
“Avrei voluto conoscerlo, parlargli, scoprire chi era Aldo Moro” dice Adriana, mentre insieme ad Agnese nella casa di campagna, a Torrita Tiberina dove Moro è sepolto, si aggira tra le sue cose e sfiora i suoi libri.
Due donne vicine, che si sfiorano le mani mentre parlano, che ora si vogliono bene e si preoccupano di come stanno.
Incontro memorabile. Grazie
andrea perissi dice
Bellissima esperienza, anche solo il leggerla ti apre il cuore alla speranza. Grazie per avercene resi partecipi.