La guerra commerciale e finanziaria tra Stati Uniti e Cina segna da tempo gli scenari geopolitici della nostra epoca. Anche se in questo momento l’attenzione mediatica ha scelto altre priorità, la pandemia del Covid 19 e le sue conseguenze non potranno non acuire lo scontro e la lotta per l’egemonia. La superiorità degli Usa si è fondata fino ad oggi sul dominio delle rotte marittime e la superiotà tecnologica ma, secondo fonti del Pentagono riferite dal periodico inglese The Times, sulla base di alcuni giochi di guerra simulati, già nel 2030 gli Stati Uniti sarebbero sconfitti in una guerra navale con la Cina nel Pacifico. Washington continuano a prevalere nel campo dell’intelliegnza artificiale grazie alle società leader della digitalizzazione note con l’acronimo GAFA (Google, Apple, Facebook, Amazon), ma il punto di svolta sta diventando il controllo dell’accesso ai dati, e il governo di Pechino ha realizzato forti investimenti in ricerca e sviluppo, finanzia l’industria dei chip per l’elaborazione dei dati e mantiene una regolamentazione più blanda in materia di tecnologie di automazione e raccolta di grandi masse di dati. Così sono nati gruppi privati di società attive nel campo del commercio elettronico come Baidu, Alibaba e Tencent (conosciuti con l’acronimo BAT), che nella gara per l’intelligenza artificiale hanno raggiunto tecnologicamente le corporation statunitensi del settore. Intanto, a fine maggio Xi Jinping, di fronte alla Commissione Militare Centrale (la versione cinese del Pentagono) ha ordinato alle forze armate di pensare al peggiore degli scenari per salvaguardare la sovranità nazionale, la sicurezza e gli interessi dello sviluppo. Il 13 giugno, all’accademia militare di West Point, Trump ha risposto annunciando cambiamenti nelle dottrine in vista di un conflitto con la Cina al fine di mantenere l’egemonia globale. Parafrasando la nota affermazione di von Clausewitz sulla guerra, la tecnologia è la continuazione della politica con altri mezzi. Continua la riflessione sul capitalismo della sorveglianza di Carlos Fazio (la prima parte è qui)
Offuscata per il momento dall’apocalisse mediatica scatenata dalle élites plutocratiche e dai poteri de facto degli Stati Uniti in seguito all’irruzione del Covid-19, la guerra commerciale e finanziaria fra i governi di Donald Trump e Xi Jinping accentuerà nella post-pandemia la lotta per l’egemonia, in momenti in cui, parafrasando Clausewitz, la tecnologia è la continuazione della politica con altri mezzi.
Nel 2016, un comunicato di Barack Obama sul futuro dell’intelligenza artificiale (IA) riconosceva che il suo successore avrebbe governato un paese che sta subendo una trasformazione dovuta ad essa. Sebbene Trump abbia abbandonato parzialmente questa visione, gli Stati Uniti continuano ad avere una posizione dominante nel campo dell’IA grazie alle società leader della digitalizzazione note con l’acronimo GAFA (Google, Apple, Facebook, Amazon), ma il punto di svolta sta diventando il controllo dell’accesso ai dati, poiché le principali piattaforme sottopongono i loro utenti a processi di supervisione non standardizzati e sfasati rispetto alla velocità dell’IA.
Gli ingegneri dell’IA hanno necessità di dati (la materia prima) per creare i loro algoritmi e/o perfezionarli. E sebbene gli Stati Uniti siano il paese che ha raccolto più dati, la Cina, a partire dal 13° Piano Quinquennale di Informazione Nazionale (2016-20) di Xi Jinping, ha aumentato in maniera esponenziale le proprie capacità grazie all’Internet delle cose, all’apprendimento automatico e al numero di utenti delle sue imprese innovatrici supportate dalle nuove tecnologie (startup).
Il governo cinese ha realizzato forti investimenti in ricerca e sviluppo, finanzia l’industria dei chip per l’elaborazione dei dati e mantiene una regolamentazione più blanda in materia di tecnologie di automazione e raccolta di grandi masse di dati. Così sono nati gruppi privati di società attive nel campo del commercio elettronico come Baidu, Alibaba e Tencent (conosciuti con l’acronimo BAT), che nella gara per l’IA hanno raggiunto tecnologicamente le corporation statunitensi del settore. E come successe all’inizio con le GAFA della Silicon Valley, pioniere del capitalismo digitale grazie ai programmi keynesiani di investimento militare, che dopo l’11 settembre 2001 (in connessione con lo Stato di sicurezza nazionale dell’amministrazione Bush jr) svilupparono l’enorme apparato di vigilanza e controllo statale svelato nel 2013 da Edward Snowden, ex contrattista della CIA e dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale (NSA), anche in questo caso l’appoggio del governo cinese è stato un fattore chiave nello sviluppo di Baidu come piattaforma di base dell’IA per i veicoli autonomi, di Alibaba per le città intelligenti e di Tencent per la sanità.
Alibaba, considerata la Amazon cinese, ha sviluppato un sistema di punteggi per valutare l’affidabilità del privato che chiede un prestito, raccogliendo e memorizzando tutte le tracce che gli utenti lasciano in Internet e controllando il comportamento di ogni persona circa l’accesso al credito, alla formazione scolastica e al mercato del lavoro, incluso l’utilizzo di linee aeree commerciali e treni ad alta velocità. L’impresa ha elaborato il progetto City Brain (cervello della città) per collegare attraverso un software mappe, telecamere di sorveglianza, sensori, dati governativi e informazione condivisa nelle reti sociali, immettendo tutti questi dati in supercomputer dove vengono processati da algoritmi di IA, allo scopo di supportare la pianificazione urbana e la gestione del traffico in città come Hangzhou e Macau.
La cooperazione di Baidu con le autorità cinesi riguarda anche il controllo dei dati e la sicurezza informatica. La società ha equipaggiato punti nevralgici dello spazio pubblico con telecamere che sono dotate di un sofisticato software di riconoscimento facciale che può identificare anche persone incappucciate analizzando il loro modo di camminare. Tencent, la terza componente del BAT, è inoltre titolare di brevetti di riconoscimento facciale e video-sorveglianza. Quindi, il capitalismo della sorveglianza.
All’indomani della pandemia di Covid-19, la guerra fredda politica, commerciale e tecnologica fra Stati Uniti e Cina si intensificherà. Dopo che Trump ha lanciato la sua strategia di decoupling (sganciamento) per contenere la crescita economica della Cina, Xi ha chiesto di privilegiare lo sviluppo del mercato interno, e non le esportazioni. Tuttavia sul piano estero, tramite Alibaba, il soft power cinese aumenterà la sua infrastruttura ferroviaria, portuale e digitale (fibra ottica, antenne di telecomunicazioni, 5G) nella sua area di influenza: Vietnam, Tailandia e Singapore, ed eventualmente Bangladesh e Pakistan. E anche in Africa.
È in questo contesto che si devono situare i discorsi di Xi dello scorso 26 maggio di fronte alla Commissione Militare Centrale (la versione cinese del Pentagono) e di Trump all’accademia militare di West Point, il 13 giugno. Xi ha ordinato alle forze armate di pensare al peggiore degli scenari per salvaguardare la sovranità nazionale, la sicurezza e gli interessi dello sviluppo. Trump ha alluso a cambiamenti dottrinali in vista di un conflitto con la Cina al fine di mantenere l’egemonia globale.
L’egemonia degli Stati Uniti è basata sul dominio delle rotte marittime e sulla superiorità tecnologica. Secondo fonti del Pentagono riferite dal periodico inglese The Times, sulla base di alcuni giochi di guerra simulati, nel 2030 gli Stati Uniti sarebbero sconfitti in una guerra navale con la Cina nel Pacifico. L’analisi conclude che tutte le basi degli Stati Uniti nella regione del comando Indo-Pacifico sarebbero sopraffatte dai missili balistici cinesi a medio raggio, compresa l’isola di Guam, la base principale dei bombardieri strategici B-2. La contesa geopolitica è in pieno svolgimento.
Fonte: “El capitalismo de la vigilancia / III”, La Jornada
Traduzione a cura di Camminardomandando.
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