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di Valentina Guastini*, maestra in una scuola della provincia di Genova
Qualche giorno fa ho ricevuto questo scritto arrivato da Pamela, con la quale ho condiviso i miei studi di scuola superiore, perdendola poi per troppo tempo, e mi sono commossa.
«Quando Valentina mi ha parlato per la prima volta della Rete di Cooperazione Educativa è stato tale il suo entusiasmo che ha contagiato anche me. La parola che più mi ha colpita è “rete”, ho subito pensato a quella dei trapezisti, che permette di fare evoluzioni, voli ed acrobazie con la certezza di non cadere rovinosamente a terra in caso di errore, ma di avere molte mani intrecciate che ti sorreggono e ti guidano. Rete è un termine che, visto in un’ottica moderna, ingloba il vasto mondo del web, dei social, che ci permettono di essere sempre interconnessi, in un proficuo scambio di idee, opinioni e suggerimenti. Questo mi porta subito alla mente “La testa ben fatta” di Edgar Morin, dove si focalizza la sfida, in cui la rete serve per confrontarsi, sulla globalità, la multidimensione, la polidisciplinarità.
La sfida della globalità si evince anche dal titolo dell’incontro di quest’anno della Rete, “La Terra dell’educazione. Seminare il futuro”, dove la semina si ancora a un passato fortemente locale e contadino, proiettato però in un futuro dove la semina diventa simbolicamente di saperi interconnessi nelle giovani menti. Tutto ciò in un’ottica di recupero del rapporto con la “Madre Terra”, in una didattica del fare più che del dire, dell’esperienza più che della lettura di nozioni su un testo, qui nasce la testa ben fatta più che la testa ben piena…
Il percorso si articola in stanze educative, studiate per permettere al bambino di toccare, sperimentare, “sporcarsi le mani” insomma, cosa diventata assai rara, specie nelle realtà metropolitane. Io in particolare ho scelto di seguire la stanza “La città degli asini”. La mia è stata una scelta di cuore, sono infatti convinta che gli animali possiedano la stessa levità e purezza dei bambini, dunque dal loro incontro non potranno nascere che impulsi positivi. Per molti il rapporto con gli animali si riduce al cane o al gatto di casa, per questo urge far conoscere loro altri animali, calati nella loro realtà, saranno fonte di infinito stupore. Ho poi scelto la stanza “Giardini per crescere”, perché credo fortemente nell’influenza dello spazio che ci circonda verso il nostro modo di educare e crescere. Il giardino può essere considerato un ritaglio di natura a misura di bambino, utile per chi con la natura ha poco contatto.
Questo si propone la Rete: riflettere su un presente sempre più lontano dai ritmi naturali, su un futuro proiettato in accelerazione esponenziale che ci rende avulsi dalle nostre origini. In un ideale cerchio della vita ci ricongiungiamo con il nostro intimo naturale, sentiamo la necessità impellente di riappropriarci di una dimensione più paziente, più calma e riflessiva, seguire i ritmi lenti di un seme che si pianta, germoglia, cresce e dà buoni frutti solo con il tempo, la pazienza e la cura. Ecco, si, la cura… parola spesso sottovalutata ma cruciale, senza la quale nulla nasce e cresce; si rende quindi necessario educare alla cura, di sé, degli altri, del mondo tutto, una cura amorevole e lenta, rispettosa e attenta, che produrrà frutti buoni, saporiti e durevoli…».
Sarà perché ultimamente sto maturando “un pensiero a sentieri” dal momento che
le strade senza imperfezioni non mi appartengono. Recentemente ho partecipato ad un seminario tenuto da Paolo Mottana sulla Controeducazione e lì mi sono convinta di qualcosa che già maturava dentro di me, ma che ancora non aveva un nome. Sono una persona piena di “pieghe” che per lavoro “spiega”. Ho deciso con convinzione che stirare tutto il possibile è la forma più errata di insegnare.
Non abbiamo classi perfette composte da maestri e studenti dorati, il tempo ci mette alla prova, le richieste del mondo sfiancano. La polvere sottile che voglio cogliere negli occhi di chi da me vuole spiegazioni è anche la capacità di non darne. È la raffinatezza dell’irrisolvibile, la ricerca di esperienze inspiegabili. È l’assoluta onestà intellettuale di insegnare che nelle pieghe del mondo esiste la verità. Che attraverso quelle pieghe ci appartiene la Terra, che nelle ombre che creano è nascosta l’essenza delle cose.
Quello che voglio spiegare non è “stirato” dalle pieghe, ma le analizza, le apprezza, le ascolta. Ho maturato l’idea che il cuore di queste pieghe alberghi nelle origini, in quanto di buono possiamo scorgere quando chiudiamo gli occhi, nella solitudine di un pensiero, nella musica che ascoltiamo, nei momenti leggeri in cui seguiamo un profilo. E allora non voglio conformarmi all’idea che se mia figlia ama abbracciare gli alberi dovrò rinchiuderla in qualche sigla patologica. Non voglio che Claudio possa sentirsi bisognoso di un piano educativo personalizzato se cammina facendo attenzione a non calpestare le margherite; nei suoi movimenti goffi ritrovo quella polvere sottile fra le dita, quella cura di cui parlava Pamela. E nel ragionare di questo a volte tornano in mente i nonni, il lavoro della terra, il rispetto per la natura. Ed è un ricordo triste perché ha il sapore di qualcosa che abbiamo lasciato andare. Ma questo è solo quello che sembra in un ragionamento “stirato”. Io, invece, tra quelle pieghe trovo ancora una fiamma. La fiamma che a occhi chiusi non ci fa solo ricordare, ma sognare. Sognare di migliorare, di tornare. È quella calda sensazione di ristoro, di speranza che non ancora tutto sia andato, la piacevole sensazione di esserci lasciati una porta aperta.
Il VI incontro della Rete di Cooperazione Educativa dal titolo “La Terra dell’Educazione: seminare il futuro”, che si svolgerà a Negrar (Verona) il 22 e 23 ottobre prossimo è un’opportunità sulla quale abbiamo ragionato tra le pieghe (leggi anche Seminare il futuro. C’è speranza… ). Un’occasione per riscoprire la nostra fiamma, alimentarla di ciò che siamo sempre stati: alberi dalle radici antiche. Perché come responsabili dell’educazione, nostra e delle generazioni che verranno, abbiamo un compito imprescindibile dalla tutela della Terra. E ogni volta che sul mio cammino incontro bambini, adolescenti, uomini che non hanno ancora perso tutto questo, mi meraviglio di qualcosa di antico che sopravvive nonostante il nostro tempo ci voglia insegnare a trascurare. “Come se si potesse ammazzare il tempo senza ferire l’eternità” dice Thoreau. E allora vi faccio conoscere un “coetaneo locale”, Martino Tassano, che tra le pieghe della nostra terra, tiene viva la fiamma.
SCITOAÇIÓN DE LÔTO E DO MÓNDO
O cêuve e o Segnô o contìnoa a ciànze,
O tîa vénto, ma o l’è vénto câdo,
E stagioìn no són ciù comme unn-a vòtta,
Scioî inta primavéia, câdo de stæ
Féugge pe tæra d’ötùnno e fréido d’invèrno.
O l’è tùtto a-a revèrsa,
O fà câdo e o cêuve.
M’ aregòrdo quand’ëa figeu,
Inverni lónghi, fréidi, co-a néie.
Mæ mamà ch’a stàva de lóngo aprêuvo a-a stîva,
Pe no fâ asmortâ quella sciàmma,
Sciàmma ch’a tegnîva câdo a-a nòstra câza, o nòstro cheu.
O cêuve e o fa câdo,
Dìxan che se scontran de màsse d’âia, grénde, drûe,
Màsse d’âia tra o nòstro mâ e o nòstro Apenìn,
E quande son lasciù, dónde o gh’è o Paradîzo,
Se ratellan, crian e se trasforman in ægoa,
In vénto fòrte, in boràsca.
O cêuve e o fà câdo,
L’è vêa, e nòstre tære òua són tùtte abandonæ
E vêgnan zu tante miâge che són lì da çéntanni.
Ma se òua föisan coltivæ, vegnîvan zu in tùtti i mòddi.
A l’è córpa de l’òmmo,
A l’è córpa de tùtto o mâ che emmo fæto a quésto móndo,
Con tùtti i scàreghi di fumaieu,
De màchine, di motorìn e de api,
L’è córpa de l’òmmo e o Segnô o ciànze,
Perché emmo ereditòu l’Eden
E l’emmo trasformòu inte l’Infèrno.
SITUAZIONE DI LOTO E DEL MONDO
Piove e il Signore continua a piangere
tira vento, ma è vento caldo,
le stagioni non sono più come una volta,
fiori in primavera, caldo d’estate
foglie per terra d’autunno e freddo d’inverno.
E’ tutto al contrario,
fa caldo e piove.
Mi ricordo quando ero bambino,
inverni lunghi, freddi, con la neve.
mia mamma che curava la
stufa,
per non far spegnere quella fiamma,
fiamma che teneva caldo alla nostra casa, al nostro cuore.
Piove e fa caldo,
dicono che si scontrano delle masse d’aria, grandi, grosse,
masse d’aria fra il nostro mare e il nostro Appennino,
e quando sono lassù, dove c’è il
paradiso,
litigano, gridano e si trasformano in acqua,
in vento forte, in burrasca.
Piove e fa caldo,
è vero e le nostre terre ora sono tutte abbandonate
e vengono giù tanti muri che sono lì da cent’anni.
Ma se ora fossero coltivate, sarebbero venute giù in tutti i modi.
È colpa dell’uomo
è colpa di tutto il male che abbiamo fatto a questo mondo,
con tutti gli scarichi delle ciminiere,
delle macchine, dei motorini e delle api,
È colpa dell’uomo e il Signore piange,
perché abbiamo ereditato l’Eden,
e l’abbiamo trasformato nell’Inferno.
Goffredo di Palma dice
Lavoro da tanto tempo e insegno, almeno ci provo, da 3 anni; mi ritrovo nelle tue parole delle quali ti ringrazio.
Valentina dice
Grazie !
antonio dice
sapere che c’e’ qualcuno che ancora scava tra le pieghe , accetta le contraddizioni e ci lavora e’ la vera speranza che il lavoro porti frutti, purtroppo la realta’ e’ questa ed e’ bello sapere che c’e’ chi con questa realta’ fa i conti e lavora per dare spazio alla speranza, grazie valentina
Valentina dice
🙂