I processi di differenziazione che tentano di circoscrivere qualità “autentiche”, territori inviolati, identità indiscusse non smettono di seminare, ovunque e in tanti modi diversi, paura e respingimento. Tuttavia, come ricorda Lea Melandri «non sono mancate in passato e sono presenti tutt’oggi culture innovative, movimenti, gruppi, che nella riscoperta dei “rifiuti” della civiltà, in quelli che Virginia Woolf chiamava “storie non registrate”, “oggetti seppelliti”, hanno visto aprirsi prospettive nuove, esperienze dell’umano…»
Già negli anni Ottanta del secolo scorso, lo psicanalista Elvio Fachinelli parlava della destra e della sinistra come di “una coppia simbolica esaurita”, e, ancora prima, il movimento delle donne aveva riscoperto la politicità di tutto ciò che è stato visto come “privato” e come tale consegnato all’immobilità delle leggi naturali: sessualità, maternità, amore, legami famigliari, ecc. Era bastato spostare lo sguardo dalla vita sociale al “vissuto” che passa quasi innominabile nell’esperienza del singolo, per scoprire la labilità dei confini con cui si è creduto di contrapporre e differenziare il destino dei sessi, il rapporto tra natura e cultura, corpo e pensiero, individuo e collettivo, barbarie e civiltà.
Far parlare il retroterra che la storia ha allontanato da sé e sepolto nelle sue viscere, aveva significato far emergere legami, contaminazioni, zone di indistinzione tra realtà che si vorrebbero rigidamente separate. Non sono stati solo i ruoli e le identità sessuali a scomparire come nebbia al sole, riportati dentro quell’intreccio di biologia e storia, sentimenti e ragione, che è il singolo, maschio o femmina che sia, ma ogni processo di differenziazione volto a circoscrivere qualità “autentiche”, territori inviolati, centralità indiscusse.
Ma se per i movimenti non autoritari degli anni Settanta del secolo scorso, l’uscita dalla “tragica necessità del dualismo” si accompagnava all’idea dei “nessi” che ci sono sempre stati tra un polo e l’altro, lo sviluppo successivo ha visto invece affermarsi in forma sempre più magmatica la personalizzazione delle istituzioni pubbliche. Il consenso di un leader si misura oggi sulla sua vicinanza e famigliarità con l’uomo comune, sulla condivisione delle stesse licenziosità di linguaggio, sull’uso delle stesse tecnologie comunicative, come i social network.
Le viscere della storia sembrano aver preso il sopravvento su tutte le costruzioni, democratiche o conservatrici, con cui la storia ha tentato di tenerle sotto controllo. Oggi si scopre che l’inconscio collettivo – l’eredità psichica arcaica rimasta a lungo sepolta nella zona più oscura della vita dei singoli – è reazionaria, ferma nel tempo come le leggi naturali.
Nessuna meraviglia perciò se, di fronte a un imponente fenomeno migratorio, che ha portato lo “straniero”, il diverso, a farsi prossimo, a prendere contorni reali, a manifestare desideri di somiglianza, si è visto emergere quel riflesso antico di paura e respingimento di chi appare sconosciuto all’orizzonte, visto come il “selvaggio”, il “non uomo”. Poteva andare diversamente?
Non sono mancate in passato e sono presenti tutt’oggi culture innovative, movimenti, gruppi, che nella riscoperta dei “rifiuti” della civiltà, in quelli che Virginia Woolf chiamava “storie non registrate”, “oggetti seppelliti”, hanno visto aprirsi prospettive nuove, esperienze dell’umano, le più universali, da ripensare e restituire alla storia, a cui per altro hanno sempre appartenuto.
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