La scorsa settimana si è tenuta a Johannesburg la prima Global Anti-Apartheid Conference for Palestine organizzata da una rete di attivisti e accademici sudafricani, parte della rete internazionale Antiapartheidmovement. Nella stessa settimana la Facoltà di Lettere e Filosofia della Università di Johannesburg ha ha promosso la conferenza dal titolo Responsibility of the Academy in a Time of Genocide in memoria di Shireen Abu Akhle, giornalista palestinese statunitense uccisa nel 2022 da un soldato israeliano mentre seguiva un raid nel campo profughi di Jenin
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Malgrado l’oltraggiosa inosservanza delle emanazioni successive all’azione legale intentata dal Sudafrica contro lo stato di Israele a gennaio, le mobilitazioni nel paese continuano incessanti, e la partecipazione della società civile è instancabile. La scorsa settimana si è tenuta a Johannesburg la prima Global Anti-Apartheid Conference for Palestine (Conferenza globale anti-apartheid per la Palestina) organizzata da una rete di attivisti e accademici sudafricani parte della rete internazionale Antiapartheidmovement. Si continua a denunciare l’atrocità della guerra in corso a Gaza; il criminoso silenzio della comunità internazionale – una rappresentante della delegazione Keniota esplicita la sua irritazione a che Germania e Usa non vengano incluse sul banco dell’accusa; la perdita di significato del diritto internazionale che – più che il Sudafrica – è il vero umiliato dal colonialismo dei coloni israeliani.
Così insieme agli studenti delle università statunitensi e di tutto il mondo, tra cui l’Italia, anche in Sudafrica l’attivismo accademico non rimane neutro ed esige, e ottiene, lo schieramento delle proprie istituzioni. Dovuto ai forti legami dei movimento sociali sudafricano alla causa palestinese la risposta è stata pressoché immediata. A novembre dello scorso anno, più di mille persone – tra ricercatori, docenti, amministratori e studenti di università pubbliche e altre strutture sudafricane – hanno firmato una lettera aperta chiamando alla solidarietà con il popolo palestinese condannando l’attacco di Israele contro scuole, università, ospedali e infrastrutture di sostegno alle emergenze.
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L’Università di Cape Town (UCT), del Western Cape (UWC) e di Fort Hare hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali chiedendo il cessate il fuoco e aiuti umanitari immediati a Gaza. Il senato accademico di UCT oltre a vietare collaborazioni su “qualsiasi progetto di ricerca che possa essere associato alle Forze di Difesa Israeliane (IDF)”, si è posizionato a sostegno di accademici palestinesi e – soprattutto – ha garantito il diritto di tenere dibattiti sul sionismo senza essere accusati di antisemitismo. Impossibile non pensare a quello che sta accadendo in Europa, particolarmente in Germania, come l’opposto.
I membri del Senato dell’Università di Stellenbosch hanno chiesto la fine della brutale distruzione di Gaza affermando che “nessun crimine può giustificare azioni di genocidio come ritorsione”. Fort Hare – storica università anti-apartheid – si è impegnata a non perseguire legami istituzionali con le istituzioni israeliane “che hanno un ruolo chiave nel sostenere l’oppressione coloniale e l’apartheid dei coloni e sono complici di gravi violazioni dei diritti umani, compreso lo sviluppo di armi, dottrine militari e giustificazione legale per l’indiscriminato attacco di massa contro i palestinesi…”.
L’ultima dichiarazione viene dalla Nelson Mandela University che richiede che venga condotto un audit per accertare i dettagli specifici relativi alla collaborazione con le istituzioni accademiche israeliane.
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Nel suo discorso di mercoledì durante la conferenza in memoria di Shireen Abu Akhle – giornalista palestinese statunitense uccisa da un soldato israeliano mentre seguiva un raid nel campo profughi di Jenin, nella Cisgiordania occupata da Israele nel 2022 – dal titolo Responsibility of the Academy in a Time of Genocide (Responsabilitá dell’Accademia in tempo di genocidio) organizzata dalla Facoltà di Lettere e Filosofia della Università di Johannesburg, Naledi Pandor, ministra delle Relazioni e della Cooperazione Internazionali del Sudafrica, ha ricordato che, secondo il rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani del 18 aprile di quest’anno, “con oltre l’80% delle scuole di Gaza danneggiate o distrutte, potrebbe essere ragionevole chiedersi se vi sia uno sforzo intenzionale per distruggere completamente il sistema educativo palestinese, un’azione nota come ‘scolasticidio’”.
Il termine si riferisce all’annientamento sistematico dell’istruzione attraverso l’arresto, la detenzione o l’uccisione di insegnanti, studenti e personale, e la distruzione delle infrastrutture educative. Un perfezionamento tecnico dell’epistemicidio perpetrato dai colonizzatori del sistema di conoscenze dei popoli che, nel momento dell’incontro, venivano decimati, o “civilizzati”, secondo una visione criminosa di un concetto di civilizzazione. Secondo la ministra “la distruzione delle scuole, delle università e delle biblioteche palestinesi favorisce il progetto di cancellazione coloniale perché questi sono spazi che alimentano la creazione e la trasmissione della conoscenza. La distruzione di scuole, università, biblioteche e strutture di ricerca ha privato i palestinesi della storia e della conoscenza custodite in queste istituzioni. Gli attacchi all’istruzione sono spesso un indicatore chiave dell’intolleranza dello Stato nei confronti di punti di vista che non riflettono il suo pensiero. Non dovrebbero essere tollerati”.
Pandor ha espresso ammirazione – come anche ha fatto Ronnie Kasrils veterano della lotta contro l’apartheid nel suo intervento alla conferenza – per il crescente movimento internazionale di attivismo studentesco a sostegno della giustizia per il popolo palestinese ricordando come “sia responsabilità collettiva di tutti noi – educatori, attivisti, società civile e strutture statali – di schierarsi contro la campagna genocida condotta contro il popolo palestinese’.
E importante, sottolinea, ‘far sentire agli studenti universitari di altre regioni del mondo un rifiuto unitario dell’ingiustizia, del danno e dell’omicidio’. Ha inoltre ricordato come gli studenti e le scuole e università sudafricane abbiano svolto un ruolo chiave nella battaglia contro l’apartheid, organizzando la resistenza e sostenendo la cittadinanza critica.
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E’ dalla mattina del 16 giugno del 1976 che il movimento studentesco sudafricano resiste, con momenti di maggiore risonanza rispetto ad altri, come le rivolte di Soweto nel 76 e il movimento Rhodes Must Fall nella Università di Cape Town, seguito dal Fees Must Fall della WITS a Johannesburg e molto altre università, nel 2015.
Mentre nel 1976 gli studenti si opponevano all’imposizione della lingua afrikaans – definita da Desmont Tutu la lingua dell’oppressore – nelle scuole di studenti neri, rinforzando la lotta contro il regime, i fallist ( i membri dei movimenti) sono stati la scintilla che ha poi incendiato – appropriandosene e svuotandone spesso il significato – il dibattito sulla decolonizzazione della conoscenza nelle università del nord del mondo.
Un articolo apparso sul The Guardian ricorda come ‘nel 1985, centinaia di studenti della Columbia, guidati dalla Coalition for a Free South Africa (CFSA), iniziarono un blocco della Hamilton Hall nel centro del campus – la stessa sala occupata pacificamente e ribattezzata martedì [scorso] dagli studenti’.
Facciamo tutto il possibile per appoggiare questi studenti in giro per il mondo, ovunque essi siano, e ricordiamo di includere gli epicentri da cui queste lotte partono perché come ricorda un cartello appeso nell’atrio della WITS University di Johannesburg “Mentre vai a lezione oggi, ricordati che non sono rimaste Università a Gaza”.
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