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di Bruno Tognolini*
Un gioco-esperiemento al Festival Tuttestorie
* RIME MIGRANTI *
Sabato 7 ottobre h 18, Cagliari, EXMA
È ora di rischiare un passo avanti, nei miei incontri di poesia con le scuole italiane.
Finora, da quasi trent’anni, ho detto ai bambini le mie filastrocche, e negli ultimi due o tre anni ho chiesto le loro. Chiedo le conte, le rime di gioco, le tiritere battimani, e anche altre solo da dire, senza giochi: quelle antiche imparate dai genitori e loro dai nonni, quelle non scritte, che si trasmettono dalla bocca all’orecchio senza passare per la carta.
Le chiedo, me le dicono, le registro con lo smartphone, e ora ne ho raccolto una bella scorta, di tre tipi:
1) filastrocche dei bambini in lingua italiana;
2) filastrocche dei bambini nei dialetti d’Italia; e poiché nelle scuole primarie italiane (soprattutto al nord) c’è il mondo…
3) filastrocche dei bambini nelle lingue del mondo.
Ecco, nell’incontro RIME MIGRANTI io vorrei *fare con un pubblico di bambini stranieri, coi loro genitori e con qualche italiano* ciò che faccio in genere *con un pubblico di bambini italiani, senza genitori (nelle scuole) e con qualche straniero* (qualche volta, nel nord Italia, con *molti* stranieri).
Cioè: dire ai bambini stranieri le rime mie, che mi invento e scrivo io; poi far sentire quelle di gioco dei bambini italiani, che si inventano loro ma non sono scritte; poi quelle nei dialetti italiani, che spesso non si capiscono neanche fra loro; poi quelle delle lingue migranti che ho raccolto in questi anni; e infine…
*BARATTO!*
Chiedere le loro, le rime dei bambini migranti. In baratto, in scambio. O come dono a me, che sono un Passatore, un contrabbandiere, un’ape: prendo e porto da fiore e fiore. Prendo le filastrocche dei bambini della Puglia e le faccio sentire ai bambini della Lombardia; prendo le filastrocche dei bambini italiani e le faccio sentire ai bambini migranti: e viceversa…
E magari, chissà, se viene fuori qualche bella conta africana, e se non è troppo lunga e difficile, possiamo provare a ripeterla tante volte tutti insieme, e impararla.
I bambini sono veloci nell’imparare e incamerare nei loro giochi nuove filastrocche, soprattutto se sono belle e utili (per le conte) e soprattutto *se si sentono sfidati* (i bambini sono veri sportivi), cioè se son difficili da dire. E perché, se hanno imparato una classica “Etica pelètica pelem-pem-pètica…” non dovrebbero imparare un’altra conta che suona strana, se suona bene?
E se funziona, se succede, ecco: è bello. Bello l’orgoglio d’essere stati noi stavolta i vettori virali, i portatori di strighe verbali migranti, i trafficanti di poesia.
E se un gruppo di bambini italiani in un cortile di scuola intoneranno nei loro giochi una conta africana, ecco: nulla sarà risolto, lo so bene, sarà solo un granello di sabbia nel deserto. Ma qualche granello bisogna pur provare a gettarlo, nel meccanismo ben oliato d’egoismo e miseria che intorno a noi, con umiliazione, stiamo vedendo scattare inarrestabile in quasi ogni area di pensiero, tritando idee di giustizia e dignità e diritti umani che erano nostre fino a ieri, vedi tappo dei migranti nei lager della Libia e rinuncia alla legge sullo Ius Soli… (a proposito di bambini e ius soli, qui un appello da firmare e far girare Insegnanti per la cittadinanza, ndr).
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