C’erano più di cinque mesi a disposizione per cominciare a oltrepassare un modo di fare scuola stanco e limitato, ma siamo arrivati al banco singolo. Eppure bastava partire da piccoli gruppi e da esperienze di apprendimento già presenti nei territori: musei, biblioteche, botteghe, parchi… per permettere a bambini e bambine, ragazzi e ragazzi di vivere esperienze importanti e di essere protagonisti del proprio percorso di apprendimento. Abbiamo sempre più bisogno di città educative. “Si poteva cominciare eccome…”, scrive Giuseppe Campagnoli, tra gli autori del Manifesto dell’educazione diffusa (avete aderito?)
Occorreva un po‘ di decisione e manifestazione di coraggio pur tenendo conto di ciò che si sta prospettando a livello istituzionale: ci sono stati circa cinque mesi di tempo per cominciare a oltrepassare la scuola tradizionale, pur sempre conservatrice, e siamo ahinoi arrivati al banco singolo, alle misurazioni e a cercare anche palestre, cinema, stanzoni e capannoni. Non mi sembra né utile né risolutivo per la prevenzione (che deve pur esserci…) limitarsi ai banchi, alle fettucce metriche oppure allo sparpagliamento puro e semplice in altri spazi per fare grosso modo le stesse cose di prima.
I dirigenti scolastici, che so per esperienza diretta avere spesso molta paura “burocratica”, per via del loro ruolo addensatosi perigliosamente, nel tempo, più sulle procedure e sugli adempimenti che sull’educazione, sanno bene che si possono percorrere alcune strade dell’autonomia scolastica e della sperimentazione per rispondere a esigenze di tutela della salute ma anche a quelle dell’avvio sottile ma deciso di una rivoluzione in educazione. Pochi adattamenti avrebbero garantito libertà, esperienze efficaci e apprendimenti diffusi oltre che la tutela della salute di tutti, lavorando per piccolissimi gruppi in luoghi significativi, educanti aperti o ampi insieme all’edificio tradizionale che in questa fase assumerebbe il ruolo di “portale” verso le esperienze altrove. Avrebbe qualche senso mischiare la didattica a distanza (che non avrebbe avuto, come pare, i risultati aspettati) con la didattica in presenza sempre con le stesse materie, gli orari, gli appelli, i controlli, con lo stesso vetusto modello di organizzazione di tempi e modi adattato all’ultimo momento alle esigenze dettate dalle regole di prevenzione applicate in modo meccanico e confuso?
Non vi è un momento migliore invece per sperimentare e mettere alla prova strade che si possono rinvenire anche nelle pieghe dell’autonomia scolastica, troppo parzialmente praticata nelle chances innovative. Non cogliere questa opportunità è un vero peccato e una plateale rinuncia al cambiamento. Sarebbe il caso di riflettere su tante esperienze rivoluzionarie che si sono dimostrate decisamente positive e stimolanti per mutare lentamente ma radicalmente un paradigma scolastico da tempo obsoleto e decisamente superato. Si poteva cominciare eccome.
Ad esempio:
1. Eliminazione graduale dell’edilizia scolastica verso la città educante fatta di una rete di luoghi per l’esperienza e l’apprendimento pubblici o privati, aperti o chiusi ma trasparenti e ampi. Certamente non per fare le stesse cose che si facevano in classe o nelle «uscite didattiche».
2. Attività in gruppi di 5-7-9 a seconda delle età o misti.
3. Creatività massima per sussidi didattici.
4. Destrutturazione delle discipline sconnesse e separate a favore di aree esperienziali e campi di educazione incidentale dove il bambino, il giovane, l’adulto che crescono e apprendono sono soggetti protagonisti che «si educano» non che «vengono educati».
5. Smontaggio dell’orario scolastico a favore di tempi flessibili e «orari di prossimità», con l’anno educativo che dura dodici mesi con pause di tempo libero diluite e diffuse.
Le cose da apprendere, l’educazione e la crescita non sono indifferenti ai luoghi in cui avvengono. La marcia di avvicinamento a un nuovo modello di scuola potrebbe integrare mirabilmente, in tante sperimentazioni brevi che facessero tesoro delle eventuali buone pratiche nel territorio, l’insieme dei progetti-scuola dei tempi-scuola e dei luoghi-scuola sfruttando anche quel poco che offre l’organico potenziato. Se si trasformassero, riducendoli anche di numero, gli edifici scolastici per un uso misto e flessibile (museo e scuola, biblioteca e scuola, terziario e scuola…) e si usassero gli spazi di cultura e non solo, pubblici e privati della città per “fare scuola”, persino bar, negozi e centri commerciali; se si abolissero le materie e si apprendesse per mappe concettuali, per argomenti e temi trasversali (gestiti dai docenti disponibili e competenti), il quadro potrebbe cambiare radicalmente e allora un organico sarebbe veramente funzionale.
Gli orari della settimana, del mese o del semestre potrebbero essere realmente smontati e resi flessibili e adattati a un canovaccio plurisettimanale di aree tematiche multidisciplinari e interdisciplinari, progetti ed eventi, nel quadro di un progetto di istituto o di rete territoriale, da sviluppare in diversi luoghi, anche utilizzando tablet e audiovisivi, docenti esterni e interni, mentori e maestri oltre che tutors negli ambiti di apprendimento, che possono essere anche un laboratorio artigiano, una fabbrica, un ufficio pubblico, un museo, un laboratorio, una mostra…
Un’utopia? Non tanto e non proprio.
Chiudo con un commento di un anonimo scritto da uno dei sempre più numerosi firmatari del Manifesto della educazione diffusa:
“L’infanzia e adolescenza sono fasi di vita ricche di opportunità, di crescita e di sfide evolutive. Quanti sogni quando si è bambini e adolescenti, ma dove vanno a finire i loro sogni, i loro desideri e i loro talenti? C’è un mercato che vuole decidere il prototipo del giovane perfetto e allora … quanta fatica vivere con pienezza la realtà quotidiana da parte di un adolescente. Ogni giorno qualcuno gli apre orizzonti paradisiaci da raggiungere e spesso gli stessi genitori spingono verso questi obiettivi impossibili. Dove abbiamo sbagliato? Viene da chiedersi. I giovani hanno bisogno di fare esperienze che diano loro una maggiore autonomia, penso sia necessario riproporre una cultura del corpo intelligente, inteso come veicolo dell’apprendere e crescere. Credo in una concezione del corpo che comprende il rapporto tra corpo e psiche, corpo e azione, corpo ed emozione, vita e conoscenza. La grande lezione montessoriana appare quanto mai moderna e attuale, il bisogno di muoversi, di sperimentare.. Il corpo non si riduce alla dimensione fisica, soltanto un insieme biologico di organi. È il luogo vissuto di piacere o di dolore, luogo in cui ogni persona vive, sente, esiste; luogo del proprio essere. Sì all’educazione diffusa!…”.
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Angela trombetta dice
Aderisco e spero si possa realizzare quanto prima
Alberto dice
Aderisco.
giulia dice
aderisco
Maria Buriani dice
Aderisco