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A Teano, nel 2010, l’Italia delle tantissime esperienze di base – solidali, a tutela dei diritti, dell’ambiente, dei beni comuni – si incontrò per avviare la ricostruzione di un’unità del Paese che avesse il collante proprio in quelle esperienze, così profondamente in sintonia con i principi della nostra Costituzione antifascista. Il punto 2 della Carta stilata a conclusione dell’incontro afferma: «L’Italia che sogniamo e che vogliamo […] è l’Italia che accoglie il profugo, lo straniero perseguitato, disperato, costretto all’emigrazione da guerre e disastri ambientali, da un’economia globale escludente e punitiva con i più deboli. Un paese aperto al mondo, accogliente, multiculturale». A dare concretezza a tale affermazione, nonché all’articolo 10 della Costituzione, era stato quanto accaduto a Riace e a Caulonia, presentato a Teano dai rispettivi sindaci (Domenico Lucano e Ilario Ammendolia) e documentato dal bel film Il volo del regista Wim Wenders. Alla paura e al rinchiudersi in se stessi (l’egoismo contrapposto alla politica, quella vera, secondo la felice definizione di don Milani e dei ragazzi della Scuola di Barbiana) si era sostituita, in quei paesi della Calabria, la coscienza che insieme è possibile lottare, incidere, cambiare lo stato delle cose esistente. E ciò risultava particolarmente vero riguardo ai temi dell’accoglienza, dell’inserimento sociale, dell’inclusione.
Negli anni successivi sono prevalse in questo campo, in larga parte del Paese, paura e ansie securitarie che hanno alimentato le politiche nei confronti dei/delle migranti, dei/delle richiedenti asilo, dei/delle profughi/e. Non solo nei provvedimenti del Governo, ispirati dal razzismo della Lega (punta avanzata di un sentire più diffuso) e dei post-fascisti, ma anche nelle misure adottate a livello locale (le ordinanze dei sindaci e gli atti discriminatori adottati dai Comuni) e nel diffondersi di atteggiamenti ostili verso gli stranieri a livello popolare. Vi sono stati atti in controtendenza, ma la sicurezza è da tempo la preoccupazione dominante, che influenza e condiziona anche chi, a livello istituzionale, si propone politiche di accoglienza.
Oggi il circolo vizioso paura / richiesta di maggiore sicurezza / aumento della paura e delle misure sicuritarie ha raggiunto il suo apice, con le dichiarazioni e gli atti governativi contro le ONG che salvano vite umane in mare, con il divieto di dare la residenza nei comuni ai/alle richiedenti asilo, con i respingimenti di coloro che fuggono da situazioni di guerra, di ambienti invivibili, di estrema povertà. È urgente andare in un’altra direzione, partendo dalle comunità locali e sulla base di altri presupposti, essenzialmente i diritti delle persone, la loro realtà di esseri umani, le iniziative che favoriscono l’inclusione e la convivenza: non bastano al riguardo le enunciazioni, ma occorre un impegno notevole, nello sforzo di impostare e realizzare progetti concreti e nel dare voce a chi non è rappresentato. Ciò che occorre, in altri termini, non è un generico buonismo ma un insieme di provvedimenti, di progetti, di misure, di interventi politico-culturali volti ad affermare diritti, a promuovere pari opportunità, a sostenere rapporti di convivenza, a creare un clima – sociale, culturale, politico – diverso.
Dalle esperienze di Riace e Caulonia, paesi rivitalizzati (finché gli attacchi del Governo e della magistratura non lo hanno impedito) dalla presenza dei migranti, possono venire indicazioni valide anche per altre situazioni. Particolarmente importante è il fatto che in quanto è stato costruito in quelle realtà si sono intrecciati aspetti diversi: la tutela dell’ambiente, la cura di zone agricole e boschive, il restauro e la ristrutturazione di agglomerati in via di abbandono, il recupero di mestieri tradizionali, lo sviluppo di percorsi che, attraverso il confronto, hanno coinvolto insieme nativi e migranti. Non si è trattato, quindi, di interventi di pura accoglienza, assistenziali e destinati a concludersi in periodi più o meno brevi, ma di progetti complessivi che impegnano l’ente locale e l’intera comunità (e che proseguono nel tempo). Qualche piccolo esempio di un simile modo di procedere lo abbiamo anche, seppure più limitato, in altre realtà. È necessario però andare oltre e far sì che, di fronte all’arrivo ricorrente di profughi e richiedenti asilo, non vi sia indifferenza istituzionale, se non addirittura un’ostilità (spesso si è proceduto allo sgombero da un territorio comunale all’altro di quelle/i che vengono considerati “esuberi” rispetto alle presunte capacità di accoglienza della propria realtà comunale). A Firenze, ad esempio, a dare un tetto a profughi e richiedenti asilo, in prevalenza somali ed eritrei, è stata per un lungo periodo l’iniziativa “privata” del Movimento di Lotta Popolare per la Casa.
L’obiettivo che ci si deve porre – istituzioni e società civile attiva insieme – è quello di giungere a sistemi in grado di fornire a coloro che ne hanno bisogno – siano essi richiedenti asilo, profughi, Rom scacciati da un territorio a un altro, persone rimaste comunque prive di abitazione in seguito a calamità naturali o altro – una prima accoglienza per passare poi a processi di inclusione sulla base di progetti integrati, che prendano anche spunto dalle esperienze calabresi, dove è stato dimostrato che è possibile amministrare “restando umani”, con percorsi che mettono insieme enti locali, associazionismo e società civile attiva, “saperi” prodotti dalle realtà sociali e di movimento, dai luoghi di studio e di ricerca, da singole competenze, in diversi settori che devono interagire fra di loro.
Mimmo Lucano, sindaco di Riace al tempo delle esperienze solidali richiamate, è stato ingiustamente inquisito, con accuse assurde e una condanna in primo grado a quattordici anni di detenzione. Oggi quella persecuzione giudiziaria sembra venuta meno, ma gli ostacoli all’accoglienza e all’inclusione dei/delle migranti continuano. Con l’attuale Governo, accogliere, includere, convivere è sempre più difficile. Ma anche tanto più urgente e necessario.
Pubblicato su Volere la luna
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