di Ilaria De Bonis*
«Quella notte che abbiamo passato il confine tra l’Iran e la Turchia c’era tanto ghiaccio e tanta neve. Era buio e sapevo che se la polizia iraniana mi avesse preso sarei finita di nuovo in Afghanistan».
Hazizie, ventotto anni, carnagione chiarissima e hijab verde acqua, racconta la storia della sua fuga dall’Iran e della rinascita in Grecia. E’ seduta al grande tavolo del Christiana Hotel di Atene, oggi gestito dalla Caritas, che può accogliere fino a duecento profughi. È al sicuro col suo bambino di quattro anni che ha sempre pensato a un gioco o a una «magia» durante lo strano viaggio che l’ha portato dall’Iran all’Europa. Hazizie è rifugiata due volte: di nazionalità afghana, aveva trovato salvezza in Iran, anni fa.
Ma «non è il Paese adatto quello per vivere se sei donna e per di più profuga – confessa – quindi ho deciso di andar via». Il viaggio le è costato mille dollari. Ed è andato bene. Ora aspetta l’asilo politico per poter poi raggiungere un fratello di Svizzera.
Le storie di queste famiglie di profughi ad Atene raccontano di viaggi lunghi mesi, di donne fuggite sole con i loro bambini, di speranze e anche di successi inattesi. Come l’approdo greco di Mustafa e Fatima, con la loro figlioletta Isra di appena venti giorni nata proprio qui, all’Hotel Christiana.
«Veniamo da una zona martoriata della Siria – racconta Mustafa, trentenne – quando mia moglie è rimasta incinta abbiamo deciso di scappare: casa nostra è stata completamente distrutta», dice. E mentre parla ci mostra una foto al telefonino. È un mucchio di macerie su un pezzetto di prato col cielo azzurro dietro. Quel che rimane di casa sua. «Siamo sbarcati a Lesbo a marzo 2016 ma lì non si poteva restare a lungo.
Poi dal Pireo siamo approdati ad Atene», racconta.Marzo 2016 è una data storica: in quei giorni l’Europa decideva di chiudere le frontiere a nord-est, e poi di accordarsi con la Turchia per il ‘refoulement’ dei profughi, misura in realtà vietata dal diritto internazionale. «Appena arrivati ci hanno detto che i confini erano chiusi». Una trappola che oggi tiene ferme oltre 57mila persone in Grecia.
«Sarebbero stati semplici transitanti prima della chiusura dei confini – spiega Caritas – nessuno ha voglia di passare mesi in Grecia. Le loro mete sono altre: Germania, Svezia, Svizzera».
A pochi giorni dal parto, Fatima era sola con suo marito ad Atene e senza possibilità di lasciare il paese. «Aver trovato Caritas è stata per noi una vera fortuna, ringraziamo ogni giorno». Qui all’hotel è nata Isra.
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