C’è un aspetto della vicenda del flop borsistico di Facebook che vale la pena mettere in evidenza. E c’è un termine per descriverlo: Roi. Negli ambiti del marketing che conta è il ritorno degli investimenti. Insomma, a dispetto delle campagne più o meno esplicite che hanno permesso alla creatura di Zuckerberg di diventare quello che è, chi ci investe ha paura che non ci siano adeguati ritorni economici. Un problema non da poco in tempi di crisi economica. Ed il motivo risiede soprattutto in una incertezza: l’unico modo di mantenere la baracca in piedi è la pubblicità. Fino ad oggi il meccanismo era sfruttare le preferenze degli utenti (i vari “Mi piace” che mettiamo in giro) per costruire profili di gusti e preferenze e fare marketing mirato. Zuckerberg ci pensa da tempo e l’idea è stata portata a Davos al Global Forum del 2009. Tutto bene? Mica tanto. Perché si sta scoprendo che più “like” non significa più vendite. Anzi, in alcuni casi gli sbarchi delle aziende sui social networks si sono perfino dimostrati deleteri. E due casi recenti lo dimostrano.
Il primo ha coinvolto la nota agenzia pubblicitaria Saatchi & Saatchi che, tanto per fare un esempio, cura la campagna sull’8 per mille della chiesa cattolica. Nei giorni scorsi ha tentato di far partire un sito chiamato “Scossevstweets”. In pratica l’idea era di lanciare una discussione su twitter (#ScosseVsTweet) chiedendo ai residenti delle zone terremotate di scrivere un tweet descrivendo le proprie emozioni dopo ogni scossa. Tutti questi messaggi sarebbero stati raccolti nel sito per visutalizzare il “numero delle scosse telluriche aggiornato in tempo reale” e i “messaggi di incoraggiamento inviati dagli internauti tramite Twitter”. Il tutto condito dalla richiesta ai comuni colpiti di installare dei video collegati in rete nei campi d’accoglienza per mostrare queste informazioni in tempo reale, nonché la vendita di gadget con il nuovo “brand”: cappellini, magliette, ecc. Sembra un incubo, invece è tutto vero. L’ha documentato il blogger Gianluca Diegoli, che vive da quelle parti e al quale hanno girato una delle richieste. E una volta uscita la notizia, sull’onda dell’indignazione collettiva, si è scoperto anche che fantomatico gruppo di ragazzi “Noi non tremiamo”, che avrebbe sostenuto il progetto, era stato creato apposta e non aveva nessun collegamento col territorio. Insomma puro marketing e con dubbie ricadute “solidaristiche”. L’effetto è stato che l’agenzia ha preferito chiudere il sito prima che il progetto partisse sostentendo che era stato “interpretato male”. Bontà loro.
Il secondo riguarda la nota emittente nazionale RTL102.5 e l’azienda Golden Lady. Nei giorni scorsi sulla pagina facebook della radio è apparso un post, ovviamente pubblicitario, che invitava ad aderire alla pagina della ditta produttrice di calze per ricevere sconti e promozioni. Peccato che qualcuno abbia fatto notare che era la stessa che stava chiudendo i suoi stabilimenti in Italia per delocalizzare in Serbia ed assicurarsi maggiori profitti. A suo tempo la vicenda fece partire già una prima campagna di mobilitazione in rete, chiedendo il boicottaggio, che arrivò fino alla Coop. Questa volta, invece, sta succedendo che i gestori della pagina di RTL102.5 hanno incominciato a cancellare i commenti scomodi ed a buttare fuori i loro autori. Un bel colpo all’immagine di entrambi i marchi come ha commentato chi si occupa
di reputazione in rete.
Insomma, tempi duri per il dorato mondo delle multinazionali in rete. Da tenere a mente.
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