Gli insegnanti hanno bisogno di momenti nei quali farsi domande su quello che accade con i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze. Serve un confronto plurale continuo, servono luoghi e momenti adatti per farlo. E serve ragionare in profondità per pensare a quanto succede nei territori e nel mondo: il pensiero che riflette su ciò che si sta facendo trasforma il proprio agire. Quello scambio per essere fruttuoso deve essere curato senza troppi schemi predefiniti. La scuola va prima di tutto sognata. Anche bambini e bambine, ragazzi e ragazzi hanno bisogno di domande e di sognare la scuola, hanno bisogno di vivere la classe come un laboratorio e l’apprendimento come un insieme di domande. Se c’è un mezzo che può suscitare modi diversi di collocarsi nel mondo, insegna Danilo Dolci, è la domanda. Il fare domande è la metafora di chi cerca insieme ad altri mondi nuovi, di chi sogna. Sì, la scuola va sognata: lo chiede questo mondo ferito
![](https://comune-info.net/wp-content/uploads/2024/04/439054475_846871584152077_4713223949089136308_n-1024x768.jpg)
La Città Bambina
Quello di cui sto parlando in queste mie riflessioni – La scuola è dialogo -, nasce dalla esperienza con i miei allievi in tanti anni trascorsi con loro nella scuola e da incontri tenuti con giovani studenti. Parte quindi dagli stimoli, dalle parole che bambini e ragazzi in tutti questi anni mi hanno lasciato in eredità. Ma nasce anche da momenti di riflessione che ho condotto con insegnanti che sentivano il bisogno di ragionare su ciò che ogni giorno capitava nelle loro classi. Insegnanti che desideravano fermarsi, guardarsi lontano dalla quotidianità, analizzare i problemi che emergevano: come li avevano affrontati? cosa aveva funzionato e cosa no?. Ne parlavamo insieme, in piccoli gruppi, e le parole circolavano e si intrecciavano con quelle degli altri, in un dialogo continuo, una domanda dopo l’altra: storie particolari, situazioni vissute in aula, stati d’animo, frustrazioni, delusioni, momenti di difficoltà. Ma anche momenti di gioia, di soddisfazione, di buoni risultati… Circolavano le loro parole, ma anche quelle che avevano sentito dai loro allievi. Si sentiva l’esigenza di un confronto plurale. Di una formazione che continuasse nel tempo. Si comprendeva che era molto importante farsi domande, perché ogni giorno passato in una classe ne poneva sempre di nuove. Si percepiva il desiderio di non sentirsi più soli, di trovare cammini nuovi, di ritrovare entusiasmo, voglia di rimettersi in gioco.
Solo il pensiero che riflette su ciò che si sta facendo trasforma il nostro agire in esperienza. Solo dal pensiero dell’esperienza si può ripartire.
I momenti di confronto che abbiamo organizzato erano momenti preziosi. Gli incontri funzionavano di più quando si svolgevano fuori dallo spazio della scuola. Uscire da scuola per andare in un luogo/altro, uscire dal ruolo che ci è stato confezionato, per sentirsi liberi da ogni schema predefinito. Si trattava di trovare un modo per tenere viva un’istituzione non irrigidendola tra quattro mura, in un già pensato. Si trattava di spezzare le nostre gabbie mentali. Di aprire le porte di quell’istituzione, di farla diventare casa da abitare, in cui entrare ed uscire.
La scuola ha bisogno di essere sognata.
I miei colleghi un po’ davvero, un po’ per scherzo mi dicevano spesso “Facci sognare, vola alto”. Sì, perché al sogno io ho sempre creduto. Alla fine ci credevamo in molti. Perché, in definitiva, proprio perché ci si sente spesso in crisi, non abbastanza rispettati e considerati, si desidera che la scuola diventi un luogo in cui sentirsi bene, in cui trovare uno spazio dove crescere insieme e costruire il proprio benessere, insieme a quello dei nostri alunni. Un luogo da costruire, insieme. Ognuno facendo la sua parte. Un luogo dove depositare appunto i nostri sogni e farli lievitare. Solo sognando si trova la strada verso un nuovo futuro. Sogno e futuro. Non il sogno che è fuga dalla realtà, ma il sogno che diventa visione, si innesta nel quotidiano ma guarda sempre oltre, che insegue le possibilità, che matura la consapevolezza che a nulla serve abbandonarsi allo sconforto. Che dobbiamo diventare soggetti attivi, creativi.
I ragazzi, le ragazze, al di là delle apparenze, hanno dentro di sé una forza, un’energia che può essere spesa in questo senso se solo gliene diamo l’opportunità, se solo ci lasciassimo contagiare dal loro desiderio di futuro al di là di qualsiasi difficoltà.
Del resto nel passato hanno sognato in tanti e la scuola hanno saputo cambiarla: questo è realtà. Dal sogno alla realtà. Perché ci volevano credere, perché ogni giorno la sperimentavano e la cambiavano.
Pensiamo, per esempio, a Mario Lodi. Nel libro C’è speranza se questo accade a Vho, ci racconta la crisi del giovane maestro inesperto dentro una vecchia scuola autoritaria e trasmissiva che lui ha saputo far diventare una comunità democratica e cooperante. Si era ispirato al francese Célestin Freinet, che credeva nella dignità di ogni bambino, ascoltava le loro voci, valorizzava le loro esperienze. Entrambi credevano che la scuola avesse bisogno di “maestri ignoranti” che con i bambini cercassero ogni giorno il loro modo di leggere e stare nel mondo. Concepivano un apprendimento che partisse quindi dalla quotidianità, dall’esperienza vissuta che stimola domande e voglia di ricerca. La classe quindi come laboratorio del “fare insieme”: il testo libero, il calcolo vivente, le attività espressive (pittura, teatro, ecc.), la ricerca sul campo, la corrispondenza interscolastica, il giornalino di classe, la stampa a scuola, la scrittura individuale di storie e di veri e propri libri (come Cipì). Era un’impostazione che, insieme a quella dei bambini, liberava e formava la cultura del maestro.
Mario Lodi diceva:
«Mi resi conto che ero incapace di fare il maestro perché ci avevano insegnato un sistema che non era adatto ai bambini. Non sapevamo allora che tutti i bambini del mondo, sin da quando sono piccolissimi, raccontano coi loro scarabocchi la loro vita e quello che scoprono del mondo. Non sapevamo che i bambini non sono vasi da riempire, ma vasi pieni da organizzare».
Negli anni Sessanta nasce quella rivoluzione libertaria che vede all’opera, ognuno nel suo contesto: Alberto Manzi con i programmi educativi alla Rai, le proteste non violente di Danilo Dolci e Aldo Capitini, la scuola di Barbiana di don Milani, il Movimento di Cooperazione Educativa.
Mario Lodi in una bella intervista, alla domanda: E al maestro di oggi cosa suggerirebbe? risponde:
«Possedere un cuore, che è un motore potente. Attaccarsi al bambino, seguirlo con dedizione, riuscire a scrutarne i talenti nascosti. Senza mai dimenticare che compito della scuola è riuscire a trasformare un gregge passivo in un popolo di cittadini pensanti».
E ancora:
“Distruggere la prigione, mettere al centro della scuola il bambino, liberarlo da ogni paura, dare motivazione e felicità al suo lavoro, creare intorno a lui una comunità di compagni che non gli siano antagonisti, dare importanza alla sua vita e ai sentimenti più alti che dentro gli si svilupperanno…”
Danilo Dolci, a sua volta, faceva mettere i bambini o i ragazzi in cerchio, chiedeva ad ognuno “Qual è il tuo sogno?”. Questa domanda spiazzava i ragazzi non abituati ad essere interpellati su nulla e poi scaturivano stati d’animo, sentimenti, emozioni. Danilo Dolci concepiva la domanda come un mezzo per suscitare un nuovo modo di collocarsi e di vedersi. Il fare domande è la metafora propria dell’uomo che cerca e continua a cercare. È esercizio del pensiero, permette di esplorare la realtà, di sentirsi interpellati da chi non la pensa allo stesso modo, di apprezzare l’opinione altrui senza la paura di confrontarsi con il diverso. L’amore per il sapere è segno della capacità di adattarsi e avvicinarsi agli altri con umiltà. L’amore del sapere è anche la capacità di avere come orizzonte il sogno.
Che scuola è quella che non chiede mai ai suoi alunni che scopi, che desideri hanno? Che si attiene rigidamente ad un “programma” definito dall’alto e su cui misurare il sapere dei propri alunni? Il programma è spesso qualcosa dietro cui ci si nasconde per non esporsi, incapaci di accettare la sfida di motivare, attirare l’attenzione dei ragazzi, aiutarli a trovare un significato al loro agire e essere nel mondo. Quindi, sì, la scuola va sognata.
–
–
–
Questo articolo di Emilia D Rienzo – insegnante per oltre trent’anni a Torino – fa parte di una ricerca che prova a scavare intorno a diverse parole/concetto con le quali favorire il passaggio da una scuola del “Non si può” a una “Scuola del dialogo”. Il senso della ricerca viene spiegato in questo articolo:
Le altre parole della ricerca:
PAZIENZA; SILENZIO; AULA; CURA; FANTASIA [I]; FANTASIA [II]; RICONOSCIMENTO; ASCOLTO; RACCONTARE/RACCONTARSI; RACCONTARE / TESTIMONIANZA