Per parlare di scuola superiore senza per forza partire dall’esame di stato svuotato di significato, dalle ossessioni delle certificazioni Invalsi, dalla violenza degli studenti in una società che fa della violenza economica e della guerra i suoi capisaldi occorre mettersi alla ricerca di chi sperimenta strade inedite per contrastare la crescita della povertà educativa e offre un sostegno alla scuola pubblica. A Roma e a Palermo, e in forme diverse anche Torino e Livorno, ci sono istituti superiori che restano aperti al territorio dopo l’orario scolastico coinvolgendo per la gestione studenti ed ex studenti. Questa inchiesta/dossier raccoglie punti di vista ed esperienze molto diverse tra loro anche di Napoli, Frascati, Firenze, Parigi e ragiona di scuole aperte partecipate, educazione diffusa e alfabeti ecologici
Se è vero quanto sostiene Daniel Pennac che il mal di grammatica dei ragazzi si cura con la grammatica, la scarsa inclinazione alla lettura con la letteratura, la paura di non capire con l’immersione nel testo, allora la poco responsabilità si cura con la fiducia, il timore di sentirsi esclusi con il creare spazi di partecipazione, il bisogno di una nuova cultura politica con l’apertura al territorio.
A Roma e a Palermo, e in forme diverse anche Torino e Livorno, ci sono istituti superiori che restano aperti al territorio dopo l’orario scolastico coinvolgendo per la gestione studenti ed ex studenti, ma anche associazioni come co-gestori del bene comune. In queste esperienze, come spiega questa inchiesta/dossier, c’è l’idea di creare un comunità educante intorno all’edificio scolastico e a chi lo vive ogni giorno, trasformando le scuole in luoghi di partecipazione, nei quali studenti e abitanti di un territorio supportano la propria scuola e nello stesso tempo la scuola aiuta a rafforzare le relazioni sociali del territorio.
L’inchiesta Prendere in mano la propria scuola parte dalla storia degli studenti e delle studentesse del liceo Righi di Roma che da diversi anni hanno formato un’associazione (“Boncompagni 22”) e ogni pomeriggio riaprono la sede della succursale per gestire l’aula studio, promuovere corsi, laboratori, presentazioni di libri, incontri con realtà sociali e culturali, e nelle serate estive anche un’arena cinematografica. Questa esperienza viene raccontata con un video e con l’articolo I ragazzi hanno le chiavi del liceo. Ma non c’è il rischio che possano accadere incidenti o che studenti adolescenti si trovino in problemi più grandi di loro? Forse sì, ma la ricchezza educativa in termini di autonomia e il valore politico, a proposito di bene comune e partecipazione, che implicano sono di così alta portata che vale la pena correre quel rischio minimo. Per la cronaca, dicono i ragazzi del Righi, in sei anni di attività non è accaduto nulla di spiacevole.
In maggio a Roma l’associazione Boncompagni 22 e la Rete romana Sap (Scuole Aperte Partecipate) hanno invitato studenti e studentesse di altri tre licei – il Cavour e il Plinio di Roma e il Regina Margherita di Palermo – per confrontarsi su come sono nate le rispettive esperienze di scuola aperta: il video che raccoglie i loro racconti è in Sperimentare autonomia: noi abbiamo cominciato così. Dei presupposti e delle potenzialità delle scuole aperte con i ragazzi più grandi di ragiona in modo approfondito nell’articolo Costruttori di fiducia, che raccoglie una ricca conversazione con Roberto Orioli della Rete Sap.
A Roma c’è anche un’altra esperienza particolare di scuola aperta, nata addirittura dieci anni fa: quella che inizialmente era la radio web del liceo Kennedy oggi è un articolato network radiofonico gestito con gli studenti delle scuole superiori (se parla in Il segnale audio è ottimo).
La vicenda del liceo Regina Margherita di Palermo merita molta attenzione e protezione perché dimostra che è possibile aprire spazi di partecipazione con ragazzi e ragazze anche in territori difficili come il quartiere Ballarò. La scuole aperta è un modo per combattere gli stereotipi comuni che riguardano questo territorio, scrive Ilenia in Da questa aula di Ballarò si vede il mondo: negli anni hanno avviato una campagna di informazione contro il crack e i temi della dipendenza, promosso laboratori di pittura e di riuso creativo, organizzato percorsi di clown terapy, collaborato con Fridays for future, realizzato iniziative dedicate a Peppino Impastato.
L’antimafia sociale è un tema che finisce anche in diverse scuole del Piemonte: da tempo l’associazione Acmos viene accolta in sette istituti superiori del centro e della periferia di Torino per mettersi a disposizione di chi vive la scuola ogni giorno, tra esperienze di costruzione del gruppo classe e mediazione dei conflitti e promozioni di iniziative di approfondimento preparate con i ragazzi e le ragazze su tanti temi diversi, incluso quelle dell’antimafia: con il progetto Scu.ter (Scuole e Territorio) e quell’”animazione d’ambiente” che deve molto al pensiero di Freire, Dolci e Don Milani, la scuola si apre al quartiere e il territorio diventa un luogo educativo (leggi Relazioni sullo Scu.Ter).
In un’altra inchiesta/dossier (Apprendere dall’esperienza. A Livorno) abbiamo raccontato come sono vivi i semi dell’autogestione anche dentro e intorno al liceo Cecioni di Livorno, dove la rigenerazione del giardino esterno curata dall’Associazione ViviCecioni è stato il pretesto per cominciare ad aprire la scuola il pomeriggio attraverso il coinvolgimento degli studenti e per organizzare attività sociali e culturali. Purtroppo nel tempo il progetto – malgrado sia stato avviato nel 2016 e abbia avuto subito il sostegno del Miur e quello dell’Autorità per per la partecipazione della Regione Toscana – non ha sempre incontrato fiducia da parte dei dirigenti scolastici e in questo momento è in una fase di stallo.
Di certo, sono tanti i territori nei quali si cercano strade nuove per contrastare la crescita della povertà educativa che riguarda gli adolescenti. Secondo Nicola Cotugno, a lungo insegnante a Scampia, Napoli, si tratta di permettere a ragazzi e ragazze di esseri protagonisti dei propri percorsi di crescita, attraverso prima di tutto una didattica laboratoriale ed esperienziale legata al territorio (ne parla in Un territorio che si fa educante). A Firenze, un orario scolastico diverso ha favorito sperimentazioni importanti con pomeriggi di uscite didattiche sul territorio, visioni di film, laboratori di arte, discussioni su temi di attualità: lo racconta Ludovico Arte, preside dell’Istituto Marco Polo in Cinque minuti. A Frascati, a due passi da Roma, invece, il liceo Cicerone ha cominciato ad aprirsi negli orari extrascolastici e al territorio con diversi progetti: nell’ultimo anno, ad esempio, sono nate due redazioni che hanno hanno partecipato al laboratorio di giornalismo Territorio come scuola promosso dalla redazione di Territori Educativi: uno dei frutti di questo percorso è il dossier I Castelli si raccontano.
Con Quel liceo pubblico francese che ha scelto l’autogestione di Andrea Sola ci siamo spinti di là dalle Alpi e oltre l’immaginario tradizionale che riguarda l’idea di scuola per scoprire un liceo che per molti anni ha scommesso sulla libertà di scegliere e su un approccio transdisciplinare – lasciando molto spazio ad esempio a teatro, musica e cucina -, con una struttura di gestione sorprendente, libertaria quanto rigorosa, ma non priva di problemi. Questa scuola pubblica di Parigi ha offerto una seconda chance soprattutto a studenti e studentesse che rischiavano di abbandonare gli studi. Già, mettere i ragazzi e le ragazze che non amano la scuola, e sono tanti, nelle condizioni di fare esperienza di ascolto, concentrazione, apprendimento attivo e cooperativo inventando percorsi nuovi, come racconta Loris Antonelli in Assecondare la rotta giusta, resta una priorità.
In Aprire la scuola con l’educazione diffusa Giuseppe Campagnoli sostiene che considerare studentesse e studenti attori principali del processo educativo, coinvolgendoli nella definizione delle esperienze da fare, nelle programmazioni e negli orari, significa cominciare a smontare un’idea rigida e noiosa di scuola per aprirla alla città, ma anche ripensare in profondità l’idea di apprendimento.
Di grande interesse è anche il tentativo di partire della urgenze dell’educazione ambientale per formare al tempo stesso insegnanti e studenti e ripensare la relazione tra scuola e territorio, attraverso liberi confronti con chi segue da tempo i temi ambientali, i cambiamenti climatici e i legami tra questi con i temi della giustizia sociale. In Scuola, territorio ed educazione ambientale Guido Viale elenca quattro passi per cominciare: didattica esperienziale e cooperativa, educazione diffusa nel territorio, impegno diretto di studenti e insegnanti sui temi ambientali, scuola come polo civico di una comunità autoeducante. In primavera, per altro, è nato a livello nazionale un gruppo di persone – “Alfabeti ecologici” – impegnate nella società civile e nlla scuola secondo il quale c’è bisogno di un grande rinnovamento che abbia come fondamento il ripristino del rapporto inscindibile tra essere umano e natura e che riformi la scuola in chiave ecologica con il protagonismo degli studenti (leggi Lezioni ecologiche).
La lettura di questa inchiesta/dossier si rivela incoraggiante per diverse ragioni. L’angoscia per un futuro che per ragazzi e ragazze sembra precluso, dicono questa pagine, trova il modo di essere curata in esperienze scolastiche nelle quali studenti e studentesse sono investiti di fiducia, sono accompagnati a sperimentare partecipazione, hanno la possibilità di vivere principi e pratiche di autogestione e collaborazione. In alcuni casi hanno in tasca perfino le chiavi della scuola.
Gli articoli dell’inchiesta
Le altre inchieste di Territori Educativi
Delle scuole aperte e dell’inchiesta “Prendere in mano la propria scuola” si è parlato martedì 18 giugno nella trasmissione Fahrenheit su Radio Rai 3 (minuto 1,31,30), con un’intervista a Gianluca Cantisani, presidente del MoVI e responsabile del progetto nazionale Scuole Aperte Partecipate in Rete: ASCOLTA L’INTERVISTA